Il Ministero della Cultura cinese ha istituito il “Premio Confucio per la pace” — assegnato quest’anno a Lian Chen, ex-vicepresidente di Taiwan, che ha sostenuto il riavvicinamento fra le due cine — come (leggo da “Repubblica” del 09-12-10) “Risposta pacifica a Oslo, per spiegare il concetto della pace che ha il popolo cinese“.

Solo propaganda, si dirà, in risposta all’assegnazione del Premio Nobel per la pace 2010 al dissidente cinese Lu Xiaobo. E va bene.

Ma siamo sicuri che questa iniziativa non vada a toccare un nervo scoperto della concezione, non dico della della democrazia o dei diritti umani e politici, ma della politica occidentale?

Non c’è una via alla pace, la pace è la via” disse Gandhi*, ma evidentemente questo è un concetto che la politica non riesce proprio a capire. O per lo meno una certa politica, perché evidentemente il concetto di pace non è uguale ovunque.

Senza entrare troppo nel dettaglio, basta pensare che nel cuore dell’Arabia del VII sec. la parola araba che oggi si usa per “pace” (salām) non viene mai usata in questo senso nel testo più importante che abbiamo di quell’epoca. Infatti salām in quel testo viene usato solo per “salute” nel senso del “saluto”, esattamente come il nostro “salve”. Dobbiamo supporre che il concetto di pace come lo intendiamo noi (assenza di guerra) sia non dico assente ma per lo meno venisse espresso in modo diverso da quello di oggi**.

Ciò non vuol dire che non si aveva un concetto di “pace” in assoluto. Nè che lo stato di guerra fosse permanente. Tutt’altro.

Ma per farla breve, il concetto di pace che si ha oggi non è né univoco né universale.

Ora: tutto questo preambolo mi serviva solo per porre un quesito che mi frulla in testa da un po’.

La Cina già fra il ’92 e il ’96 cresceva in termini di PIL a ritmi doppi e tripli (a volte quadrupli) rispetto al cosidetto Occidente (UE+USA+Giappone). E se io non credo tanto nel PIL come indicatore di crescita di un paese, gli economisti sì, e dunque potevano già allora prevedere che nel giro di un paio di decenni l’economia cinese avrebbe raggiunto e superato le economie occidentali. E che ciò avrebbe portato rilevanti conseguenze politiche e strategiche.

In quegli stessi anni il famoso saggio di S. Huntington sullo scontro di civilità individuava quella cinese (sinic, che sorprendentemente includeva Corea e Vietnam) come una delle aree culturali omogenee che si sarebbero contrapposte alle altre e in particolare a quella occidentale (western, ossia Europa Occidentale e Nordamerica).

Tuttavia, quando all’alba del nuovo millennio le nuove destre occidentali hanno ripreso la teoria huntingtoniana hanno concentrato e ridotto lo “scontro fra civiltà” (al plurale) a uno “scontro fra civiltà” (al duale) ossia fra Occidente e Islam.

E mi domado: perché? Perché il nemico è stato individuato nell’islam e non in un’altra delle aree “culturali” rappresentate da Huntington?

I tentativi di alimentare la sinofobia, che pure ci son stati e non pochi, sono stati più blandi e meno incisivi, sicuramente meno infervorati e accalorati. Si è parlato di “Eurabia” ma non di “Eurina”*** sebbene le chinatown in Europa e in America siano molto più “urbanisticamente evidenti” rispetto alle muslimtown che di fatto non esistono nemmeno come costrutto giornalistico. Per non parlare del peso demografico che la Cina può vantare rispetto a qualunque altro concorrete.

Ragionando, ho trovato una serie di motivi che possono aver contribuito a questa situazione — sicuramente i fatti del 11/09/2001, l’importanza dell’approvigionamento energetico, la vicinanza geografica, la miopia intellettuale di G. W. Bush, non ultima la saggia accortezza della diplomazia cinese contrapposta alla minacciosa retorica di alcuni governi di paesi a maggioranza musulmana, l’equivoco di una possibile e comoda cooptazione della Cina nell’ordine mondiale desiderato, ecc..

Ma mi appaiono tutte ragioni attenuanti e non di fondo.

Se ci sono dei burattinai che muovono i fili, non possono essere stati così strabici da puntare a creare un nemico piuttosto che un altro che, dal loro punto di vista, sarebbe diventato molto più ingombrante, o addirittura pericoloso.

D’altra parte la Cina non stava progettando bombe atomiche, perché le aveva già, mentre costruisce portaerei e manda astronauti nello spazio. Al confronto il figlio di Laden riesce al massimo ad addestrare qualcuno a farsi scoppiare le mutande su un aereo.

Il fatto è che folgorati dall’abbaglio dello “scontro fra civiltà”, i neo-con (uso questa definizione per semplificare) hanno totalemente dimenticato che i conflitti sono invece di natura economica e politica, prima ancora che culturale o ideologica.

Per carità, sono ben contento che la sinofobia non abbia (ancora) preso piede, per lo meno in maniera massiccia. Tuttavia quando oggi viene posto il problema di cosa sigifichi pace per un paese, e dunque si passa dal terreno economico e politico a quello in un certo senso culturale, si viene a scoprire anche che la Pax Romana non corrispondeva di certo alla Pax Partica. E che la Pax Sinica potrebbe confliggere con la Pax Americana. E che anzi proprio questo ci rivela, come in un gioco di specchi, che considerare un promotore di pace colui che contrasta il nostro (potenziale) nemico può essere sì “una via per la pace”, ma non è detto che sia “la pace”.

D

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* Scopro solo ora che è una citazione dal grande politico indiano; la prima volta che ho sentito questa bellissima frase è stato da uno dei capi nativi americani in risposta al colonizzatore di turno nel video-gioco Sid Meyer’s Civilization IV (The colonization).

** A mio avviso il concetto di “sicurezza” (amān) in quel testo è più centrale come equivalente concettuale della nostra “pace”, o piuttosto della “stabilità” in senso moderno.

*** Permettetemi la facile battuta: se l’Eurabia rievoca la “rabbia”, l’Eurina rammenta tutt’al più una provetta per analisi mediche.

 

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