L’Organizzazione della Conferenza Islamica raccoglie 57 paesi islamici ed è sostanzialmente l’espressione di una lobby economica che intende, fra le altre cose, accaparrarsi la fetta di islamercato più grande possibile (vedi qui).

L’OIC è “ospitata” dall’Arabia Saudita, a Jedda, e oggi è guidata dalla Turchia alla quale i membri dell’OIC recentemente hanno “intimato” di prendere le redini del carro.

L’Arabia Saudita e la Turchia, commercialmente parlando e dal punto di vista della strategia economica generale sono molto vicini, ultimamente.

Ho raccontato di questa fiera delle armi turche in Arabia Saudita, ad esempio.

Leggete anche questo, risalente al 17 febbraio:

Turkish Industry and Trade Minister Nihat Ergün paid a visit to Saudi Arabia at the invitation of the OIC last week. In Jeddah, he held important talks with about 300 wealthy Saudi businessmen, and OIC Secretary-General Ekmeleddin İhsanoğlu, who is also a Turkish national, discussed with him the importance of the halal food business. In that regard, Saudi businessmen conveyed to Ergün that they are ready to buy all the food products Turkey produces (fonte).

Ricordate la lista dei 500 musulmani più influenti del pianeta stilata dai vassalli della Casa dei Saud per conto del mellifluo e pernicioso principe al-Walid bin Talal?

Bene: quest’anno Erdogan è passato dal n. 5 della lista al n. 2, laddove il saudita Abdullah bin Abdulaziz è ovviamente rimasto lassù, al n. 1.

Ho raccontato anche di questa fiera del benessere tunisina che da evento nazionale si internazionalizza diventando una fiera per i paesi dell’OIC. Bene: rimaniamo in Tunisia, dove siamo in fase di formazione di un nuovo governo. Riguardo ad esso Rashid Ghannouchi,  leader della Nahda tunisina, ha detto – parlando ai giornalisti da Istanbul dove si trovava in visita – che il suo partito potrebbe parteciparvi, essendo stato ufficialmente riconosciuto il 1° marzo scorso.

Ghannouchi ha detto più volte e in tutte le salse di ispirarsi al modello turco.

Che, marxianamente parlando, è prima di tutto un modello economico.

La Turchia, come abbiamo visto, è anche culo e camicia con la Lega Araba nel suo insieme, ultimamente.

Ora: vediamo chi è contro l’intervento militare in Libia:

  1. Turchia;
  2. Lega Araba;
  3. OIC.

Dietro ai dinieghi di questi tre attori non c’è di mezzo “l’islam”, come qualche dissavvedutissimo e superficialissimo giornalista va scrivendo, bensì l’islamercato.

E tutto ciò ci spiega bene, molto bene, cosa distingue la Libia dalla Tunisia e dall’Egitto: in Libia c’è il petrolio e per alcuni (ad esempio noi) quel petrolio lì è molto importante, mentre per altri è di secondaria (Turchia, OIC)  importanza (l’islamercato si alimenta col petrolio del Golfo).

Per altri ancora – l’Arabia Saudita – l’assenza di petrolio libico è forse addirittura un bene: la sua posizione nel mondo dipende da sempre da ciò che i re hanno sotto ai piedi e da quanto e come “tappano i buchi” in contesti complicati come per esempio la guerra Iran-Iraq o la guerra in Iraq.

Leggete ora un po’ meglio l’attacco di Gheddafi al terminale petrolifero di Marsa el-Brega?

Il messaggio, mi sembra, sia indirizzato a chi – alla lunga – del petrolio libico può fare a meno.

Gheddafi non è scemo e, non mi stancherò di dirlo, ha vissuto le ultime decadi nel culto dell’autoconservazione.

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L'Organizzazione della Conferenza Islamica raccoglie 57 paesi islamici ed è sostanzialmente l'espressione di una lobby economica che intende, fra le altre cose, accaparrarsi la fetta di islamercato più grande possibile (vedi qui). L'OIC è 'ospitata' dall'Arabia Saudita, a Jedda, e oggi è guidata dalla Turchia alla quale i membri dell'OIC...