Ho un sassolino nella scarpa (Italian knowledge base, 5)
Era il 16 giugno dell’altr’anno e mi prestavo alla lettura del “Primo rapporto sul terrorismo internazionale“, emanato – non senza un certo thrilling – dalla Fondazione ICSA di Minniti Marco.
Irritato dalla sua lettura, per non dire offeso, riportavo quanto scrittovi in merito a “martirio” e “rivoluzione”:
nelle società musulmane post-coloniali non si è sviluppato il concetto di rivoluzione così come è inteso nella politologia occidentale, ma, appunto, quello di jihad, termine più utilizzato anche dai movimenti laicisti e nazionalisti arabi
Ecco: ora stracciate quel rapporto, pubblicamente, grazie.
Fatto? Bene, ora passiamo all’operazione n. 2.
Come dice Mattia Toaldo su Italia 2013:
https://in30secondi.altervista.org/2011/02/12/ho-un-sassolino-nella-scarpa-italian-knowledge-base-5/In 30 secondifondazione icsa,fratelli musulmani,hamas,islam,italia 2013,jihad,marco minniti,mattia toaldo,mondo arabo,olp,primo rapporto sul terrorismo internazionale,rivoluzioneC’è un buco di conoscenze che bisogna colmare. Ce lo hanno gli americani che durante il loro trentennio conservatore hanno deciso di non parlare con alcuni tra i maggiori soggetti politici della regione: hizbullah, i fratelli mussulmani, Hamas, l’Olp. Ora che avrebbero bisogno di capirli e di parlargli o non possono farlo per motivi interni oppure non saprebbero dove cominciare. L’Europa ha, in gran parte, lo stesso buco. L’Italia ha una tradizione di rapporti politici, culturali, umani con la sponda sud del Mediterraneo. Ristabilirli e rafforzarli è un compito non solo della nostra diplomazia ma anche della politica in senso largo: perché i partiti o i sindacati italiani non cominciano a invitare i loro omologhi egiziani o tunisini? Ma è un ruolo che potrebbero giocare anche le università o i centri di ricerca. Non è un compito secondario: il mondo di oggi è sempre più complesso e chi fornisce informazioni per decifrarlo ha già vinto metà della sfida (fonte).
ah, l’aiuto dalle università italiane…. ma sono loro che prendono aiuti da alcuni regimi non propriamente liberali, che hanno siglato accordi che portano vantaggi soprattutto a docenti che passeggiano gratis “per ricerca”, e vuoi che mollino la gallina dalle uova d’oro?
mi hai tolto le parole di bocca anna. i centri di ricerca poi si occupano solo di medioevo perché il contemporaneo non è “ricerca” e, soprattutto, il mevo permette di lavorare con un bagaglio linguistico molto limitato. ve li vedete in ns soidisants “ricercatori” in pza tahrir a scambiare 4 parole con un egiziano?
Be’, il fatto di occuparsi di medioevo non è di per sé un problema. Il fatto è che si dà per scontato che per conoscere l’Egitto o il Libano contemporaneo basti studiare la storia fino al ‘700. Come se quella che viene dopo fosse storia di altri, non loro… e infatti a parlare di mondo arabo o islamico contemporaneo sono, oggi, persone che di islam sanno poco o niente. Eppure noi le istituzioni giuste ce le avremmo.
Racconterò un nanettoto. Quando frequentavo l’Istituto per l’Oriente, nel Paleozoico inferiore, ebbi la brillante idea di riesumare il caro vecchio “bollettino dal Medioriente” che si pubblicava al termine di “Oriente moderno”. E, contemporaneamente, ebbi una fulminante intuizione: accendere una base di dati che raccogliesse il preziosissimo schedario cartaceo di persone e luoghi (arrivava fino al 1922, se non sbaglio).
Ci voleva qualche soldo, però, e mi venne detto più o meno: “al giorno d’oggi fare una cosa del genere è impossibile”. Due anni dopo il CNR declassò l’Istituto per l’Oriente: i soldi non gli venivano più dati direttamente, ma in base ai progetti presentati.
Il cablogramma si interrompe qui.
voglio essere più esplicita: molti accademici italiani ricevono aiuti dai governi del MENA e dintorni e si occupano volutamente di epoche passate perchè così non debbono criticare le situazione contemporanee!
