[riporto dal sito dell’autore, Karim Metref, questo lungo articolo sul Mali del Nord]

1. Mi ricordo quando ero piccolo che il Mali era indicato nei telegiornali, dell’unico canale televisivo algerino, come paese fratello. Le visite del presidente Moussa Traore, salito al potere dopo il colpo di stato del 1968 (un anno appena dopo la mia nascita) hanno accompagnato gli anni della mia infanzia, poi quelle dell’adolescenza. Nei palazzi di Algeri, il Traore era come a casa sua. Soprattutto nell’era di Chadli Benjdid (1979-1992). Oltre alle regolari visite del suo dittatore, di informazioni da quel paese non ci arrivava niente. Per noi era un paese dell’Africa Nera come gli altri. Non sapevamo nemmeno che ci fosse in Mali, Niger e Burkina Faso tutta una parte Nord abitata a maggioranza da Tuareg ma anche da arabi e mauri.

Da dove arriva questa ribellione?

Quando nel 1990 nel nord del Mali e del Niger inizia la grande insurrezione dei Tuareg, I mezzi d’informazione nel Nord Africa la ignorarono completamente. Io personalmente scoprii l’esistenza del conflitto soltanto arrivando a Tamanarasset nell’estremo sud dell’Algeria per passarci le vacanze invernali e trovai la tranquilla città turistica sommersa da profughi Tuareg et Peul scappati dai due paesi vicini. Da lì ho preso coscienza del dramma che colpiva questi paesi e in modo particolare i Tuareg.

Fino a quel momento, per me, come per l’occidentale medio, i tuareg erano solo una cosa esotica. Uomini coperti dalla testa ai piedi che viaggiavano sui mehari, i dromedari più veloci del deserto. Scoprii la tragedia di un popolo abituato a spostarsi liberamente su una superficie più grande dell’Europa che vive tagliato su 5 nazioni che, come quasi tutte le nazioni africane, furono inventate dal colonialismo europeo: Mali, Burkina Faso, Niger, Libia, Algeria.

I Tuareg sono uno tra le componenti della popolazione berbera del Nordafrica. In berbero si chiamano ‘Imuchagh’ e la loro lingua è il ‘Tamachek’. È un popolo di circa 6 milioni di anime sparse su un territorio per lo più desertico che, se fosse stato riconosciuto come stato, sarebbe il più grande dell’Africa. Ma nella situazione ereditata dalla gestione coloniale sono una minoranza molto piccola in tutti i 5 paesi dove si ritrovano. La divisione del loro territorio in 5 parti, anche se dagli anni 50 hanno rivendicato il diritto ad una nazione autonoma, è dovuta probabilmente ad una rappresaglia per il fatto che è stato l’ultimo popolo africano a deporre le armi contro il colonialismo francese. Mentre tutta l’Africa era colonizzata da un secolo, il territorio Tuareg è stato definitivamente “pacificato” soltanto negli anni 30 del secolo scorso.

Storicamente sono sempre stati autonomi. Nessun regno africano li ha mai inglobati. Hanno vissuto di commercio collegando con le loro carovane il nord dell’Africa alla parte subsahariana, trasportando sale, oro, spezie, datteri, pelli, legni preziosi, avorio… Ma periodicamente, spinti dalla siccità o da qualche faida, le loro razzie hanno terrorizzato i popoli che vivevano sia a nord che a sud del loro territorio. Guerrieri orgogliosi e temuti sia a nord che a sud del Sahara, si consideravano una casta superiore e non praticavano altro mestiere che la guerra, la pastorizia e il commercio. I lavori considerati umili erano lasciati a popoli che sono venuti a vivere sul loro territorio sia per costrizione come le tribù di tuareg neri chiamati ‘kel Aklan’ (in berbero letteralmente: clan degli schiavi) o per bisogno come le tribù arabizzate dei ‘harratin’ (in arabo: aratori o coltivatori). E da qui si può immaginare la frustrazione di un popolo così fiero quando la diabolica divisione coloniale dell’Africa lo lascia sottomesso proprio a maggioranze di Aklan e di Harratin.

