Dall’inizio del conflitto armato la natura, la composizione e le posture delle forze in armi sono mutate più volte. Un evento che negli ultimi mesi ha attirato molta attenzione è l’uscita allo scoperto, anche dal punto di vista propagandistico, delle sigle che fanno riferimento alla rete di al-Qā‘ida. Il 10 aprile scorso gli account Twitter dai quali Ğabhat al-Nuṣra usualmente diffondeva i propri comunicati si sono fermati. L’ultimo «cinguettio» rimanda a un messaggio vocale del leader del Fronte, Abū Muḥammad al-Ğulānī. Si tratta di un comunicato importante, in cui lo šayḫ conferma che il gruppo nasce, con la benedizione del capo di al-Qā‘ida Ayman al-Ẓawāhirī (al quale si rende esplicitamente omaggio), grazie all’aiuto dello Stato islamico dell’Iraq (Isi), la sigla qaidista irachena. È la prima ammissione pubblica di un legame che da più parti era dato per certo fin dalla nascita del gruppo, i cui primi comunicati risalgono a fine gennaio 2012. Ad essa si associa tuttavia un messaggio diretto ad Abū Bakr al-Baġdādī, leader dell’Isi, che due giorni prima aveva annunciato la fusione del gruppo iracheno con quello siriano in una nuova entità chiamata Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Il messaggio nega l’avvenuta fusione, dichiarando che la bandiera di Ğabhat al-Nuṣra avrebbe continuato a sventolare. Una nuova fase del qaidismo siriano, contrassegnata da un peculiare antagonismo fra leader, era iniziata.

Due mesi più tardi (il 9 giugno), Aljazeera pubblicava una lettera inviata il 23 maggio precedente da al- Ẓawāhirī ai due leader. Il capo di al-Qā‘ida, avendo ricevuto rimostranze da entrambe le parti e dopo essersi consultato con «i fratelli in Khorasan e altrove», redarguiva i due per aver agito senza preavviso e senza consultarsi. Al-Baġdādī aveva sbagliato a dichiarare la fusione e al-Ğulānī aveva sbagliato ad averla rifiutata rivelando, contemporaneamente, i legami di Ğabhat al-Nuṣra con al-Qā‘ida. I comandi delle due organizzazioni dovevano rimanere separati, così come le loro sedi: una in Iraq e l’altra in Siria. In quello stesso messaggio, dopo aver dichiarato che la fusione era annullata, al-Ẓawāhirī esortava alla concordia fra le due parti.

Le indicazioni di al- Ẓawāhirī venivano tuttavia disattese da al-Baġdādī una settimana più tardi. Ciò sanciva una spaccatura all’interno del fronte qaidista siriano non priva di conseguenze e confermava una volta di più quanto le formazioni affiliate al network qaidista (è il caso di al-Qā‘ida in Iraq, fin dai tempi di Abū Mus‘ab al-Zarqāwī2) godano di una loro autonomia rispetto alla leadership storica dell’organizzazione. Chi ha osservato le attività di propaganda e le dichiarazioni riguardanti operazioni militari o terroristiche di Ğabhat al-Nuṣra e del neonato Siil nei mesi successivi al dissidio fra al-Ğulānī e al-Baġdādī non ha potuto fare a meno di notare il progressivo ricollocamento delle due organizzazioni. La prima riprende a emanare i propri annunci ufficiali solo all’inizio di giugno, segno di evidente spaesamento. Le sue attività sembrano prive di coordinamento per almeno due mesi, tanto che gli unici dispacci che filtrano hanno a oggetto le prese di posizione di comandi locali (Dar‘ā e Aleppo). Parallelamente cresce il Siil, che sfrutta le capacità del vecchio Isi e alcuni canali di Ğabhat al-Nuṣra3.

