Il “noi” che non accetto più
Il velenoso “Angry Arab” teme che:
L’Arabia Saudita abbia raggiunto un accordo con quegli schifosi del Consiglio militare egiziano per il trasferimento del potere a quegli schifosi dei Fratelli Musulmani, che per decadi sono stati lo strumento dei reali sauditi (e altri re del petrolio).
Temo che abbia ragione, e constato che al-Jazeera, il network televisivo che – ormai lo sapete – è prono ai desideri del regime petrolifero qatarita, ha per lunghi anni sostenuto in tutti i modi Yusuf al-Qaradawi, il telepredicatore affiliato agli Ikhwan di stanza in Qatar.
Lo stesso al-Qaradawi il cui apparato di sicurezza ha vietato a Wael Ghonim, simbolo della rivolta egiziana, di salire sul palco di Midan al-Tahrir il giorno del seguitissimo predicozzo di Yusuf.
Un predicozzo mandato in integrale da al-Jazeera. E ripreso integralmente, con commenti, da Onislam.net, il sito-clone dello scomparso IslamOnline.net.
Un Qaradawi che si è dichiarato favorevole all’attacco dei volenterosi in Libia, dopo che il Segretario generale dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), la lobby dell’islamercato a guida saudita, si era pronunciato a favore della risoluzione 1973 dell’ONU.
E che, come quelli di al-Jazeera, sta sotto real padrone.
E che decide, o vorrebbe decidere, cosa devono mangiare i musulmani in Europa.
E che supporta tutte le proteste “arabe” tranne una, quella in Bahrain, perché in Bahrain non c’è un Fratello Musulmano che è uno a protestare, sono tutti o quasi sciiti.
Ma democratici e libertari sì.
E l’Arabia Saudita ha invaso il Bahrain, con il supporto del Consiglio di Cooperazione del Golfo e della Lega Araba.
Mentre al-Jazeera non copriva gli eventi con il consueto zelo.
E lì, secondo al-Qaradawi, in contraddizione con quanto lui stesso aveva detto a Midan al-Tahrir, non era giusto abbattere la “tirannide del Faraone”.
Sì, temo che Angry Arab abbia ragione.
Potrebbe anche non averne, potrebbe avere quasi ragione ma un dato è certo: nello scenario che viene disegnato in questi giorni, ci si è dimenticati che gli attori in campo in Libia e negli altri paesi arabi in cui si è accesa la rivolta, non sono solo e unicamente quello che chiamiamo Occidente.
Anzi, chiamare quel grogiolo di interessi “Occidente” è fuorviante, oltre a suonare vagamente autocelebrativo.
E’ vero, se ci fermiamo a osservare il campo di gioco – se gioco si può chiamare – vediamo che Gheddafi ha Russia e Cina dalla sua parte.
Ma basta questo per affermare che questa è una guerra dell’Occidente?
No, davvero non basta, perché se anche dovessimo fare il discrimine – che poi mi vien da ridere – fra chi promuove i diritti umani e chi no – una cosa che, mi rivien da ridere, dovrebbe essere “patrimonio dell’Occidente” – troveremo nei volenterosi appunto il Qatar o gli Emirati, che di democrazia e diritti umani proprio non vogliono sentir parlare.
E, sullo sfondo, l’intera batteria del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che i suoi “cittadini” li mette in galera senza processo e butta le chiavi.
Che li ammazza a mazzi.
Che inventa una truffaldina “rete unica a difesa dei diritti umani“, esattamente come il figlio pelato di Moammar inventò, a suo tempo, la sua bella Human Rights Association.
Potremmo allargare l’idea di “Occidente” ai “Faraoni” del Golfo, dire che quelli non sono altro che puppet tyrants, ma – oltre a schiacciarci definitivamente sulle posizioni di Osama bin Laden – faremmo un errore di valutazione evidente perché il re del Qatar, il re dell’Arabia Saudita e tutti gli emiri del Golfo non sono burattini dell’Occidente ma protagonisti, che si muovono nello scenario internazionale con le proprie forze per proteggere i propri interessi.
Esattamente come fanno gli altri.
Il virus occidentale colpisce tutti, qui da noi. Pacifisti o guerristi che siano.
Il peccato originale della “presunzione di civiltà” non abbandona questi lidi.
Noi. Chi siamo “noi”? Chi sarebbero “loro”?
Quel “noi” che ci ordina attorno a dei principi, a dei valori attorno ai quali poi discutiamo: pace e guerra, guerra umanitaria, diritti umani?
Se siamo contro o a favore non cambia nulla, perché stiamo facendo il discorso sbagliato.
E’ una truffa, sono le piazze (arabe) che hanno affermato principi e valori.
Tutti gli altri hanno sparato.
Dividersi fra pacifisti o guerrafondai, lanciandosi accuse reciproche, magari anche velenose, è oggi solo un gioco delle parti.
Significa solo guardare a se stessi, guardare a se stessi in quanto ci si pensa ancora come Occidente.
Significa scagliarsi contro l’obiettivo sbagliato.
Significa cancellare quelle piazze, che il mio vero “noi” vorrebbe continuare a vedere piene e in festa.
Cosa scegliete di fare, voi, i Don Chisciotte veri o quelli taroccati?
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Uno dei post più interessanti dall’inizio delle rivolte.
