Sto facendo un viaggetto retrospettivo e istruttivo nella pubblicistica italiana sulla Tunisia.

Hho incontrato questo articolo di Jacopo Granci (vedi anche qui) apparso su Carta nel novembre 2009.

Ha un titolo eloquente, eloquentissimo:

La vendetta di Ben Ali è cominciata
[16 Novembre 2009]

A meno di un mese dalla vittoria nella quinta elezione farsa della sua carriera, il dittatore tunisino Zine El Abidine Ben Ali ha iniziato a stringere la morsa attorno alle poche voci che osano sfidare il suo potere. I governi occidentali fanno finta di non vedere.

Non ha perso tempo. Al Palazzo di Cartagine c’è ancora aria di celebrazione. Rumori di danze e squilli di trombe a salutare la quinta incoronazione. I festeggiamenti non sono finiti, ma il dittatore democratico è già preoccupato di far tacere chi ha cercato di disturbare il suo trionfo. Mentre i capi di Stato esteri, in primis quelli occidentali, si sono profusi in felicitazioni e ossequi per il successo elettorale, il Presidente-Generale ha già iniziato la sua campagna di «rieducazione».
Il 29 ottobre Taoufiq Ben Brik è finito in carcere con l’accusa di aggressione e tentato abuso sessuale. Giornalista e scrittore di fama, Ben Brik è una delle poche voci che ancora hanno la forza e il coraggio di denunciare i crimini e le violazioni commesse dal regime tunisino. Gli articoli pubblicati durante la recente campagna elettorale su Le Nouvel Observateur, Le Monde Diplomatique e Mediapart, non hanno risparmiato né critiche né accuse à sa majesté. Una settimana prima dell’arresto era stato tamponato, aggredito e insultato da una donna, che ha cercato con insistenza di provocarlo. La stessa donna che ha poi presentato la denuncia. Fiutata la trappola, il giornalista era ripartito velocemente, prima dell’arrivo della polizia. Ma non è servito. Dei testimoni invisibili hanno deposto contro di lui.
Una messa in scena. Un inganno costruito a tavolino dalle autorità, esasperate dalla risonanza internazionale dei suoi articoli, dalla sua indipendenza e dalla tenacia con cui porta avanti la battaglia. Non è la prima volta che il regime ricorre, senza il minimo pudore, a macchinazioni pur di incriminare i suoi oppositori. Gli scandali montati negli anni passati contro Hamma Hammami, segretario del Partito comunista dei lavoratori, Moncef Marzouki, candidato alle presidenziali del ’94, e Nabil Jumbert, responsabile dell’Afp a Tunisi, lo confermano.
Il processo inizierà il 19 novembre. Taoufiq Ben Brik rischia cinque anni. Intanto resta in carcere, dove ha festeggiato da poco il suo 49esimo compleanno. Solo. Lontano dalla famiglia, a cui sono vietate le visite, e in uno stato di salute pessimo. Il giornalista è gravemente malato. E’ affetto dalla sindrome di Cushing, una patologia cronica che lo priva delle naturali difese immunitarie. Secondo la moglie, se dovesse rimanere in prigione, sprovvisto di cure e senza un’igiene adeguata, potrebbe morire. Una vera liberazione per Ben Ali. Una vittoria sporca. L’ennesima.
Il direttore di Le Nouvel Observateur ha lanciato una campagna a sostegno del collaboratore tunisino e ha inviato una richiesta di scarcerazione al Presidente. La risposta è da manuale dell’umiliazione: «La giustizia in questo Paese è indipendente e fino al pronunciamento del tribunale nemmeno una domanda di grazia può essere presa in considerazione».
La giustizia tunisina, ben lontana dall’essere indipendente, sta trattando la vicenda come un normale caso di diritto comune. Ma le implicazioni politiche sono fin troppo evidenti. Se si trattasse di un banale crimine, perché il giornalista non beneficia, date le sue condizioni di salute, del rilascio fino al momento del processo [come è norma in questi casi]? No, il diritto comune non c’entra, e lo sa bene Ben Brik. L’articolo pubblicato sul blog del settimanale francese, appena ricevuta la convocazione delle autorità giudiziarie, è eloquente: «Sabato 24 ottobre Ben Ali ha minacciato in modo chiaro tutti i suoi oppositori, soprattutto quelli che danno una immagine negativa del Paese all’estero. Il mio lavoro per i media stranieri lo ha innervosito e per questo vuole la mia testa. Ma io non mi consegno. Se finisco nelle sue mani non ne uscirò più. Non lo aiuterò a prendermi vivo».
Taoufiq Ben Brik non è l’unico oppositore ad essere coinvolto nella nuova ondata repressiva orchestrata dal regime. Il regolamento di conti sta mietendo altre vittime. Il 3 novembre la blogger Fatima Rihai viene condotta in carcere. Gli appelli alla libertà di espressione che ha diffuso via Internet le sono valsi un’accusa di diffamazione. Dopo il sequestro del materiale informatico, il suo blog e la sua mail sono stati bloccati. Dal 7 novembre il giornalista Slim Boukhdhir, già aggredito e ferito durante la campagna elettorale, vive segregato nella sua abitazione. Giorno e notte agenti in borghese stazionano di fronte all’ingresso, impedendo l’accesso a conoscenti e amici. Con lui ci sono anche la moglie e la figlia, private dei rifornimenti alimentari e dei medicinali.
Reporters senza frontiere non esita a definire mafioso il comportamento delle autorità tunisine e domanda un segnale di condanna forte da parte della comunità internazionale. Una comunità internazionale che con ogni probabilità continuerà a voltare lo sguardo, come è solita fare da ventidue anni. Una comunità internazionale che difenderà ancora una volta i propri interessi a colpi di omertà. Una comunità internazionale che, se Ben Brik non dovesse reggere al carcere, si renderà complice di un omicidio premeditato.

Lorenzo DeclichIn fiammeHamma Hammami,jacopo granci,Le Monde Diplomatique,Le Nouvel Observateur,mediapart,moncef marzouki,Nabil Jumbert,tawfiq ben brik,tunisia,zayn el-abidin ben ali
Sto facendo un viaggetto retrospettivo e istruttivo nella pubblicistica italiana sulla Tunisia. Hho incontrato questo articolo di Jacopo Granci (vedi anche qui) apparso su Carta nel novembre 2009. Ha un titolo eloquente, eloquentissimo: La vendetta di Ben Ali è cominciata A meno di un mese dalla vittoria nella quinta elezione farsa della sua...