Su Jadaliyya esce una specie di seconda puntata di “Orientalising the Egyptian Uprising“.

La prima era qui.

In Italia abbiamo un buon esempio di “orientalizzazione della rivolta egiziana”, lo produce Alberto Stabile che, a giudicare dalla fotina che troviamo in alto a sinistra del suo blog-di-giornale  nato solo a maggio dal titolo – ommioddio – “Mediterraneo”, è anche di ottimo umore.

E lo credo: è piacevole fare un blog-di-giornale, una forma di pubblicazione decisamente opaca.

Albertino Sorridiammé scrive questo “I forzati di Piazza Tahrir” che proverò a commentare senza passare alle offese dirette, che pure immantinente dal mio intimo emergono, eruttano senza posa in un flusso che mi risulta difficile controllare.

Partiamo dal titolo: che significa? Lo scopriamo alla fine: secondo l’autore c’è chi in Egitto fa la rivoluzione per la rivoluzione, sperando che essa “continuando all’infinito, possa permettere loro di sbarcare il lunario”.

Un concetto totalmente inane, per non dire bacchettone, per non dire stupido, se non viene sostanziato in qualche modo.

Vediamo dunque come l’A., che scrive da Beirut (ridente cittadina egiziana) cerca di sostanziarlo, non riusciendovi.

Intro:

BEIRUT – Finché la rivoluzione democratica nei paesi arabi non ha raggiunto Piazza Tahrir, la mitica piazza del Cairo dove il regime di Mubarak ha combattuto la sua ultima battaglia prima del crollo, la cosiddetta Primavera araba non esisteva come tale, anche se già, in Tunisia, la protesta popolare aveva travolto la dittatura di Ben Alì. Ma è dal Cairo, da sempre il “faro” politico del mondo arabo, ancorché talvolta contestato, che s’è irradiato quel movimento che nelle settimane e nei mesi seguenti avrebbe investito quasi tutte le capitali del Medio Oriente. Solo che adesso, cinque mesi dopo l’inizio della rivoluzione egiziana, con Mubarak e tutto il suo clan in attesa di un giudizio che si annuncia come una sorta di nemesi, Piazza Tahrir non è più quel simbolo di lotta per la libertà propostosi come modello anche alle altre piazze arabe, ma si sta trasformando in qualcosa di diverso, molto meno nobile e assolutamente da non imitare.

Vari errori:

  1. le dimostrazioni egiziane non avrebbero avuto la forza che hanno avuto se non vi fosse stato l’esempio tunisino. Riporto dal “chi siamo” degli organizzatori del 25 gennaio: “La manifestazione del 25 gennaio è stata convocata da “Siamo tutti Khaled Sa`id”. E’ una pagina di Facebook posta in essere per rendere nota la vicenda del martire Khaled Sa`id, catturato e pestato a morte in strada ad Alessandria nel giugno 2010. La manifestazione è spontanea, non era stata pianificata da alcuna forza politica o popolare. Gli eventi tunisini, verificatisi dopo la convocazione, hanno incoraggiato gli egiziani a parteciparla e a diffonderne l’idea. La pagina non è collegata a partiti, a gruppi, a movimenti o associazioni; non dipende da specifiche persone né da ideologie: è per tutti gli egiziani che vogliono affermare i propri diritti. La pagina è il risultato dello sforzo di chi la mantiene: i suoi membri sono il segreto del suo successo.”;
  2. fra le dimostrazioni tunisine e quelle egiziane vi sono le dimostrazioni algerine, represse pesantemente, e quelle giordane;
  3. non è vero che “Mubarak e tutto il suo clan” siano sotto processo, uno dei punti su cui si protesta è proprio il fatto che un ampissimo numero di persone collegate col vecchio regime siano ancora bellamente in libertà e/o parcheggino nelle stanze del potere;

L’A. spiega poi perché piazza Tahrir è diventato secondo lui un qualcosa “da non imitare assolutamente” anche se c’è da dire che questo suo giudizio, così reciso, poteva tranquillamente tenerselo per sé, visto che nessuno gli ha chiesto di spiegare a noi ma soprattutto ai manifestanti che cosa debbano o non debbano fare, visto che – di norma – la democrazia – che gli egiziani cercano – non si esercita solo nel caso che la cosa piaccia ad Alberto Stabile:

Quello che vi si è svolto nella giornata di domenica 3 Luglio, è uno scontro inedito e feroce tra i cosiddetti “venditori di tè”, e alcune centinaia di attivisti che, ignorando il bisogno di tregua che si avverte nella stragrande maggioranza della popolazione, visto anche il rischio di bancarotta che incombe sul paese, continuano a considerare Piazza Tahrir come l’estrema istanza, l’ultima risorsa per imporre le loro spesso confuse rivendicazioni al Consiglio Supremo delle Forse Armate che, per volontà condivisa delle varie fazioni rivoluzionarie, tra remore, improvvise accelerazioni e comportamenti non sempre lineari, sta guidando la transizione.