Ma se il popolo tuareg come tutti gli altri ha i suoi razzismi e le sue colpe negli scontri che lo hanno opposto ad altre componenti del mosaico africano, non si può dire che non ha fatto sforzi per convivere in seno ad una nazione multietnica.

In realtà le varie insurrezioni (1962, 1990, 2006…) che li hanno opposti ai regimi del Mali e del Niger sono state su base di rivendicazioni sociali all’inizio: scuole, elettricità, acqua, giustizia sociale, partecipazionealla gestione… Ma hanno avuto come risposta da parte dei regimi solo repressione, campi, massacri, esecuzioni sommarie, raid dell’esercito e dei gruppi paramilitari… con spesso veri e propri crimini contro l’umanità commessi nei loro confronti nel silenzio generale della comunità internazionale. Le varie intermediazioni, dell’Algeria e della Francia in primis, hanno prodotto dei trattati di pace che poi non sono mai stati rispettati. E poco a poco il movimento è andato radicalizzandosi per arrivare a rivendicare l’autonomia dell’Azawad, la parte sud occidentale della terra dei Tamachek. É da questo lungo percorso che arriva l’insurrezione di questi mesi dei guerriglieri tamachek del MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad).

Ma da dove esce questa armata che ha messo a sacco le caserme dell’esercito regolare maliano?

Il MNLA è una larga alleanza tra vari movimenti politici e militari dell’Azawad. Di sicuro le componenti principali sono il Mouvement National de l’Azawad (MNA), un grouppo politico composto in maggioranza da giovani attivisti di classe media colta e ci sono i vecchi guerriglieri dell’ex-Alliance Touareg Niger Mali (ATNM), che sono stati in prima linea durante l’insurrezione del 2006 e che sconfitti nel 2009 si sono rifugiati in Libia dove Moammar Cheddafi gli ha arruolati nel suo esercito, armandoli con armi moderne e formando con loro una unità speciale per i combattimenti nel deserto. Ma i portavoce ufficiali dichiarano che “il MNLA è l’emanazione delle aspirazioni dei tuareg et di una buona parte dei Songhaï, Peul et Mauri dell’Azawad per l’autonomia”. Approfittando della caduta del regime di Tripoli i soldati tuareg hanno lasciato il suolo libico portando con loro armi e attrezzature e hanno lanciato questa nuova offensiva. Il Mali indebolito dal lungo regno di Amadou Toumani Touré, che ha dato le dimissioni ieri dopo un copo di stato, al potere apertamente o dietro le quinte da quando fece cadere la dittatura di Moussa Traore nel lontano 1991, anche lui in un colpo di stato (chi di spada ferisce…) sostituendola con un nuovo sistema salutato da tutti come una transizione democratica ma che altro non era che una oligarchia dove i militari hanno sempre fatto la pioggia e il bel tempo. 50 anni di potere militare in uno dei paesi più poveri del pianeta portano l’esercito a diventare una specie di associazione a delinquere che si occupa più dell’arricchimento personale degli ufficiali che dell’ordine o della sicurezza. Il nord del paese è da vari decenni diventato una vera e propria autostrada di tutti i traffici, armi, droga e esseri umani compresi e ciò con complicità altolocate nell’esercito maliano. É chiaro che in una situazione del genere, alla prima allerta cade tutto a pezzi. Ed è proprio quello che è successo appena i reparti dell’esercito a nord si sono scontrati non più con dilettanti armati di kalashnikov ma con vere unità militari addestrate, organizzate e dotate di armi pesanti e di mezzi di trasporto veloci.

Da lì al colpo di stato, ai disordini e saccheggi, alla fuga delle unità regolari dal nord del paese e la presa di potere del MNLA in una parte del Nord e di un altro gruppo descritto come vicino a Al Qaeda in un altra parte c’è stato solo un passo che è stato fatto in pochi giorni.

