Conferenza permanente “Religioni, cultura e integrazione”
L’avevo chiamata Consulta su religioni e integrazione perché era con questa dicitura che le fonti da me usate la descrivevano.
E invece si chiama Conferenza permanente “Religioni, cultura e integrazione” e si è riunita ieri per la prima volta.
Presieduta dalla Ministra degli Interni, Annamaria Cancellieri, e del Ministro della Cooperazione e dell’Integrazione, Andrea Riccardi.
Vi hanno partecipato un centinaio di rappresentanti delle confessioni religiose presenti in Italia:
“Lavorare per l’integrazione oggi è un gesto di fiducia nel futuro dell’Italia”. Così il ministro della Cooperazione e dell’Integrazione, Andrea Riccardi, ha spiegato ieri il senso della conferenza permanente “Religioni, cultura e integrazione” durante l’incontro di insediamento dell’organismo.
In Italia ci sono circa 5 milioni di immigrati, la maggior parte dei quali di religione diversa dal cattolicesimo, confessione principale degli italiani. Ma vivere insieme si può, e in questo sforzo di integrazione i leader delle comunità religiose possono svolgere un ruolo molto importante. Sono questi i presupposti con cui i ministri dell’Interno, Annamaria Cancellieri, e dell’Integrazione, Andrea Riccardi, hanno promosso la Conferenza.
In una sala affollata di persone con i simboli religiosi più diversi – dai turbanti variopinti dei sikh ai copricapo dei preti ortodossi alle lunghe tuniche dei monaci buddisti – la conferenza ha preso il via con le parole di Riccardi, che ha sottolineato come l’integrazione sia “un passaggio delicato” che “dobbiamo affrontare tutti insieme”.
“Oggi il nostro problema – ha spiegato ancora Riccardi – è costruire una società integrata, dove non si perdano i costumi e le tradizioni religiose della propria terra ma si viva insieme in una casa comune che si chiama Italia”. Proprio in questo processo i responsabili delle comunità religiose “possono essere mediatori per un’integrazione virtuosa che non significhi azzeramento del proprio patrimonio religioso e culturale ma che sia apertura alla lingua, alla cultura e all’identità italiana”. A tutti, e in particolare ai leader, è “chiesto il ripudio non solo della violenza ma anche di un linguaggio violento contro altri gruppi etnici o religiosi o altri Stati”. Su questi presupposti, il ministro ha poi dichiarato che “faremo di tutto per migliorare, nei prossimi mesi, l’accordo di integrazione che un immigrato è chiamato a sottoscrivere per conoscere meglio la lingua e i principi politico-istituzionali che reggono l’Italia”.
Il ministro Cancellieri si è detta convinta che “l’osservanza di più religioni è stata e potrà continuare a essere sostenuta dal solido tessuto costituzionale del nostro Paese, basato sui principi di democrazia laica”. “Il confronto tra identità diverse – ha aggiunto – dovrà respingere ogni pretesa di supremazia, che inevitabilmente porta al conflitto e alla chiusura settaria”.
Messe da parte le formalità bisognerà ora capire il ruolo del nuovo organismo che sembra, al contrario di ciò che scrivevo l’altro ieri, ha una forma diversa dai precedenti.
Pubblico qui la lettera degli scontenti, cioè l’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti):
Gentile Prof. Andrea Riccardi,
le scriviamo perché abbiamo avuto notizia che oggi si insedierà la Conferenza nazionale permanente “Religioni, cultura e integrazione”, un organismo consultivo da lei promosso in qualità di ministro.
Abbiamo inoltre avuto modo di leggere che, nel presentare l’iniziativa, lei ha voluto sottolineare “l’importanza del contributo che gli esponenti religiosi, molto influenti all’interno delle comunità presenti in Italia, possono dare nel favorire il dialogo, la conoscenza reciproca, la convivenza e l’integrazione”.
Ci permettiamo di formularle pubblicamente alcune critiche in merito a tale iniziativa, e alle modalità con cui è stata posta in essere.
Innanzitutto, rileviamo come, ancora una volta, non siano stati oggetti di attenzione i rappresentanti dei non credenti. Che pure, secondo l’ultimo Dossier Caritas-Migrantes, costituiscono il 4,3% degli immigrati.
Osserviamo inoltre che affrontare il problema dell’integrazione attraverso un rapporto preferenziale con le comunità, anziché con gli individui, è un errore che è già stato pagato a caro prezzo in paesi come il Libano o, per restare al mondo occidentale, nel Regno Unito. Il multiculturalismo politico è fallito ovunque, in special modo laddove si è concretizzato in mero multiconfessionalismo. Se la creazione di ghetti identitari non giova in alcun modo all’integrazione, e ne costituisce anzi la maggior minaccia, la decisione di convocare i leader delle comunità di fede rafforza tale rischio. Ulteriormente amplificato dal coinvolgimento di organizzazioni controverse, quali l’Ucoii.
La sua iniziativa si caratterizza dunque per un favor religionis che è ulteriormente fuori luogo in quanto, come evidenziato da quasi tutte le ricerche sociologiche esistenti, i non credenti sono più tolleranti dei credenti nei confronti degli immigrati.
La sua impostazione tuttavia non ci sorprende, visto che lei è stato il fondatore di un’autorevole comunità cattolica, quella di Sant’Egidio. La nostra opinione è del resto ulteriormente corroborata dalla presenza, alla prima seduta della Conferenza, del sociologo cattolico Giuseppe De Rita, presidente di quel Censis recentemente autore di un Rapporto, peraltro viziato da gravi lacune, che ha voluto riaffermare il perdurare dell’influenza della religione sulle persone.
