Andiamo per ordine, ricordando ai lettori chi è Abdelhakim Belhaj, cioè l’attuale capo del Consiglio militare di Tripoli.

Trattasi del ex-capo del Gruppo Islamico Combattente per la Libia, الجماعة الإسلامية المقاتلة بليبيا‎, ovvero Libyan Islamic Fighting Group, ovvero LIFG, un gruppo da lui fondato ufficialmente nel 1995 insieme ad altri jihadisti come lui che andarono a combattere contro i russi e poi gli americani in Afghanistan. Un gruppo che, ricordiamolo, ha sempre avuto come obbiettivo la defenestrazione di Moammar Gheddafi e che per questo dal Qa’id fu perseguito con determinazione.

Affiliato, appunto, di al-Qaida in Afghanistan e Iraq e a “lungo ricercato dalla Cia, viene rintracciato e catturato dagli americani nel 2003 in Malesia. Trasferito in un carcere segreto di Bangkok viene interrogato e, probabilmente, torturato fino a quando nel 2004 viene consegnato ai servizi segreti libici” (fonte). Uscirà poi dalle prigioni libiche nel marzo 2010 grazie a Sayf al-Islam Gheddafi e al suo programma di riconciliazione nazionale per ricomparire fra le fila degli insorti, e in particolar modo nel Jebel Nafusa.

L’uomo, secondo intelligenceonline.com, non ha soltanto combattuto nel Jebel Nafusa dalla parte degli insorti, ma anche a stretto contatto con ben 4 agenzie di intelligence: CIA (americana), SAS (francese), MI6 (inglese), DGSE (francese).

In seguito si è scoperto che la sua katiba era finanziata dal Qatar (Maghreb Confidentiel, 22 settembre 2011.) e che Abdelhakim altri non è che un uomo del Qatar, un paese la cui strategia in Libia passa per il foraggiamento, in diverse forme, delle diverse compagini dell’islam politico (vedi anche qui).

Tempo fa scrivevo che, in questo contesto, Belhaj era “interessante” per un motivo preciso: quest’uomo per ben 2 volte – in Afghanistan e Libia – aveva lavorato a fianco di una struttura di intelligence straniera pur dichiarandosi assolutamente “patriottico” ed avendo effettivamente il gruppo di cui fu capo, il LIFG, un obbiettivo tutto “libico”. E pur non essendo mai stato a Guantanamo, notizia fatta circolare dalla propaganda gheddafiana e che ora che gira sul web come fosse una verità assoluta.

Bene, iniziamo a raccontare la storia. Il 25 novembre scorso una pubblicazione algerina, Algeria ISP, riporta che Abdelhakim Belhaj è stato fermato all’aeroporto di Tripoli con un passaporto falso e posto in stato di fermo. Algeria ISP riporta anche che l’uomo aveva con sé una borsa piena di soldi e si stava dirigendo in Turchia. A fermarlo sarebbero stati i combattenti di Zintan, saltati sulle prime pagine dei giornali per aver catturato Sayf al-Islam Gheddafi (rifiutando poi per diversi giorni di consegnarlo alle autorità centrali): loro, e probabilmente il loro principale referente, cioé il nuovo Ministro della Difesa Osama al-Juwali, anch’egli di Zintan, vedono Belhaj come un agente del Qatar in Libia o comunque come un personaggio da cui guardarsi bene. Il “prigioniero illustre”, Saif al-Islam Gheddafi, che Belhaj lo conosce benissimo per aver trattato direttamente con lui, in quanto capo del LIFG, ai tempi del “programa di riconciliazione”, dichiarava al Telegraph lo scorso 22 novembre che Belhaj era un personaggio bifronte da cui tenersi lontani, una riflessione in fin dei conti autoaccusatoria, essendo stato lui — come ho appena precisato — a farlo liberare nel 2010.

L’opposizione all’influsso qatarita in Libia si è fatta sentire recentemente con la voce dell’ex-Ministro degli esteri libico e ora ambasciatore presso le Nazioni Unite, Abdurrahman Shalgham, mentre già lo scorso 17 ottobre un comandante militare di Zintan, Muktar al-Akhdar, dichiarava al Wall Street Journal: “I nostri fratelli del Qatar ci hanno aiutato a liberare la Libia, ma ora stanno interferendo nei nostri affari interni”. Lo stesso al-Akhdar che ora si trova a Tripoli al comando dei suoi thuwar (circa 1.200) che hanno fermato Belhaj all’aeroporto. Fornendo anche le immagini del suo passaporto falso:

E siamo al primo punto nodale di questa storia, sempre che diamo per certo che questo falso passaporto sia vero. La domanda è: perché Belhaj stava uscendo dalla Libia diretto in Turchia in incognito (e per di più con una valigia di soldi al seguito)?

