Torniamo ora ai conflitti che avevamo regolarmente messo in programma“. Questo è il titolo di un articolo di Hussein Ibish su Foreign Policy in cui l’autore si chiede se con la guerra di Libia non si sia tornati al “caro vecchio” ordine delle cose.

A questo riguardo è un po’ più maliziosa, ed esatta, Soumaya Ghannoushi su The Guardian:

Con la perdita di Ben Ali e Mubarak, si è aperta una falla nel sistema di stabilità messo in atto dalle potenze occidentali dopo la seconda guerra mondiale, il quale dipendeva dal sostegno ai dittatori, dalla stagnazione politica e dalla vendita di armi. L’Occidente ha cominciato a difendere la democrazia solo quando questa stabilità è stata minacciata dalle manifestazioni di piazza. Ma mentre inneggia alla rivoluzione  in Libia e in Siria, l’Occidente sta silenziosamente sostenenendo i vecchi alleati in Giordania, Bahrain, Oman, negli Emirati Arabi, in Marocco e nello Yemen, per timore che la rivolta possa espandersi  all’Arabia Saudita, suo principale alleato nella regione. La logica sembra essere: “un amico è amico solo finché è salvabile”.

Ma l’Occidente non sta solo dispiegando la propria  potenza militare nel tentativo di controllare il processo di cambiamento. Sta dirigendo a tal fine anche il suo braccio economico, attraverso la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. David Cameron, Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy non sono gli unici impegnati a rivendersi come riformatori. Recentemente il presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, si è rivolto a un gruppo di attivisti arabi lodando il cambiamento nella regione come “un momento straordinario che sta generando il proprio stesso slancio”. A sentirlo parlare dei problemi delle “persone in Nord Africa e in Medio Oriente”, egli avrebbe potuto essere scambiato per un innocente analista indipendente, che non aveva nulla a che vedere con la crisi economica contro cui queste regioni stanno lottando.

Ciò fa parte di una campagna per nascondere un dato fondamentale su ciò che sta accadendo: le persone non si stanno solo ribellando contro un autoritarismo politico sostenuto a livello internazionale,  bensì contro il modello economico imposto dall’FMI, dalla Banca Mondiale e, nel caso della Tunisia e dell’Egitto, dai programmi di riforma strutturale dell’Unione Europea. Milioni di persone sono state lasciate a se stesse mentre le imprese di proprietà statale sono state vendute  a investitori stranieri e a una cabala di partner locali, favorendo il proliferare della corruzione. (fonte)

 

Lorenzo DeclichIn 30 secondibanca mondiale,egitto,fondo monetario internazionale,foreign policy,libia,rivolta,rivolte,tunisia
'Torniamo ora ai conflitti che avevamo regolarmente messo in programma'. Questo è il titolo di un articolo di Hussein Ibish su Foreign Policy in cui l'autore si chiede se con la guerra di Libia non si sia tornati al 'caro vecchio' ordine delle cose. A questo riguardo è un po'...