2. L’azione del Mnla ha portato alla presa di tutta la parte del paese che si trova a Nord del fiume Niger. In seguito il Movimento di Liberazione proclamò l’indipendenza. Proclamazione non ancora riconosciuta da nessuno stato sovrano. Pochi giorni dopo quella proclamazione, Alcuni gruppi armati che dichiarano di appartenere direttamente o di essere vicini ad al-Qaida aumentano l’intensità delle loro azioni e conquistano anche loro una parte del territorio.

Anche se i media internazionali hanno spesso fatto l’amalgama, bisogna fare la parte delle cose però. Un conto è al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI) un conto sono i ribelli del MNLA.

Il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad è un movimento di liberazione che viene da una lunga storia di lotta per l’indipendenza del popolo tuareg. Questo popolo che è stato macellato dalla divisione coloniale dell’Africa in cinque porzioni spartite tra Algeria, Libia, Niger, Mali e Burkina Faso. I Tuareg hanno sempre avuto una religiosità molto particolare, mai rigida. Le donne Tuareg godono di potere e di libertà come o forse più dei maschi. Probabilmente la società fino al recente incontro con le religioni monoteiste è stata di stampo matriarcale. Il movimento di liberazione Tuareg anche se spesso accusato dai francesi di estremismo religioso, accusa che rivolgevano del resto a tutti i ribelli in Nord Africa, è sempre stata di stampo laico.

Al-Qaida nel Magreb Islamico invece è un elemento estraneo alla terra dei Tuareg e a tutta la zona dello Sahel dove si muove, traffica, combatte e complotta da ormai una decina di anni. L’AQMI è una eredità della guerra civile algerina. I suoi leader storici, Hassan Hettab e Amari Saïfi (Abdel Razak El Para) sono “ex” ufficiali dei reparti di élite dell’esercito algerino. Entrambi arrestati poi liberati (messi sotto controllo giudiziario-dice la giustizia algerina) senza nessuna forma seria di processo. Così sarebbe anche l’attuale leader dell’Aqmi Abdelmalek Droukdal, secondo molte fonti.

L’AQMI non sarebbe altro, secondo la ricercatrice Hélène Claudot-Hawad del CNRS (http://www.temoust.org/business-profits-souterrains-et,15758), che una invenzione in join-venture algero-statunitense per creare disordini nella zona dello Sahel e giustificarne la militarizzazione.

Secondo elemento importante la prossimità del Sud del Niger, le cui lotte sono storicamente legate a quelle del Sud Mali. E chi dice Sud Niger dice uranio e chi dice uranio in Africa dice Areva, il colosso francese del nucleare. E per gli interessi delle sue multinazionali, Parigi ha fomentato più di un golpe e più di un massacro “interetnico”. Uno di più uno di meno non cambierebbe molto nel suo bilancio.

Perché, se sopra il Sahel sembra tutta sabbia, dentro le sue viscere cela tesori enormi ancora tutti da sfruttare.

È in questa situazione caotica che accade la separazione del Nord del Mali dalla parte Sud. La proclamazione del nuovo stato dell’Azawad libero non è stata riconosciuta da nessuno. Perché nessuno sa che posizione conviene prendere. Lo stato maliano è in uno stato avanzato di putrefazione. La classe politica è discreditata. I gruppi di militari più corrotti gli uni degli altri si sparano a vista in pieno centro di Bamako, la capitale. I soldati hanno buttato le armi e sono scappati dal nord. In molte città i ribelli sono entrati senza combattimento.

L’altra formazione è quella di “Ansar Eddine” (i partigiani della religione) del mercenario di origine tuareg Iyad Ag Ghali. Un uomo dal passato buio che ha preso parte alla ribellione del 1990 ed era uno dei leader più in vista nella firma degli accordi di Tamanrasset. Ma in seguito perse sempre di più contatto con la sua gente e si avvicinò di più dai cerchi del potere maliano e poi dopo aver esercitato la funzione di ambasciatore in Arabia Saudita cominciò la sua deriva integralista con relazioni e finanziamenti da non molto ben identificate reti internazionali.