La retorica del Siil mette al primo posto il jihād globale, inserendolo tuttavia in un quadro regionale nel quale, oltre a Israele, troviamo da una parte un governo filoamericano e sciita moderato come quello iracheno e dall’altra un alleato dell’Iran come Baššār al-Asad, aiutato per di più da Ḥizbullāh. Ciò rende quasi naturale un jihād contro gli sciiti (anche in questo il Siil eredita lo schema ideologico che porta da anni instabilità in Iraq) e il passaggio in secondo piano della lotta a Baššār al-Asad. Al contrario, Ğabhat al-Nuṣra si presenta più locale, sia a livello di organico (i combattenti non siriani tendono ad affiliarsi al Siil) che sul piano dell’agenda (eminentemente siriana), con un’attenzione crescente al proprio «buon nome»: gli ultimi video del gruppo consistono, oltre che in cronache di battaglie, in incontri con i mujāhidīn di diverse zone del paese o in distribuzioni di aiuti alimentari alla popolazione. In poche settimane il Siil si sostituisce a Ğabhat al-Nuṣra in diverse zone, specialmente nella fascia frontaliera con l’Iraq (in maggio fonti d’intelligence non confermate davano per definitivo e completo lo spostamento della leadership e dei combattenti qaidisti dall’Iraq alla Siria), arrivando a controllare la città di Raqqa4 e installandosi anche nei governatorati di Idlib e Aleppo, strategici per attirare le forze del jihadismo internazionale. Il Siil sarebbe invece molto meno presente in altre aree, come Ḥimṣ e Dar‘ā5.

La mutazione più importante prodotta dagli eventi di aprile si palesa, tuttavia, nelle relazioni fra le due sigle ormai apertamente qaidiste e il resto delle organizzazioni, militari e civili presenti sul campo. Dopo aver cercato di quantificare l’apporto jihadista alla rivoluzione siriana, gli analisti sottolineano oggi la nascita di un nuovo fronte, quello interno ai ribelli, elencando il crescente numero di scontri armati fra la fazione cosiddetta «moderata» (in cui sono comprese tutte le formazioni d’ispirazione islamica, anche jihadiste, che però non hanno un legame con al-Qā‘ida) e gli estremisti di al-Qā‘ida.

Un’analisi più attenta rivela l’utilità di prendere in considerazione tutte le forze in campo, compresi l’esercito governativo e le realtà della società civile che, nelle zone liberate, conducono ormai da mesi un’opposizione sempre più organizzata e cosciente alle strutture (tribunali, polizie, scuole islamiche) messe in piedi dagli islamisti per l’amministrazione dei territori da essi controllati, talvolta in collaborazione con altre entità combattenti. Agli estremi di questo arco troviamo convinzioni e analisi solo apparentemente di segno opposto. C’è chi, come Bassām, combattente di Salāmiyya, è sicuro che «quando al-Asad sarà sconfitto, il popolo si unirà immediatamente contro gli islamisti»6.

E chi, come un altro Bassām, di Aleppo, dichiara: «Eravamo un movimento laico, interconfessionale, democratico, non violento. Di quel movimento non è rimasto niente. Oggi nell’Esercito sirino libero i laici non arrivano all’1%. Ma cosa dovevamo fare? Lasciarci ammazzare fino all’ultimo uomo? Andare con le rose contro i carri armati? I nostri combattenti sono ragazzi poveri, contadini, non hanno istruzione. E davanti alla ferocia del regime, si aggrappano all’unica ideologia che conoscono: la religione» 7.

Resta ancora da decifrare il comunicato congiunto, datato 24 settembre 2013, di alcune delle maggiori brigate affiliate al Libero esercito operanti nel Nord del paese – tra cui la Brigata dei falconi del Levante (Liwā’ Ṣuqūr al-Šām) e la Brigata dell’unificazione (Liwā ’ alTawḥīd) – in cui si disconosce l’autorità del Consiglio nazionale siriano in nome dell’implementazione della legge islamica in Siria. Nonostante l’allineamento ideologico con un simile programma, il Siil non rientra tra i firmatari del comunicato, mentre vi figura Ğabhat al-Nuṣra.

Lorenzo Declichjihadicalimes,Prequel
Dall’inizio del conflitto armato la natura, la composizione e le posture delle forze in armi sono mutate più volte. Un evento che negli ultimi mesi ha attirato molta attenzione è l’uscita allo scoperto, anche dal punto di vista propagandistico, delle sigle che fanno riferimento alla rete di al-Qā‘ida. Il...