Ma anche cose contemporanee, tipo: ittionomia del Mar Rosso… potrei raccontare altri nanettoti. Sarebbe bello, però, scrivere un bel libro in proposito. Altro che sassolini, ho l’intero sahara nelle scarpe
ah si si l’ittiominia del mar rosso la conosco… e il grandissimo studio (o perlomeno così mi venne presentato) sulle 100 parole arabe di maggior frequenza nella stampa araba? dove risulta che la prima è min (se non ricordo male)? e la grandissima scoperta che i khabar possono riferirsi a un evento reale o a uno immaginario? (pubblicazione internazionale) o quella che la conoscenza dell’arabo da parte dei maghrebini è “approssimativa”? (pubblicazione nazionale) e quella tesi cui dovetti assistere dove con il beneplacito della docente ovviamente il concetto di martirio è innato negli arabi?
ah gli accademici d’italia!
scusatemi, ma spezzo una lancia in favore dell’ittionomia del mar rosso, di cui conosco la leggenda (vera) ma non il testo. Non so come sia stata fatta quella ricerca, ma quando mi sono occupato di lingue non scritte in società pastorali-rurali, avrei tanto voluto avere a disposizione repertori (seri) di nomi di animali nei vari dialetti della zona. So che queste ricerche non smuovono i regimi, ma sul piano dell’indagine linguisitca hanno la loro validità. E d’altra parte le università non sono tenute, almeno per certe materie, a fare politica in senso stretto: agli occhi di chi studia, per dire, la civiltà sumera, la politica è più che altro un grosso ostacolo.
Poi possiamo anche pensarla come l’Aristofane delle “Nuvole”, però…
D
Da storico dell’età moderna (l’età inutile secondo il grande pensatore liberale Sallusti, ma mi par di capire anche secondo alcuni di voi) devo dire che molti di questi commenti (Darmius escluso) non li ho capiti.
Oltre tutto non è certo colpa nostra se si studia meglio il medioevo e l’età moderna delle società islamiche rispetto all’età contemporanea, semmai sono i contemporaneisti che dovrebbero darsi una mossa (e magari l’accademia italiana dovrebbe favorire con apposite borse di studio chi impara l’arabo o il turco, non proprio un’impresa facile per uno storico, i medievisti e gli antichisti sono le categorie più poliglotte delle facoltà di storia, non conosco nessun modernista che parla il turco, qualche volta mi sono occupato di temi islamici, ma solo usando un rapporto mediato con la storiografia anglosassone e francese).
Credo anzi che Toaldo non si aspettasse che le università italiane aiutassero quelle nord africane ad occupare le loro sedi o a mobilitarsi. Già solo fare dei gruppi di lavoro unitari su, (ipotesi) Lepanto o la grande guerra di corsa mediterranea ha una sua utilità (e serve anche a disinesscare pericolose derive storiografiche nazionalistiche che sono forse più forti in Italia che in Turchia). Sopratutto quello che serve è conoscersi, incontrarsi, riconoscersi, leggersi, guardarsi negli occhi, dialogare, e magari dialogando di questioni “vecchie” (per quanto tutta la storia è storia contemporanea) contaminare un po’ le nostre civiltà e uscire dai vecchi schemi scemi. Questo sopratutto per noi, visto che è tra di noi che deve cambiare l’immagine del mondo arabo, mi sembra che a Tunisi conoscano l’Italia (inclusa la politica Italiana) molto meglio di alcuni Italiani.
Non credo invece serva snaturarsi, potremmo parlare per delle ore di quante cazzate si fanno nelle univeristà e quanti buoni porgetti mal sponsorizzati vengono impallinati, però gli accademici si occupano di cultura, astratta o pratica che essa sia. Una ricerca multidisciplinare sull’ittonomia del Mar Rosso può far sorridere tutti noi, eccettto gli antropologi, i geomitologi, i biologi, gli zoologi, i linguisti ecc. L’indagine linguistica ha una sua dignità, anche quando è altamente settoriale, proprio come la ricerca sociologica più aggiornata o l’indagine sulla comunicazione politica del gruppo 6 aprile.
Certamente fa male scoprire che qualche accademico italiano è ancora un innatista, oppure non disegnava le peggiori dittature del M.O. e del Nord Africa perché lo finanziavano, ma 1) questi sono problemi che riguardano le persone (e le baronie), non i temi di studio, 2) la ricerca è libera, quindi esiste la libertà di sbagliare, anche di grosso.
“Ittionomia del Mar Rosso” in sé non dà problemi, d’accordo. Dà problemi quando se ne scoprono i contorni metodologici (inesistenti), la quantità di risorse usate (ingenti), i risultati scientifici (microscopici), la rete accademica (1 persona e qualcuno dei suoi “figli/sudditi” accademici), l’arco temporale (30 anni).
Non dico che dovremmo tutti metterci a studiare i grandi temi, anzi. Però c’è un limite: la decenza.
caro valerio, evidentemente partiamo da premesse epistemologiche profondamente diverse. per quanto mi riguarda esiste la responsabilità del ricercatore che è una persona che agisce sul suo argomento di studio e non esiste il “tema” di studio a se stante nell’iperuranio. anzi credo che il grosso problema dell’arabistico-islamistica sia proprio questo. che coinvolge poi il concetto di obiettività e scientificità che, per come la penso io, andrebbe profondamente rivisto.