Per definire i nuovi rapporti fra ciò che egli definiva “occidente” e “islam” dopo la caduta del Muro di Berlino, Bernard Lewis, un famoso orientalista della Princeton University scriveva:

“È un vero e proprio scontro di civiltà” … “la forse irrazionale ma certamente storica reazione di un antico rivale contro la nostra eredità giudaico-cristiana, il nostro presente secolare e l’espansione nel mondo di entrambi”. (“The roots of the Muslim Rage”, The Atlantic Monthly, vol. 266, september 1990, p60)

L’idea di Lewis nasceva in seguito ad un’analisi del confronto/scontro storico fra islam e cristianità (intese come civiltà e non come religioni) nel Mediterraneo e sulla linea di confine dell’Impero Ottomano, il cui apice ebbe luogo con l’assedio di Vienna da parte ottomana (1683). Quell’episodio, secondo Lewis, aveva segnato lo smantellamento della potenza balcanica ottomana e la definitiva affermazione dell’Europa come entità politico-culturale.

Certamente il concetto espresso da Lewis aveva una sua piena legittimità se inserito nel contesto delle dinamiche storiche da lui affrontate. Risultava, tuttavia, molto meno pregnante – anzi fasullo – quando veniva “attualizzato”. In particolare, il processo di “attualizzazione” procedeva ad operare pericolose e in definitiva inaccettabili semplificazioni:

  • Il titolo dell’articolo. Parlare di “radici della rabbia musulmana” significava raggruppare le manifestazioni di scontento (quali?) di categorie eterogenee di individui e gruppi umani in un ottica a-storica, ovvero sotto la classificazione generica di “islam”. Per comprendere, poi, quanto vicina sia al nonsense l’espressione “rabbia musulmana” provate a formulare un omologo come “rabbia cristiana”… che significa? Di chi stiamo parlando? Di Ruini che si scaglia contro i PACS? Dei Davidiani di Waco che si scagliano contro la polizia federale statunitense?
  • La formulazione del concetto:a) Indicando come “forse irrazionale” la ipotetica “reazione musulmana”, l’orientalista si esercitava in uno dei più classici schemi dell’orientalismo alla Edward Sa’id: l'”irrazionalità” del selvaggio.b) Il concetto di “storica reazione di un antico rivale” era nebulosa e fuorviante. Una “reazione storica” può essere qualsiasi cosa.

    c) appare difficile che vi sia una qualsiasi reazione a “l’eredità giudaico-cristiana” in sé. Forse ai fanatici sventolatori di bandiere giudaico-cristiane, ma probabilmente NON ad un’eredità. Vale la pena osservare, infine, che l’idea di “eredità giudaico-cristiana” è (tristemente) occidentale/post-nazista e sembra di improbabilissima applicazione prima del 1948.

Lewis, pur partendo da basi ineccepibili, finiva compiere un errore (colpevole o meno non lo sapremo mai): comparava entità non omologhe (islam e occidente); avendo inteso l’islam – in quel contesto – come complesso di valori e identitario, avrebbe dovuto compararlo al “cristianesimo”. (riguardo a questi argomenti vedi anche Universalismo islamico fra sociologia e politica)

La questione può essere dibattuta ulteriormente. Certo è che se le tesi di Lewis erano poco difendibili lo sono ancora meno le teorie che Samuel Huntigton (Eaton Professor of the Science of Government and Director of the John M. Olin Institute for Strategic Studies at Harvard University) nel 1993, sviluppa attorno ad esse. Huntington fa un ulteriore passo in avanti: oltre ad “attualizzare” – destorificandolo – il concetto, lo mette al servizio di una lettura del mondo “post-ideologico”: il suo obiettivo è descrivere quella che a suo parere sarà la nuova “dinamica di scontro” in un mondo senza blocchi e senza guerra fredda. In questa forma il concetto avrà molta più fortuna prima di tutto nel campo degli studi geostrategici, geopolitici e di politica internazionale. In seguito, raggiunta una certa legittimità, farà il giro del mondo, diventerà un leit-motiv sui mass media, plasmerà le opinioni di molti analisti, scatenando decine di dibattiti sul futuro dell’umanità:

“la mia ipotesi è che la fondamentale fonte di conflitto in questo nuovo corso del mondo non sarà nè primariamente ideologica nè primariamente economica. La grande divisione fra diverse umanità e la forma dominante di conflitto sarà culturale. Gli stati nazionali rimarranno gli attori più potenti negli affari mondiali, ma i principali conflitti della politica globale si verificheranno fra nazioni e gruppi appartenenti a diverse civiltà” (“The clash of civilizations”, Foreign Affairs. Summer 1993, v72, n3, p22

Huntington, rispetto a Lewis, allarga il potenziale conflitto a tutti i “paesi non occidentali”. Le vecchie divisioni nate con la Guerra Fredda – Primo, Secondo e Terzo Mondo – non hanno più senso:

“E’ molto più sensato raggruppare i paesi non nei termini del loro sistema politico ed economico o nei termini del loro livello di sviluppo economico, bensì nei termini delle loro culture e civiltà […] Il conflitto fra civiltà sarà l’ultima fase dell’evoluzione dei conflitti nel mondo moderno”. (“The clash…, cit.,p23

Dice, e poi aggiunge:

“Con la fine della Guerra Fredda le politiche internazionali usciranno dalla loro fase Occidentale e il loro centro diventerà l’interazione fra l’Occidente e le Civiltà Non Occidentali o fra Civiltà Non Occidentali”. (“The clash…, cit., ivi

Allargando il campo dello “scontro” con l’appena citato teorema cui egli stesso dà il nome di “the west and the rest”, Huntington sradica definitivamente dal loro contesto le affermazioni di Lewis, e svuota di prospettiva storica le osservazioni dell’orientalista. Quella che Huntington definirà “civiltà cinese”, ad esempio, non ha mai vissuto un “conflitto di civiltà” con l’Occidente nell’ottica di due universalismi opposti. Anzi la Cina, terra di mezzo, ha vissuto per secoli in uno “splendido isolamento”. Anche l’Africa sub-sahariana (uno dei possibili “incubatori di civiltà” individuati da Huntington nel corso del suo articolo), che non fa parte del bacino del Mediterraneo e dunque non è “islamica”, non ha mai conosciuto scontri se non interni e tantomeno con l’Occidente, se non quando l’Occidente stesso vi è entrato – in epoca moderna – per conquistarla. Inoltre, omologare Islam, confucianesimo, civiltà hindu e “tutto il resto” in un unico contenitore mettendolo in opposizione all’Occidente, significa scrivere una (futura) storia dell’Occidente contro tutti, dimenticando la storia (passata) dell’Occidente stesso e negando le specificità storico culturali di quelli che Huntington individua come “the rest”.

23/apr/2007