Continuo a ripetere che in tutti i conflitti è sempre molto difficile avere delle informazioni chiare e precise.

Il segreto militare sugli effettivi ed i piani operativi è un’esigenza universalmente condivisa; minimizzare le proprie perdite è la prima regola della propaganda, esagerare quelle inflitte al nemico, invece, è un fenomeno normale che comincia al livello del soldato semplice.

Tra lo scrivere 100 o 1000 l’unica differenza per chi batte i tasti del computer è uno zero in più o in meno. Quindi giornalisti, analisti, persino i militari che scrivono i rapporti, hanno sempre la tendenza a manipolare le cifre.

Poi bisogna considerare che, anche e soprattutto in guerra, esistono i bugiardi patologici.

In Italia alla menzogna, forse, siamo più abituati che altrove.

Per esempio si possono trasformare i beni UNESCO in Italia da un poco meno del 5% in un “più del 50%”, in uno spot per il turismo.

Oppure sostenere che sono ben 1.000 i giudici che ti “perseguitano” in tribunale.

Mentre nel primo esempio si può ricorrere a fonti immediatamente disponibili per comprendere il gioco di un piazzista, nel secondo, nel caso non si disponga di informazioni aggiornate, per cercare di comprendere la verità si deve ricorrere a ragionamenti razionali.

Per esempio la magistratura italiana attualmente, su un organico teorico previsto di 11.874 persone, ha un personale di 7.852 uomini (e donne), tra inquirenti e giudicanti, divisi in una decina di dipartimenti differenti (tra cui uno riservato ai minori), oltre che, territorialmente, in 165 circoscrizioni giudiziarie (più le sezioni distaccate), 26 corti d’appello (più 3 sezioni staccate), la cassazione e le varie procure nazionali. Molte delle quali incompetenti ad occuparsi del piazzista.

In base a questi dati si può ragionare sull’affidabilità della cifra fornita dal sopra ricordato piazzista.

Notando come sia decisamente improbabile. Questo senza essere esperti di magistratura.

Per il conflitto libico, nella mancanza di cifre “ufficiali” che siano anche “verificabili” dovremmo ricorrere a processi di verifica logica simili a questi.

Per le forze della coalizione disponiamo di dati, per quanto bisognosi di verifiche, ahimè impossibili.

Ricordano il primo caso (UNESCO), mentre per comprendere quello che accade in Libia dovremo servirci maggiormente di esempi simili a quelli utilizzati nel secondo caso (piazzista), usando talvolta il rasoio d’Occam o altri processi mentali analoghi.

L’importante è ricordare che, mentre per il piazzista abbiamo molti motivi validi per dubitare, derivanti da un continuativo rapporto con il soggetto, nel caso della guerra di Libia ci troviamo di fronte ad un universo inesplorato.

Le cifre fornite dalla “coalizione dei volenterosi”, ora a guida NATO, sono quelle teoricamente più precise e verificabili, fornite da governi sottoposti a vincoli di segretezza, ma anche a esigenze di trasparenza democratica.

Quel “teoricamente più precise” va sottolineato, visto che molti governi (ma pochi quanto il nostro) tendono a minimizzare o a esaltare la loro partecipazione a questo conflitto. Anche a costo di mentire.

Essendo questo innanzi tutto un conflitto aereo, nato dall’imposizione di una no-fly zone “plus”, le dimensioni dello sforzo aeronautico sono decisive.

Considerando i velivoli di prima linea oggi disponibili, o presumibilmente disponibili in tempi rapidi, per la coalizione si arriva ad un totale di 151 apparecchi da caccia e da bombardamento (cui andrebbero aggiunti più o meno altrettanti apparecchi di seconda linea, ricognitori, tankers, elicotteri ecc.)

Di questi 10 appartengono all’Italia.

Anche se, possiamo argomentare, la nostra aeronautica ha molti altri aerei impegnati in azione anche solo per proteggere le nostre coste.

Inoltre in questo totale non sono inseriti gli 8 apparecchi sulla portaerei Garibaldi e la mezza dozzina di Eurofighter che sappiamo decollare quotidianamente dalla Sicilia ma che ufficialmente non volano sulla Libia.

Insomma: facilmente si arriverebbe sulla ventina di apparecchi.

Che ufficialmente non bombardando, ma noi non siamo ingenui.

Gli altri grandi fornitori della coalizione sono la Francia (34 apparecchi), gli USA (30, più uno perso in azione), la Gran Bretagna (18), e gli Emirati Arabi Uniti (12), mentre la maggior parte degli altri partecipanti ha inviato una squadriglia di grossomodo 6 apparecchi.

Questi sono gli aerei a disposizione, non tutti volano tutti i giorni, né tutti sono già dispiegati (per esempio i 6 Olandesi aspettano il voto del Parlamento per partecipare, cosi come gli 8 svedesi che non ho inserito nel totale).

Anche gli USA non sono molto chiari nell’indicare il numero reale degli apparecchi impiegati, anche perché dispongono di alcune centinaia di altri aerei nel Mediterraneo, tra cui quelli sulla vecchissima Big E ovvero i 70 apparecchi dell’USS Enterprise (tra cui circa 24 F/A 18), che incrocia inoperosa ai margini del Golfo della Sirte.

