Ritorniamo alla piattaforma degli organizzatori del 25 gennaio (riguardo allo “stato di depressione” in cui la popolazione versa – il documento iniziava proprio con un “Qui ci sono 30 milioni di egiziani malati di depressione” – è quasi banale notare l’uso abbondante di quell’antidepressivo di massa che si chiama “rivolta”, o “libertà di espressione”, o “partecipazione”):

1. affrontare il problema della povertà prima che esploda e perciò rispettare ciò che ha stabilito la magistratura egiziana rispetto all’aumento del salario minimo nei comparti della sanità e dell’istruzione per migliorare i servizi ai cittadini. Fornire sovvenzioni fino a 500 lire egiziane [meno di 65 euro, n.d.t.] a tutti i giovani laureati che non trovano lavoro, e ciò per un periodo definito.

2. abolizione dello stato di emergenza che ha determinato lo strapotere dell’apparato di sicurezza a detrimento dell’Egitto e l’arresto degli oppositori politici del governo e la loro detenzione senza motivo.  Chiediamo alla procura di vigilare sulle sue diverse sezioni, chiediamo di fermare la tortura che viene sistematicamente esercitata nelle stazioni di polizia, chiediamo l’attuazione delle disposizioni della magistratura e il loro rispetto da parte del governo egiziano.

3. dimissioni del Ministro dell’interno Habib el-Adly che ha generato in Egitto un clima di insicurezza in occasione degli attentati terroristici e ha permesso la proliferazione di crimini perpetrati, senza freno, da ufficiali o agenti del Ministero degli interni stesso.

4. limitare la possibilità di candidarsi alle presidenziali per più di due volte, in modo che il potere non diventi assoluto e corrotto: nessun paese sviluppato prevede che un Presidente della repubblica abbia un mandato di decine di anni. Abbiamo il diritto di scegliere il nostro Presidente, abbiamo il diritto di non avere una persona che comanda a vita.

Il primo passo dei militari dovrebbe essere la rimozione dello stato di emergenza e, da quello che evinciamo dalle notizie degli ultimi due giorni, ho idea che su questo punto si è già molto avanti.

Mubarak se n’è andato, e va bene. Il Ministro dell’interno se n’è andato, e va bene (assieme a loro si sono dimessi a cascata un buon numero di personaggi di spicco del regime, fra cui il direttore del giornale governativo al-Ahram e il capo del partito ).

Riguardo alle ri-candidature del Presidente penso che non ci saranno problemi, sempre che a qualcuno non venga in mente di fare davvero un colpo di Stato (vedi oltre).

Sulla povertà c’è molto da lavorare, ma questo è un compito che spetta a chi governerà l’Egitto nei prossimi tempi.

Passiamo ad altre considerazioni.

I militari: è ovvio che in una situazione di incertezza istituzionale “si ritorni ai fondamentali”, e cioè a chi, istituzionalmente, è il primo gestore della violenza: l’esercito. Non sono un esperto, non amo i militari né la loro letteratura ma, tornando sul cable di Wikileaks del 2008 di cui ho scritto qui, rifletto sul fatto che i militari in Egitto sono “una forza in declino” che tuttavia “detiene ancora molto potere economico” e non vedeva di buon occhio la successione dinastica che Mubarak stava apparecchiando, anzi la vedeva come un affronto.

L’esercito egiziano è un esercito americano sia a livello di armamenti che di finanziamenti (motivo per cui, fra l’altro, le affermazioni di Ahmadinejad sul fatto che il Medio Oriente diventerà il fulcro di una rivoluzione islamica de-amerricanizzante, mi sembrano decisamente deliranti, o comunque poco realistici).

Non ho motivi scientifici per affermarlo, ma ritengo che i militari non abbiano un loro cavallo su cui puntare, o perlomeno non ne abbiano uno solo.

Il cable suddetto afferma in chiusura:

In a messier succession scenario, however, it becomes more difficult to predict the military’s actions. While mid-level officers do not necessarily share their superiors’ fealty to the regime, the military’s built-in firewalls and communication breaks make it unlikely that these officers could independently install a new leader.

Non mi piacerebbe essere smentito, a questo riguardo. Anche se sappiamo bene che gli eserciti sono costituzionalmente pieni di teste calde.

La polizia: al di là delle considerazioni, sacrosante, sul fatto che Mubarak viene da ambienti militari così come i suoi predecessori, è necessario registrare che è la polizia, insieme ai servizi segreti, ad aver fatto il “lavoro” di repressione, soprattutto negli ultimi anni, con l’invecchiare della dittatura.

Non siamo ai livelli della Tunisia (Ben Ali è un poliziotto) ma, lo ricordo a tutti, il malcontento degli insorti era dovuto, oltre ai motivi economici, alla gestione dell’ordine pubblico da parte della polizia in una situazione di stato di emergenza.

Teniamo conto che:

La manifestazione del 25 gennaio è stata convocata da “Siamo tutti Khaled Sa`id”. E’ una pagina di Facebook posta in essere per rendere nota la vicenda del martire Khaled Sa`id, catturato e pestato a morte in strada ad Alessandria nel giugno 2010.

A questo riguardo cito un libro del marzo 2008 il cui titolo, più o meno, è “E così non ti prendono a mazzate in testa”. Il suo autore, Omar Affifi, era un poliziotto e il libro venne censurato, passando immediatamente al formato pirata.

Qui e qui trovate le recensioni.

Insomma, non è da sottovalutare, per le analisi future, l’approccio che le autorità avranno nei confronti di questo problema. Anzi, lo ritengo uno dei problemi principali.

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Ritorniamo alla piattaforma degli organizzatori del 25 gennaio (riguardo allo 'stato di depressione' in cui la popolazione versa - il documento iniziava proprio con un 'Qui ci sono 30 milioni di egiziani malati di depressione' - è quasi banale notare l'uso abbondante di quell'antidepressivo di massa che si...