2 cucchiai di Afghanistan, 30 gr. di Yemen, Palestina q.b. è il pezzo è fatto.

“La Stampa” affronta il tema dei “nuovi” centri di irradiazione dell’estremismo islamico nel mondo con un articolo di Francesca Paci dal titolo Nelle periferie del mondo il nuovo cuore dell’islam (fonte).

Dal titolo sembra che vedremo come aree periferiche del mondo (leggi povere) siano diventate centrali “nell’islam” e qui incontriamo già un problema: di cosa parla l’articolo? Di terrorismo islamico o di islam?

Nel primo caso l’analisi potrebbe avere un forte senso nel secondo caso nessuno.

Perché una cosa è parlare di estremismo islamico e un’altra è parlare di islam. E se è vero, anzi verissimo, che la strategia di diversi gruppi terroristi è di andarsi ad organizzare o a nascondere in luoghi come la Somalia, lo Yemen o l’Afghanistan dove il controllo degli stati centrali è pressoché assente, non è affatto vero che quei luoghi siano oggi il cuore dell’islam.

Passiamo oltre, cioé a leggere l’esordio del pezzo:

La mezzaluna islamica ha affilato le estremità. Mentre il conflitto israelo-palestinese, classico cavallo di battaglia della jihad post moderna, scompare dalle copertine delle riviste di geopolitica interessate al massimo al potenziale economico dell’emergente e non ideologizzata borghesia araba, l’ultima sfida all’occidente arriva dalla periferia della galassia musulmana.

Bene. Siamo sicuri, dunque, che il titolo è sbagliato: si parla di terrorismo.

Andiamo avanti:

«L’islam contemporaneo non si capisce guardando il vecchio centro mediorientale ma i margini, Yemen, Somalia, Pakistan, Afghanistan» osserva l’irano-americano Reza Aslan, ricercatore al Global and International Studies di Santa Clara e autore del volume «How to win a cosmic war», come vincere una guerra cosmica. Per questo, sostiene, Barack Obama ha sbagliato a lanciare dal Cairo la battaglia per i cuori e le menti sedotte dal Corano: «L’Egitto non è più il centro del mondo musulmano da almeno un secolo».

Mm… allora rettifico: il titolo anticipa davvero il contenuto dell’articolo. Reza Aslan parla di islam, non di estremismo islamico.

A meno che Reza Aslan non sia uno che – come Cristiano Allam – pensa che “i musulmani moderati siano meno ortodossi degli estremisti islamici“. O che l’autrice dell’articolo non stia facendo un po’ di confusione fra “islam” e “estremismo islamico”. O anche un po’ l’uno e un po’ l’altro.

Mah… proseguiamo:

Se gli 007 setacciano le strade di Sana’a alla ricerca delle tracce fresche di Al Qaeda, gli studiosi lavorano a quelle sedimentate. «Washington ha promesso al presidente Ali Abdullah Saleh di raddoppiare i 70 milioni di dollari versati all’antiterrorismo yemenita nel 2009 mettendo l’importanza strategica del piccolo paese davanti al Pakistan, che ne riceve 112 l’anno» spiega Fawaz Gerges, docente di politiche mediorientali alla London School of Economics. Ad allarmare la Casa Bianca è la saldatura tra l’ambizione nichilista di Osama bin Laden e la crisi politica e sociale dello Yemen, dove un abitante su due vive in assoluta povertà e due su tre hanno meno di vent’anni. Una miccia visibile fino a Gerusalemme.

Va bene. Questa è più o meno una notizia, anche se non è granché nuova e, inoltre, non sembra essere in relazione con quanto scritto in precedenza.

Dai, andiamo avanti:

«Il nuovo terrorismo che si diffonde dalla periferia dell’islam germoglia come quello vecchio nella fragilità istituzionale del mondo arabo» nota Benny Morris, uno dei maggiori storici israeliani.

Ok. Quindi parliamo di estremismo islamico, non di islam. Anche se non credo che Benny Morris possa aver detto quella frase, se davvero è uno dei maggiori storici israeliani. Somalia, Pakistan e Afghanistan non sono paesi arabi.  Certo, l’errore potrebbe risiedere nella costruzione della frase. Potrebbe essere che quel “mondo arabo” si riferisca soltanto al “vecchio terrorismo islamico” e non al nuovo. In questo caso Benny Morris dovrebbe spiegarci cosa intende per “vecchio terrorismo islamico”: quello (1981) dell’attentato a Sadat? O quello, per capirci, di Bin Laden?