Inoltre gli USA primeggiano nel numero dei ricognitori, inclusi alcuni vecchi U2 (non voglio fare terrorismo ma la Big E monta due dei più vecchi reattori nucleari attualmente in servizio, progettati negli anni ’50).

Attualmente è impossibile verificare quante sono le sortite offensive giornaliere, dove siano state portate, con che tipo di armi, con che efficacia. Anche perché alcune nazioni, come la Spagna, si lamentano della scarsità di informazioni di intelligence e non sanno dove bombardare.

Probabilmente la pioggia dei giorni scorsi ha ridotto leggermente il numero degli attacchi.

Come valutare questi numeri?

Il dispositivo della neonata operazione Unified protector è sicuramente più che sufficiente per mettere a terra l’aeronautica libica, ma assai ridotto per gestire un conflitto convenzionale.

Oltre tutto la presenza di apparecchi di 13 nazioni differenti non aiuta nel coordinare ed uniformare le procedure.

Però non è detto che servano numeri molto più consistenti perché, come vedremo, l’esercito lealista libico non è un armata sconfinata. Inoltre nessuno di noi, credo, si augura un intensificarsi delle operazioni aeree di carattere strategico, con tutti i suoi possibili “danni collaterali”.

La talassocrazia dell’alleanza è invece schiacciante.

Tra navi di prima e seconda linea (escluso il gruppo della Big E, che ufficialmente non partecipante alla missione) dovremmo essere attorno alle 42 unità di 10 nazioni (più altre in arrivo), inclusi diversi sottomarini e unità portaerei o da sbarco.

Rimarchevole anzi è la massiccia presenza di unità da sbarco del corpo dei Marines, corpo che cita Tripoli persino nel suo inno. “From the Halls of Montezuma/To the shores of Tripoli” (la prima operazione fuori area dell’US Marines corp fu la guerra barbaresca del 1801, con sbarchi a Tripoli e a Derna).

In zona è stanziato il 26° Marine Expeditionary Unit (su 3 battaglioni, più spicci), mentre il 22°è in arrivo da Norfolk.

Invece si nota il declino della Royal Navy, tutta la squadra mobilitata si riduce a due unità (per quanto di ottimo livello qualitativo) e un sottomarino (ma lanciamissili a propulsione nucleare).

Truppe speciali inglesi (SAS e SBS) insieme ad elementi canadesi potrebbero già essere sbarcati in Libia.

Tra le potenze navali primeggiano gli USA (con 14-16 navi), l’Italia (ufficialmente con 4 unità, tra cui una portaerei leggera, ma oggi praticamente tutta la nostra flotta gravita verso il Mediterraneo centrale), la Turchia con 5 navi e 1 sottomarino (tutte in arrivo, un impegno molto superiore al normale per questo paese) e la Francia (una portaerei, 4 navi, un rifornitore e un sommergibile nucleare).

Con tutto questo spiegamento di forze non è da escludersi che qualcuno si stia già preparando per una fase II, lo sbarco a Tripoli.

Sia a guerra in corso, sia, più probabilmente, a guerra finita. Come missione “di pace”.

Un segnale che si procede in questa direzione sarebbe l’arrivo della 82° o della 101° divisione aviotrasportata americana in Italia. Comunque movimentare le truppe è un processo lento.

Per ora le navi servono a far rispettare l’embargo, soccorrere i profughi (anche se pare che alcune unità NATO abbiano voltato la faccia dall’altra parte, visto che non sanno dove metterli), far partire alcuni attacchi aerei (solo la Francia), oppure lanciare missili Tomahawk (192 dichiarati da unità USA, 7 dal sommergibile britannico). I missili hanno senza dubbio inflitto dure perdite materiali alle forze armate libiche, l’attacco era piuttosto massiccio per un paese spopolato e con piccole forze armate, come la Libia.

Dubito che questo blocco navale imponente serva a far davvero rispettare l’embargo, visto che i traffici di Gheddafi avvengono per lo più via Chad, o comunque da sud.

Inoltre con Maroni Ministro dell’interno il compito di soccorrere i profughi è reso più difficoltoso e, paradossalmente, non potendoli scaricare in Italia da navi NATO senza incorrere in dure polemiche, saremo proprio noi a doverci occupare di tutta la faccenda.

Domani, se riesco, vi aggiorno sui numeri dei ribelli e dei lealisti.

Anche se in questo caso la speculazione e la stima saranno d’obbligo.

Anticipo solo che i ribelli ora hanno allungato terribilmente le loro linee di comunicazione, mentre le forze gheddafiane sono ben disposte per la difesa.

Inoltre i lealisti sono sicuramente anche una forza “reale” nel paese. Gheddafi gode, come tutti i dittatori, di un certo consenso popolare, nei giorni della rivolta questo era annullato, ma ora potrebbe tornare a farsi vedere.

Tutte le chiacchiere di una ripresa della diplomazia rimangono chiacchiere.

Gheddafi è in difficoltà e chiede un cessate il fuoco, i ribelli pensano di stare vincendo e vogliono continuare l’offensiva.

Staremo a vedere.

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Continuo a ripetere che in tutti i conflitti è sempre molto difficile avere delle informazioni chiare e precise. Il segreto militare sugli effettivi ed i piani operativi è un'esigenza universalmente condivisa; minimizzare le proprie perdite è la prima regola della propaganda, esagerare quelle inflitte al nemico, invece, è un fenomeno...