Errori:

  1. una fonte autorevole come al-Ahram (vedi qui) riporta la testimonianza di una ambulante che afferma che gli ambulanti “veri” non sono coinvolti nell’attacco. La signora dice che: “i veri ambulanti sono per la rivoluzione”. Un’altra fonte, al-Masry al-youm,  ci riporta il racconto di un attivista — che by the way è professore d’Università e non uno che vuole sbarcare in lunario con la rivoluzione — secondo il quale alcuni ambulanti sono stati pagati per attaccare gli attivisti;
  2. non si capisce da dove l’A. prenda  la dicitura “venditori di té” — non ce lo spiega — e non dica semplicemente “ambulanti” quali sono gli individui che erano a Piazza Tahrir il 3 luglio. Forse perché il té fa molto “oriente” e perché istintivamente un “venditore di té” ispira una certa simpatia
  3. la popolazione potrebbe anche aver bisogno di tregua, anzi sicuramente ha bisogno di tregua, ma bisognerebbe capire da cosa e bisognerebbe che l’A. ci spiegasse da dove ha tratto questa sua convinzione
  4. il “rischio di bancarotta” è qualcosa di assolutamente inventato dall’A. (lo informo anche che l’Egitto ha rifiutato i soldi del G8). Se non lo fosse, comunque, l’A. dovrebbe spiegarci come è arrivato a dire questa cosa. Inoltre non credo che il “rischio di bancarotta” sia in cima alle preoccupazione della “stragrande maggioranza” degli egiziani i quali, fra l’altro, vedranno probabilmente scendere il minimo salariale, nonostante che uno dei punti della piattaforma del 25 gennaio fosse invece il suo aumento.
  5. le rivendicazione dei manifestanti non sono affatto confuse. Di norma i manifestanti egiziani hanno sempre chiamato a raccolta i cittadini su una piattaforma chiara. E’ tutto documentato.
  6. la “volontà condivisa della varie fazioni rivoluzionarie” è una invenzione dell’A. E’ ovvio che non segue gli eventi egiziani. Moltissime “fazioni” chiedono tutt’altro.

L’immagine restituita dall’A. è quella di “alcuni bravi cittadini dell’Oriente, dei venditori di té, che prendono a calci uno sparuto gruppo di confusi attivisti” perché non ne possono più.

Questi attivisti non fanno nemmeno parte delle “varie fazioni rivoluzionarie”, sono dei poveri scemi.

Uno scontro, quello di domenica, culminato nel ferimento di oltre 40 persone, una decina in condizioni critiche, l’incendio delle tende erette dagli attivisti, la distruzione dei banchetti del tè e le scene abituali di una guerriglia urbana combattuta in mezzo al traffico. Ma con un dettaglio non trascurabile, la totale assenza di poliziotti che, anziché intervenire per riportare la calma, hanno preferito non farsi vedere, contribuendo a dare del paese quell’immagine di anarchia e illegalità rampante che continua a tenere lontani turisti e investitori.

Le ragioni che hanno innescato gli incidenti non sono per niente chiare. C’è chi dice che i “rivoluzionari” sospettassero che tra i “venditori” di tè vi fossero degli agenti provocatori infiltrati. Come spesso è successo nelle ultime settimane, in Egitto, le voci più disparate e incontrollabili diventato immediatamente verità rivelate e si trasformano in pretesti per innescare la violenza.

Il secondo paragrafo banalizza le informazioni contenute nel primo.

Nel secondo paragrafo si lascia intendere che siano stati “i rivoluzionari” ad attaccare gli ambulanti ma il fatto è che è successo l’esatto opposto.

L’A. non si chiede perché i poliziotti non siano intervenuti.

Si limita a dire, quasi manifestando una certa complicità nei loro confronti, che “hanno preferito non farsi vedere”.

L’A. non coglie uno dei problemi principali dell’Egitto in questo momento: il ruolo delle forze di polizia.

O forse non lo vuole cogliere perché è tutto teso a dimostrare che “i rivoluzionari” sono degli scalzacani di cui tutti sono stufi.