Ricordo comunque a Benny, a Francesca e a tutti quanti che al-Qaida nasce in Afghanistan.

E che il primo attacco “ufficiale” di al-Qaida avviene in Yemen (1992), ad Aden.

E che oggetto dell’attacco fu un hotel dove erano di stanza delle truppe americane dirette in Somalia.

Che, insomma, non c’è nessun “nuovo cuore” e che il cuore del terrorismo islamico, negli ultimi vent’anni, non ha traslocato.

Ma andiamo avanti, perché l’ambiguità diventa caos:

Solo che al pari d’Egitto e Giordania vent’anni fa, Yemen e Pakistan non possono farcela da soli: «Gli Stati Uniti sono delusi dallo stallo del conflitto israelo-palestinese e preferiscono concentrarsi su altre zone. Con la jihad globale all’attacco dei valori occidentali i palestinesi sono usciti di scena e in breve resteranno un problema esclusivamente nostro». Come l’Iran, si mormora negli ambienti del Mossad, alla cui minaccia Israele è sempre più tentato di rispondere autonomamente. Lo Yemen insomma sembra diventato lo scacchiere su cui le potenze internazionali, che ancora un anno e mezzo fa puntavano su Gaza, giocano le loro ultime mosse. «La causa palestinese non è più attivamente sostenuta da nessuna potenza araba e ha sviluppi geopolitici limitati» ragiona il professor Antonio Giustozzi, del Crisis States Research Centre della London School of Economics, autore del saggio «Koran, Kalashnikov, and Laptop», Corano, kalashnikov e laptop. Molto meglio investire su Sana’a: «Il regime yemenita è alle corde, con tre movimenti antigovernativi in azione simultanea il momento è propizio per un sommovimento profondo». Non ci sono solo i 300 militanti di al Qaeda, «parassiti» che si nutrono dell’instabilità politica e della mancanza di leggi: «Si parla di aiuti iraniani ai ribelli del nord, dove la rivolta ha attualmente un dinamismo considerevole. Ma se Teheran è potenzialmente interessato a un cliente nella penisola arabica, Riad non resta certo a guardare e sfruttando l’avversità al governo in carica potrebbe essere dietro l’afflusso ingente di fondi ai secessionisti del sud».

Disperante. Ci sono due persone che parlano di palestinesi è una giornalista italiana che deve fra quadrare il loro discorso nel suo quadro di riferimento, in cui i palestinesi proprio non c’entrano niente. Quindi, a un certo punto, scopriamo che è molto meglio investire su Sana’a.

La domanda a questo punto è: di che cosa stavi parlando, Francesca? O meglio: che cosa volevi dire?

Mando il finale, per puro masochismo:

Mentre l’America e i suoi alleati cercavano la quadratura del cerchio delle guerre afghana e irachena, gli uomini di Osama hanno arato la terra della regina di Saba forgiando le nuove leve del terrore. «L’ideologia jihadista radicale si è emancipata dall’idea di centro e si è diffusa grazie a internet e a predicatori individuali fino a consolidare l’immagine di un occidente antimusulmano» chiosa Mark Juergensmeyer, direttore del Dipartimento di Studi globali e internazionali dell’Università della California.

Uf. E pensare che “La Stampa” era il giornale di Igor Man che sì, da un punto di vista era un po’ un vecchio trombone… ma almeno sapeva quel che diceva.

p.s. riguardo al dibattito sul “controllore di notizie” apparso su “milleorienti” in seguito alla questione-Sartori la domanda è: cosa rimarrebbe di questo pezzo dopo un controllo?

Lorenzo DeclichIn 30 secondiafghanistan,al-qaida,francesca paci,igor man,islam,la stampa,pakistan,somalia,terrorismo,yemen
2 cucchiai di Afghanistan, 30 gr. di Yemen, Palestina q.b. è il pezzo è fatto. 'La Stampa' affronta il tema dei 'nuovi' centri di irradiazione dell'estremismo islamico nel mondo con un articolo di Francesca Paci dal titolo Nelle periferie del mondo il nuovo cuore dell'islam (fonte). Dal titolo sembra che vedremo...