A nostro avviso, è invece soprattutto l’influenza della religione sulla politica a crescere di giorno in giorno. Circostanza che non costituisce affatto un elemento positivo per la società italiana.
Cordiali saluti
Raffaele Carcano, segretario Uaar
Tacciono invece, per quanto mi è dato sapere, altri soggetti.
https://in30secondi.altervista.org/2012/03/20/conferenza-permanente-%e2%80%9creligioni-cultura-e-integrazione%e2%80%9d/In 30 secondiconferenza permanente religioni cultura e integrazione,italia,uaar
Effettivamente il punto nodale dell’errore di Riccardi è il suo affrontare l’immigrazione all’insegna del dialogo inter-religioso.
Errore inevitabile forse per la sua formazione, anche se gli riconosco d’essere una delle personalità meno fastidiose di questo governo.
Religioni, itergazione e cultura riguardano problemi enormememente distinti, molti mussulmani sono cittadini italiani, per conversione, matrimonio, naturalizzazione, mentre quasi tutti i filippini sono cattolici.
Io sono favorevolissimo che in sede ministeriale vi sia un luogo di dialogo con tutte le comunità religiose, che sia però destinato esclusivamente ai rapporti tra le confessioni e lo stato, sia dentro che fuori le dinamiche concordatarie.
Anzi il dialogo tra stato e chiese è uno dei maggiori pilastri della laicità dello stato.
Viceversa i problemi connessi con il multiculturalismo, i migranti ed i “meteci” (ormai li chiamo così, visto che solo la democrazia ateniese era così ostile a concedere la cittadinanza ai figli degli “stranieri”, in una visione di Jus Sanguinis che allora poteva anche avere un minimo di senso)hanno scarsissima attinenza con il discorso religioso.
Una delle più importanti storiche cinquecentiste, che si occupò molto di identità religiosa e di riforma portestante è Natalie Zemon Davis. Lei già negli anni ’50-’60, mentre peregrinava per l’Europa e il Canada scacciata dal maccartismo americano, sottolineò come le persone siano sempre portatrici, a livello culturale, di identità multiple.
La religione contribuisce a creare un identità, la nazionalità e la regionalità un’altra, la “classe/ceto” e la professione un’altra ancora; e poi ci sono le questioni di genere, quelle d’educazione, quelle d’appartenenza politica ecc. ecc. In pratica non esterebbe “la cultura di un popolo”, ma “le culture del popolo”,
Una tavola che voglia essere dedicata all’integrazione e all’immigrazione è una tavola che si occupa di identità multiple. Proprio perché un filippino non è meno “straniero” di un algerino, anche se è più cattolico ed apostolico di molti romani.
Mentre anche un bambino si accorgerebbe che due mussulmani non sono differenti (culturalmente) solo se sono sciiti o sunniti, oppure sufi o salafiti, ma anche e sopratutto se sono nati in paesi arabofoni, in Africa occidentale, nel subcontinente indiano o nel sud-esta asiatico.
Gli stati esistono, pur con tanti problemi, ed è anche attraverso le nazionalità che si deve affrontare il percorso di integrazione. Oltrettutto avendo come interlocutori, non privilegiati ma partecipanti, anche gli stati d’origine di alcune di queste comunità (sopratutto se l’immigrazione da questi stati non è formata da rifugiati politici).
Eviteremmo di dare a persone autonominate il compito di rappresentare comunità inventate. E in aggiunta bisogna anche capirsi su cosa vogliamo ottenere. Un Italia multiculturale? Un Italia inter o infra-culturale? Un Italia nazionale ma multiconfessionale e multietnica?
Comunque su molti di questi temi sto diventando quasi un liberale ed inizio a chiedermi se le dinamiche reali in atto nella società non siano già più che sufficienti e il compito della politica sia solamente quello di adeguarsi a quanto di buono sulla via dell’integrazione questo paese stia facendo (anche perchè il razismo è nei giorali, mentre, nell’Italia reale che non fa notizia, i miei ex alunni _ho fatto il supplente alle medie alcuni anni fa- che giocavano assieme senza far caso a colore della pelle o religione o nazionalità, sono solamente “l’Italia di domani”).
Quindi invece di un tavolo servirebbe molto di più una legge sullo Ius Solis o similia, che permetta allo Stato di considerare Musa uguale al suo amico Pierre e al suo amico Andrea, proprio come loro tre facevano da bravi compagni di banco.
Ma è proprio questo il limite che Riccardi, con decisione politica, ha scelto di non oltrepassare.
D’altronde i tempi e la struttura del Governo attuale non permettono di arrivare a una legge qualsivoglia. A me, detto sinceramente, sembra molto un’iniziativa di facciata, uno specchietto per le allodole. Ma potrei sbagliarmi. Le “tre leggi” che ho propagandato negli ultimi tempi dovrebbero essere fatte tutte insieme, allora forse si qualcosa cambierebbe. Riguardo agli atei secondo me fanno l’errore di non considerare la dimensione comunitaria che nelle religioni esiste ed anzi è sostanziale, ma esiste anche in altri contesti. Qui è importante la forma che si dà alle leggi. Si dovrebbe cambiare l’intero impianto legislativo italiano. Come ho scritto più volte “una legge quadro sulle libertà religiose che tuteli le esigenze religiose delle persone umane e dei gruppi di loro aggregazione, di qualsiasi entità, consistenza, radicamento sociale, non delle sole confessioni religiose, non solo di quelle più influenti e non solo da pretesi statuti personali, quali dovrebbero discendere direttamente dalle relazioni contrattate a livello di Governo, ma per disposizioni generali ed astratte, valide per tutti i soggetti collettivi a carattere religioso”.