E’ contro la polizia, lo Stato di polizia, la corruzione della polizia che è nata la rivolta in Egitto (leggi qui), ma l’autore non lo ricorda, o non lo sa, o non vuole ricordarlo o si rifiuta di saperlo.

Forse neanche sa che la rivolta è nata il 25 gennaio perché in quel giorno c’è la festa della polizia.

Per lui gli egiziani sono solo stufi di questi rivoluzionari, così stufi che i “venditori di té” li aggrediscono e i poliziotti “preferiscono non intervenire”, come se un poliziotto avesse il diritto, in questi casi, di “preferire”.

Tutte le notizie che l’A. elide o non considera ci fanno pensare a una manovra orchestrata per fare piazza pulita degli attivisti.

Non sa, l’A., di quante volte manovre di questo genere sono state messe in atto dal 25 gennaio a oggi?

O fa finta che non ci siano?

Ma ecco che l’A. dà proprio il massimo, producendosi in un mirabile pezzo di “orientalismo contemporaneo”. Lo commenterò pezzetto per pezzetto:

Sono stato a Piazza Tahrir la settimana scorsa,

Un po’ turista, un po’ fregnone.

all’indomani degli incidenti tra le “famiglie dei martiri”,

Quindi in un momento in cui Piazza Tahrir era semplicemente Piazza Tahrir.

altra categoria più vaga di quanto non si creda,

A me vaga non sembra: sei membro di una famiglia che ha avuto una vittima durante la rivoluzione. O sei amico di una persona che in quell’occasione è caduta. Cosa c’è di meno vago? Se sai qualcosa in merito perché non ce la spieghi?

che lamentano la lentezza dei processi contro i responsabili delle uccisioni di dimostranti nei primi giorni della rivoluzione (840 morti)

E quindi fanno una protesta legittima, sacrosanta, che tutti i democratici di questo pianeta dovrebbero appoggiare, che tutti i giornalisti sorridenti di stanza “in Medio Oriente” dovrebbero monitorare, che è assolutamente in continuità con tutte le precisissime rivendicazioni degli attivisti egiziani dal 2008 a oggi.

Caro A.: ti è mai morto qualcuno in una situazione simile? Cosa faresti? Cosa sono secondo te le persone che vogliono fare chiarezza su Ustica, Bologna & co.? Sono “una categoria vaga”? Ti sembra che 840 morti siano pochi? E secondo te chi li ha ammazzati? La polizia, vero? E la polizia cosa faceva il 3 luglio? Chiudeva gli occhi.

e la polizia di guardia agli edifici pubblici della zona,

Ah… ecco

incidenti che hanno provocato oltre mille feriti.

Roba da niente, caro A., poco più che folklore caro A.

Già, giovedì sera, alla vigilia di quello che, i social rivoluzionari, avevano battezzato sulla Rete come il “Venerdì della punizione”, la piazza offriva un panorama insolito, a suo modo deprimente.

Ah, ecco, ti ho beccato, i “social rivoluzionari” li chiami.

Questo è il modo in cui ci informi, caro A., che gli attivisti appartenevano a un’organizzazione politica.

Peccato che tu non ci dica nient’altro di loro, forse perché non lo sai, o perché ormai la tua versione dei fatti è già scritta e quindi tutto il resto è solo “colore”.

Ecco il colore:

La rotonda centrale era già presidiata da gruppi di persone manifestamente indigenti, le tuniche lacere e sporche, improbabili sandali ai piedi, che s’erano ingegnati a vendere una bevanda indistinguibile che colava da termos rotti, offrendola in bicchieri di plastica usati. Poco più in là i forzati della rivoluzione, mai più numerosi di qualche centinaio, soprattutto giovani, ma non solo, avevano steso tra un albero e l’altro dei teli che sarebbe eccessivo definire tende. La possibilità dello scontro era già implicita in questa competizione per guadagnarsi lo spazio necessario nella piazza-simbolo ad affermare le rispettive ragioni: la sopravvivenza contro la militanza velleitaria.

E qui mi limito, caro A. Perché mi viene in mente un sonoro “ma vaffanculo”, e io “ma vaffanculo” non ho intenzione di dirtelo.

Di che cosa sta parlando Alberto Stabile? Quali stilemi, stereotipi sta inseguendo il quel suo cervello? Perché nota i termos e i bicchieri e non ci dice la sigla dell’organizzazione — magari microscopica — che era in piazza? Perché si sente di dirci che quelle non sono vere e proprie tende? Come dovremmo considerare queste sue osservazioni “folkloristiche”? Razzismo allo stato puro o semplicemente paternalismo postcoloniale o anche sciatteria e superficialità?

