Vorrei spendere due parole sul dibattito innescato su questo blog (qui e qui) e su altri siti (ad esempio qui) dalla notizia dell’introduzione di linee di prodotti halal nei supermercati.

Si può essere onnivori o vegetariani a diversi gradi di fondamentalismo (“non mangio nulla che proietti ombra”, disse la caricatura di un ecologista idolatrato da Lisa Simpson), ma qui non voglio fare polemica, solo un ragionamento antropologico, che spero risulti pertinente.

L’aspetto che volevo affrontare non è quello dell’islam mercato che sta dietro alle iniziative delle grandi catene di distribuzione o della produzione di carni. Mi interssa invece l’aspetto religioso-rituale della macellazione.

Comincio col ricordare un esempio a noi vicino: la macellazione del maiale in Italia avveniva fino a ieri (non so se ancora oggi) attraverso sgozzamento e dissanguamento.

Siccome il miglior periodo per macellare il maiale è durante i freddi invernali, una buona data è intorno al 17 gennaio, quando si festeggia(va) Sant’Antonio Abate, non a caso protettore degli animali. Da questo santo i maiali ricevevano la benedizione prima di venir sgozzati.

Altre leggende dicono che la notte di S. Antonio gli animali domestici acquistano la facoltà di parlare, e nelle stalle i contadini possono capire ciò che dicono le loro bestie.

Le bestie diventano umane.

Infatti il 17 gennaio segna in genere l’inizio del carnevale (la festa in cui il mondo si rovescia): periodo in cui si può mangiare carne liberamente prima che cominci il digiuno e l’astinenza della quaresima pre-pasquale.

Periodo che a sua volta prelude all’uccisione dell’agnello.

Tutto questo ci dà un buon esempio della sacralità che è insita nella macellazione rituale degli animali, di qualunque religione si parli.

Gli esseri umani, si sa, hanno cominciato a mangiare carne di vari animali migliaia e migliaia di anni fa.

Si può discutere del fatto che in passato ne mangiavano meno e in maniera più “ecologicamente sostenibile”, ma non è questo il punto.

Dapprima l’uomo si procurava la carne cacciando, poi a un certo punto del neolitico è diventato allevatore.

Gli animali allevati non fornivano solo carne, anzi, fornivano principalmente latte, lana, uova e lavoro muscolare, e dunque buona parte degli animali allevati arrivava a vivere anche una lunga vecchiaia.

Ma eliminare un giovane maschio per mangiarselo una volta ogni tanto è un espediente funzionale e gustoso per la gestione della mandria-gregge-pollaio.

Allevare un animale significa(va) viverci insieme, curarlo, affezionarcisi, spesso dargli un nome [e anche prendersi le sue malattie, n.d.r.].

Ucciderlo per mangiarselo è umanamente un atto drammatico. Penso che sia per questo che più o meno tutte le culture hanno sviluppato per l’uccisione dell’animale un rituale che lavi via il senso di colpa che l’uccisione in sé suscita nell’essere umano.

E’ per questo che la macellazione, in molte religioni, è considerata un sacrificio , ossia un “rendere sacro” un atto.
Gli elementi sacrali di questo tipo di macellazione possono essere la “dedica” alla divinità di una parte dell’animale, o più semplicemente compiere l’atto in nome di Dio. Quasi per invocarne l’autorizzazione o il perdono per quel che si fa.

Ma mi sembra che anche l’aspetto celebrativo che tramuta il dramma in festa faccia parte di questa sacralità.

Tutte le religioni abramiche affondano radici profonde in ritualità di questo tipo. [Ma, si noti, riti analoghi riguardano anche la caccia (il concetto di “caccia sacra”)]

La macellazione halal o kasher (così come la benedizione di S. Antonio Abate) non ha dunque nulla a che fare col maggiore o minore rispetto dell’animale, anzi.

Che sia consapevole o semplice retaggio di una tradizione, è un fatto religioso.

Non veterinario o alimentare.

Criticarne la pratica sulla base dei diritti degli animali, è come criticare il rito eucaristico cristiano per il fatto di essere un atto (simbolico) di cannibalismo.

Ora si può discutere sul livello di ipocrisia insito in questi riti. Ma mi paiono discussioni sterili: una volta ammesso che si può mangiare carne di animali, e che per far questo bisogna ucciderli, qualsiasi espediente teso ad attenuare il senso di colpa diventa un’ipocrisia, ma un’ipocrisia necessaria.

Compreso il laico stordimento utilizzato nei moderni macelli senza religione.

Perché forse il punto (sotto il profilo storico-antropologico) è proprio questo: nella nostra società positiva non è più concepibile che si affidi la rimozione del senso di colpa alla religione.

Se la nostra società si basa sul diritto, anche la pratica della macellazione avrà la sua giurisprudenza laica e rispettosa dei diritti degli animali.

E’ anche vero che così come oggi ci sono animali allevati esclusivamente per la macellazione, in genere noi non abbiamo più alcun rapporto “umano” diretto con quegli animali che mangiamo, e quindi è più facile, psicologicamente parlando, rimuovere il senso di colpa delgando ad altri o a delle leggi quel ruolo che un tempo era della religione.

Ma anche questo è un altro discorso.

D

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Vorrei spendere due parole sul dibattito innescato su questo blog (qui e qui) e su altri siti (ad esempio qui) dalla notizia dell'introduzione di linee di prodotti halal nei supermercati. Si può essere onnivori o vegetariani a diversi gradi di fondamentalismo ('non mangio nulla che proietti ombra', disse la caricatura...