Comunque, secondo me, è che la rivoluzione durerà a lungo e chi prenderà il potere domani in Egitto non sarà lo stesso che lo avrà dopo domani.
Anche perché una volta che si passa in regime di democrazia è difficile (non impossibile) blindare l’accesso al potere.
Terribili nuove oggi dalla Siria, la Libia ha messo tutto il resto in secondo piano.
Cionostante cerco ora di dare un aggiornamento in “90 secondi” sulla situazione militare Libia.
Tutta la conduzione strategica della guerra in Libia è stata, dal 17 febbraio, concentrata sul controllo delle città.
Questo vale sia per i ribelli che per i lealisti.
Per i lealisti questa strategia aveva un senso, anche se poi si è rivelata fallimentare.
In particolar modo una volta circondata Ajdabiya i gheddafiani hanno marciato direttamene su Bengasi, senza trascurare del tutto Misurata ma evitando di marciare su Tobruk.
Da un lato cercavano una corsa contro il tempo per prevenire ogni possibile intervento straniero, dall’altro tentavano di conquistare la capitale dei ribelli per schiacciarli politicamente.
Oggi i ribelli, protetti dalla no-fly zone, replicano la loro caccia alla città.
In particolare sono in corso duri scontri ad Ajdabiya, città in cui alcuni quartieri (centrali) sono in mano ai ribelli, circondati dai lealisti, a loro volta circondati dai ribelli (che hanno ripreso Zueitina e con essa interrotto i collegamenti via mare dei Gheddafiani).
Almeno una delle brigate lealiste sta pensando di arrendersi, o così si dice.
Il modo in cui questa resa avverrà, e il come i prigionieri saranno trattati, è fondamentale per tutto il prosieguo della rivolta.
Fino ad ora infatti molti soldati di Gheddafi hanno disertato, ma non c’è stata alcuna resa di massa, solo rese individuali o di piccoli gruppi. Alcuni prigionieri (tipicamente dalla pelle scura e quindi sospettati di essere mercenari) sono stati uccisi.
Se i prigionieri di Ajdabyia saranno maltrattati non ve ne saranno nemmeno in futuro, in caso contrario la voglia di resa potrebbe diffondersi anche ben oltre la linea del fronte.
Il migliore reparto di tutto l’esercito ribelle, il (36 ° Battaglione Saaiqa) è ancora circondato all’interno della città.
Le truppe che assediano i lealisti invece sono di pessima qualità, almeno dal punto di vista della disciplina formale e del comando (ma un generale libico, già in esilio negli USA, è arrivato sul posto, è un veterano della guerra del Chad e dovrebbe fungere da richiamo per i reduci), oltre che di equipaggiamento e armamento ancora precario.
Questa battaglia è ancora fondamentale per le sorti della ribellione. Anche solo per l’importanza nel recuperare il 36° battaglione, benché questo reparto, impegnato in linea dal 16 marzo, sarà ormai sfiancato.
Poi se i ribelli non cambiano strategia, evitando di immischiarsi in una battaglia per i porti del golfo della Sirte, e puntando invece ad un aggiramento strategico diretto su Tripoli o Misurata, la guerra è destinata a durare ancora a lungo.
Anche perché, malgrado i bombardamenti, l’esercito regolare libico regge ancora abbastanza bene (non in maniera impeccabile però).
Si segnanalano anche 2-3 violazioni della no-fly zone da parte delle sue forze aeree.
Un aereo libico sarebbe stato abbattuto dai francesi, ma potrebbe essere una manovra “propagandistica” per pareggiare il conto con l’affermazione (falsa) di un aereo francese abbattuto.
A Misurata i combattimenti continuano, la situazione lì è “disperata” da una settimana, con diversi tipi di problemi per i “volenterosi” che volessero contribuire ala difesa della città (raid ripetuti, dal 22 marzo, si segnalano in quella zona).
Però i ribelli non cedono. Forse proprio perchè Gheddafi tratta i prigionieri come ben sappiamo.
Secondo molte teorie i soldati danno il meglio di se sono rispettate tre condizioni: hanno un obbiettivo onorevole e psicologicamente stimolante a portata di mano, se vengono feriti le cure mediche sono tempestive e accurate, il nemico tratta male i prigionieri.
Gheddafi aveva queste condizioni la settimana scorsa, i ribelli potrebbero averle la prossima, se marciano verso un obbiettivo un po’ più pagante di Ra’s Lanuf (per esempio le carceri attorno a Tripoli…).
Sarebbe un’attacco alla garibaldina (o alla Che Guevara a Santa Clara se preferite), tutto coraggio e niente testa, ma questo è il tipo di operazioni che riescono meglio agli irregolari.
Ultima nota, con il decollo dell’operazione Protector i rifornimenti per Gheddafi diventano più difficili, ma è la via da Chad (con triangolazioni che coinvolgono Zimbawe e Bielorussia) quella per lui vitale.
Se puntiamo sull’esaurimento dell’arsenale lealista dovremmo aspettare mesi e mesi prima della resa, e Gheddafi è sempre stato capace di violare gli embarghi. anche perché è difficile portare armi in Libia, ma è quasi impossibile impedire il contrabbando. Se hai una montagna d’oro le munizioni riesci a procurartele sempre.