In realtà il suo è un modo per sostanziare la falsità su cui ha costruito tutto l’articolo, ovvero:

  1. che i due gruppi si contendono la piazza;
  2. che l’uno lo fa per fame, e in più “è simpatico” perché è molto, molto orientale
  3. che l’altro lo fa per sport.

Ma ecco lo showdown:

Sta di fatto che l’indomani, venerdì, la giornata in cui la preghiera islamica sfocia spesso nella protesta di massa, con buona pace dei fautori di una laica Primavera araba, l’auspicata mobilitazione non c’è stata. Nella piazza che aveva visto raggrupparsi centinaia di miglia di persone ogni giorno per settimane, venerdì scorso non s’è visto più di qualche migliaio di attivisti, forse al top sono stati in diecimila. Un fallimento, per chiamare le cose con il loro nome.

Come se non bastasse, insomma, l’A. ci dice che la rivoluzione in Egitto non è laica, agitando il vecchio e ormai sepolto spettro dello “scontro di civiltà”, dimenticando di dire che i Fratelli Musulmani, la più importante forza politica di opposizione al regime, ha titubato per settimane prima di “entrare” nella rivolta per poi subito svincolarsene, e oggi cerca di incassare quanto più possibile proprio in quanto garante di una “stabilità” che i protagonisti veri della rivoluzione — fra cui quelle poche centinaia di Piazza Tahrir — non hanno nessuna intenzione di garantire prima che siano stati raggiunti alcuni obiettivi minimi.

Inoltre ci ragguaglia circa l’esistenza di una “giornata di preghiera islamica” — un concetto che, espresso così, non significa un cazzo, ma lasciamo perdere — ma dimentica di dirci che il Venerdì in Egitto è come la Domenica da noi, e la Domenica è più facile che qualcuno partecipi a una manifestazione.

Notate anche l’intento di Stabile di minimizzare l’entità degli eventi. Che vuol dire “forse al top sono stati in diecimila”? Sono pochi?

Che cazzo. Fino a ieri c’era Hosni Mubarak e anche il più pacifico assembramento di persone era quasi sempre disperso a suon di manganellate.

La gente spariva, ammazzavano i ragazzetti per strada perché si rifiutavano di mostrare i documenti.

L’hai detto tu, Stabile dei miei stivali, i morti dal 25 gennaio sono 840!

E la polizia è sempre la stessa, e i poliziotti continuano a fare quello che vogliono.

E quelli che scendono in piazza, giudicali come ti pare, ma lo fanno rischiando la vita.

Ma porcapupazza, ma con quale cazzo di diritto questo sorridente attempato bamboccio travestito da blogger ci racconta le cose in questo modo?

Perché tanto odio nei confronti di questi attivisti che, fra le altre cose, ci hanno preso anche un sacco di botte?

Ma non hanno desistito e l’indomani, sabato, hanno convocato un sit-in questa volta auspicabilmente “oceanico” per venerdì 8 Luglio

Sono decine le organizzazioni che hanno aderito, fra cui diversi partiti, non ci sono solo i “social rivoluzionari”.

Ma Stabile lo ignora.

L’8 luglio ha contenuti che Stabile non vuole proprio prendere in considerazione.

Naturalmente hanno lasciato un presidio e lo stesso hanno fatto i “venditori di tè”, sperando che la rivoluzione, continuando all’infinito, possa permettere loro di sbarcare il lunario.

Piazza Tahrir è tua, vero Stabile? Tu ci devi poter camminare dentro associandola alle immagini di al-Jazeera.

Al mito della “primavera araba”.

Il massimo che vi può succedere è una protesta dei “venditori del té”, tanto stracciati quanto rassicuranti.

Che miseria, che tristezza.

Senti, leggi questo.

Anzi, non leggerlo, ma cerca di tornare a casa, qui in Italia.

Se devi far danni, falli almeno qui da noi.

Mica ti licenziano se lo fai.

 

Lorenzo DeclichFuori misuraalberto stabile,egitto,piazza tahrir,politica,rivolta
Su Jadaliyya esce una specie di seconda puntata di 'Orientalising the Egyptian Uprising'. La prima era qui. In Italia abbiamo un buon esempio di 'orientalizzazione della rivolta egiziana', lo produce Alberto Stabile che, a giudicare dalla fotina che troviamo in alto a sinistra del suo blog-di-giornale  nato solo a maggio dal...