La presenza di questi gruppi integralisti che stanno scatenando l’esasperazione della popolazione locale, con l’adozione di regole assurde che vietano tutto e le conversioni forzate dei cristiani e la distruzione di mausolei e luoghi di culto non conformi alla loro nozione di religiosità… Questa presenza pesante sta minando fortemente l’immagine del MNLA soprattutto che la stampa internazionale non fa niente per spiegare bene le forze in campo. Un amalgama che potrebbe, se sarà necessario giustificare un intervento militare internazionale per salvare l’Azawad dal solito al-Qaida, nemico in certi casi e alleato in altri.

Ma perché l’autonomia dell’Azawad crea così tanto imbarazzo?

Una delle ragioni è dovuta alla situazione dell’Africa. Il continente nero è stato diviso amministrativamente dalle potenze coloniali. Vedendo la divisione con il senno di oggi, si capisce che chi l’ha fatta l’ha proprio pensata come un regalo avvelenato. Le linee rette tracciate con il righello dai geometri degli eserciti francese, inglese, spagnolo, belga e portoghese, e in seguito ufficializzate durante il Congresso di Berlino del 1884-1885, tagliano popolazioni intere e le spartiscono a piccoli gruppi in nazioni che spesso non hanno nessuna base storica.

All’indipendenza dei paesi africani all’inizio degli anni 60′, ci si rese conto di essere in un vero e proprio rompi capo, che se rimesso in causa avrebbe creato disordine e guerre senza fine. Per ciò gli stati africani membri dell’Organizzazione dell’Unità Africana, nel 1964, firmarono un trattato che sancisce l’intangibilità delle frontiere ereditate dal colonialismo.

Questo principio rispettato a lungo, nonostante si sia svelato spesso una specie di gabbia nella quale era difficile trovare soluzioni a certi conflitti detti etnici, è stato a pena superato con la divisione dell’ex più grande nazione africana il Sudan in due nazioni indipendenti Nord-Sudan e Sud-Sudan.

La liberazione dell’Azawad, regione a maggioranza Tuareg e Peul potrebbe portare i Tuareg sparsi sui 4 altri paesi (Niger, Libia, Algeria e Burkina Faso) a voler farne altrettanto.

E inoltre il riconoscimento di una spartizione ottenuta da un movimento di liberazione potrebbe dare fuoco a tutti i movimenti di liberazione presenti sul continente. Per questo la posizione dell’Unione Africana è senza ombra di dubbio a favore di un intervento militare internazionale per ristabilire “la sovranità nazionale”.

L’MNLA ha provato la via della negoziazione con gli integralisti, “per evitare un conflitto fratricida”, dando l’occasione alle agenzie internazionali di parlare di fusione. Così facendo ha dato prova di grande ingenuità politica. Perché bisogna essere ingenui per pensare di poter negoziare qualcosa di durevole con un movimento indefinibile e incomprensibile come Al Qaeda. La seconda mossa se si conferma è stata un attimo più intelligente. Si è parlato di un incontro informale in cui elementi dell’esercito Maliano, organizzazione della società civile e il MNLA si sarebbero incontrati per risolvere la situazione della presenza degli elementi integralisti sul territorio. Incontro ispirato probabilmente alle manifestazioni sempre più numerose di insofferenza della popolazione nei confronti dei Jihadisti. (vedere sopra la manifestazione di donne a Kidal)

Il futuro della zona dipenderà un po’ dalla gestione di questa crisi e molto dalla comunità internazionale. Questa crisi potrebbe portare ad un miglioramento della situazione dei Tuareg e dei popoli del Nord del Sahel, come potrebbe portare ad un ennesima guerra di sterminio.

Per questo è importante restare attenti e seguire quello che succede in Mali, anche quando i riflettori dei media ci invitano a guardare tutti altrove. Non bisogna lasciare i popoli della regione soli in mano ai terroristi, alle spie, ai mercenari e alle multinazionali.

 

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1. Mi ricordo quando ero piccolo che il Mali era indicato nei telegiornali, dell'unico canale televisivo algerino, come paese fratello. Le visite del presidente Moussa Traore, salito al potere dopo il colpo di stato del 1968 (un anno appena dopo la mia nascita) hanno accompagnato gli anni della mia...