Algeria ISP formula queste domande, abbastanza fantasiose:

  1. Belhaj era minacciato di morte?
  2. Belhaj voleva andare in Turchia in incognito per conto del Consiglio Nazionale di Transizione per ingraziarsi turchi e sauditi in opposizione alla “nuova opposizione” al CNT di Shalgam (e Jibril)?
  3. Belhaj voleva cambiar vita dopo aver perso il posto di Ministro della difesa?
  4. Belhaj aveva un passaporto falso perché gli hanno confiscato quello vero per evitare che lasciasse la Libia?
  5. Belhaj ha terminato la sua missione di distruggere la Libia e di offrirla all’Occidente, è stato pagato e quindi torna da dove è venuto?

Alcuni nodi vengono al pettine consultando altre fonti.  Il 26 novembre la stessa Algeria ISP affermava, sempre mantenendosi su un livello narrativo di tutto rispetto, che Belhaj fosse in Turchia, alla frontiera con la Siria, alla testa di 600 uomini, pronto a entrare in quel paese per combattere contro al-Asad e con l’aiuto militare diretto della Turchia.

Il giorno seguente il Telegraph offriva la versione seguente: Belhaj si è incontrato, prima a Istanbul e poi al confine con la Siria, con i leader del Free Siryan Army, l’esercito dei militari siriani ribelli rifugiatosi in Turchia. E’ stato il Presidente ad interim libico, Mustafa Abdul Jalil, a mandarlo lì. Doveva essere un’operazione segreta ma la cosa è stata smascherata all’aeroporto dalle milizie di Zintan e solo una lettera del suddetto Presidente ad interim ha sbloccato la situazione permettendo a Belhaj di partire.

Il tutto sarebbe inscritto in un contesto di sempre più stretti rapporti fra il governo libico e gli ufficiali ribelli siriani, ai quali i primi starebbero offrendo armi, denaro e logistica: in Libia sarebbero in molti a voler partire per combattere in Siria, ma gli ufficiali ribelli siriani negano la presenza di libici alla frontiera siro-turca. Laddove altre fonti parlano di quattro libici in procinto di entrare in Siria sarebbero stati fermati proprio alla frontiera. Di qui anche i “rumors”, riportati su Globalist, di “squadre della morte” anti-Asad che circolano in Siria.

Finito il racconto di fatti e supposizioni le domande aumentano e le risposte scemano. A voi l’arduo esercizio. Per quanto mi riguarda di risposte per ora non ne ho, sebbene mi ci lambicchi. Ad esempio: possiamo definire Belhaj un vero e proprio mercenario del jihad? La sua biografia di “arabo-afghano” in contatto, certo non sempre amichevole. con servizi segreti di mezzo mondo le cui milizie sono foraggiate dal Qatar non sarebbe in contraddizione con questa ipotesi. E’ possibile che un uomo che ha sempre combattuto un generico jihad si faccia pagare per questo e la valigia di denaro lo confermerebbe. Ma che interesse avrebbe il Governo ad interim di mandare “in missione” Belhaj in Siria? Sinceramente poco, a meno che più che una missione non si tratti di un accordo fra le due parti in base al quale Belhaj se ne sarebbe andato, con una valigia di soldi, per “togliere definitivamente il disturbo”, vista la mutata situazione in Libia. O comunque un modo per “decomprimere” la situazione in Libia, anche alla luce di ciò che potrebbe dire, al processo, Sayf al-Islam Gheddafi (vedi anche qui e qui).

E infine credibile l’ipotesi che la Turchia armi queste persone? Su questo davvero non saprei cosa rispondere, ma a naso risponderei di no. Così come non saprei rispondere in merito al più generale argomento delle infiltrazioni in Siria di milizie prezzolate in funzione anti-Asad. Di queste milizie si parla fin dall’inizio della rivolta siriana. Ne parla soprattutto la propaganda di al-Asad. Se confermata, la notizia avvalorerebbe la tesi delle due opposte forze controrivoluzionarie che si confrontano in Siria, quella interna di al-Asad e quella esterna dei paesi del Golfo. Per quanto mi riguarda posso dire con certezza che si confrontano, in questo quadro, due opposte propagande.

 

Lorenzo DeclichIn 30 secondiabd el-hakim belhaj,al-qaida,cnt,jihad,jihadismo,libia,propaganda,qatar,sayf al-islam gheddafi,siria,turchia,zintan
Andiamo per ordine, ricordando ai lettori chi è Abdelhakim Belhaj, cioè l'attuale capo del Consiglio militare di Tripoli. Trattasi del ex-capo del Gruppo Islamico Combattente per la Libia, الجماعة الإسلامية المقاتلة بليبيا‎, ovvero Libyan Islamic Fighting Group, ovvero LIFG, un gruppo da lui fondato ufficialmente nel 1995 insieme ad altri...