Nel 1967 B.Lewis concludeva il suo saggio sugli Assassini con una riflessione sul moderno terrorismo. “The Ismaili Assassins did not invent assasination” (p.125), precisa, riportando poi una serie di episodi analoghi della storia antica e moderna. Ma, fra i giudizi finali sul fenomeno, pone come “perhaps the ultimately most significant point, is their final and total failure”. (p.139). Se quindi, profeticamente, rilevava che “the great changes of our time have provided new causes for anger, new dreams of fulfilment, and new tools of attack” (p.140), rimane implicito che egli considera destinati al fallimento tutti i movimenti che uniscono le aspettative religioso-messianiche alla violenza politica.

Il ministro dell’interno italiano G.Pisanu ha recentemente affermato: “il fondamentalismo islamico è una questione interna all´islam, che ha certo riflessi esterni, ma è interno al mondo islamico. Il terrorismo di cui esso si serve non è un fenomeno religioso, ma un fenomeno politico” ; quindi “se il fondamentalismo e il terrorismo sono fenomeni politici, allora è con gli strumenti della politica che dobbiamo combatterli” (cfr. www.interno.it/stampa)

Bella scoperta, si dirà. Ma è comunque una rarità, detta da un governante.

Perché si arriva a toccare un punto chiave di tutta la questione.

In Europa il terrorismo è un fenomeno costante, seppure con cause, esiti e cronologia variabili. Dall’insurrezionalismo dei vari risorgimenti, al rivoluzionismo di matrice socialista, finanche al brigantaggio, il XIX sec. ha conosciuto varie forme di lotta armata che oggi passerebbero sotto l’etichetta di terrorismo (e lo erano anche all’ora). (1)

Più recentemente, nel secondo dopoguerra, praticamente ogni paese dell’Europa occidentale ha conosciuto almeno un fenomeno di terrorismo; ma non è stato risparmiato nemmeno il Giappone, e si ricorda ancor più recente il fenomeno delle milizie antigovernative negli USA che ha portato alla bomba di Oklahoma City, e, chissà, anche alle lettere all’antrace?

Ciascun gruppo ha o aveva obiettivi e ideologie diverse, di tipo nazionalista o di tipo politico o anche religioso.
Ma c’è una domanda che allora non ci si poneva e che oggi ci si pone con incredulità: cosa spinge ragazzi apparentemente “integrati” a diventare terroristi?

È vero che il terrorismo suicida del nuovo millennio sembra “più estremo” (e sicuramente lo è, dal momento che non ammette pentimenti o dissociazioni). Ma non è forse il caso di ammettere — e non solo sul piano storico, ma anche su quello sociale — che una componente “ribelle” ed “estremista” fino alla morte sia fisiologica nella società, e in particolare nelle società connotate politicamente da autoritarismo (finanche quelle cosiddette democratiche), e che la variabile sia solo il velo ideologico che funge da detonatore a questa eplosiva componente?

Analizzando le storie di convertiti all’islam (siano essi occidentali cristiani secolarizzati, o musulmani sradicati in cerca delle proprie radici), le cui vicende li hanno portati a combattere “l’Occidente” ovunque ci fosse da difendere l’islam (in Bosnia, Cecenia, Afghanistan, Kosovo, Iraq, Somalia), forse ci renderemmo conto che il loro vissuto non è molto diverso da quello di coloro che quattro o cinque secoli fa “si facevano turchi” per arruolarsi nelle marinerie corsare ottomane. (vedere Rostagno L. Mi faccio Turco, Benassar B. e L. I cristiani di Allah, e ancora Lamborn Wilson P. Pirate utopias).

Frange ribelli (e violente) fra i gruppi umani per così dire emarginati, anche se apparentemente integrati. Un comun denominatore è forse quello di essere degli ex: ex-soldati, ex-appartenenti a gruppi politici o religiosi organizzati, ex-attivisti, ex-occupati (ossia nuovi disoccupati), ex-bravi ragazzi; per semplificare si potrebbe raggrupparli nella categoria dei “reietti”, disposti a passare dall’altra parte, o da qualunque altra parte, pur di abbattere quel sistema che li ha generati o de-generati.

Un altro libro che oggi può sembrare inquietante leggere, ma che proprio oggi si dimostra più profondo di quanto non sembrasse allora, è “Millennium” di Hakim Bey (il “nome di battaglia” dello stesso P.Lamborn Wilson). Con lucide ed eloquenti intuizioni Hakim Bey ha analizzato, e forse a volte ispirato, alcuni movimenti “ribelli” eppure a-politici (direi quasi anarchici) degli anni ’80 e ’90. In “Millennium” egli recupera alcuni concetti islamici (ad es. grande e piccola jihad, islam sociale, ecc.), dal momento che egli vede nella energia (anche violenta, ma abbastanza incontaminata) della spiritualità islamica fra le poche forze in grado di opporsi al sistema corrente. Egli ha comunque in mente alcuni islam di tipo marginale (il sufismo, lo sciismo di Ali Shariati, ecc.), visto comunque da un punto di vista di un “rivoluzionario” occidentale. Ma comunque apre a una via jihadista alla “Rivoluzione”. (2)

Alla luce di quanto avvenuto nel decennio successivo la sua visione ha sbagliato in un punto: il mantello ideologico utilizzato dai reietti-rivoluzionari (sia quelli provenienti dalle periferie delle metropoli europee, sia quelli fuoriusciti dall’intelligenzia islamica formatasi all’estero) non è quello spiritualista-dinamico-propositivo in cui egli vedeva energie positive, ma quello immobilista del “ritorno alle radici”. Tutto sommato anch’esso marginale, ma maggiormente capace di canalizzare rabbia e frustrazione. Proprio per questo, se, come detto prima, il problema è politico (e chi scrive ne è ancora convinto), piuttosto che ideologico, le persone (perché di persone si tratta) che aderiscono a questo nuovo progetto terrorista si inseriscono perfettamente nel ruolo storico individuato negli scritti di Hakim Bey-Lamborn Wilson.

Note

(1) Si ricordi però che, concettualmente, il terrorismo per molto tempo è stato prerogativa dei governi assolutistici o totalitari: a partire dal “terrore” del periodo giacobino della Rivoluzione Francese, il terrorismo è stato una pratica politica adottata dai vari imperi per reprimere o tenere sotto controllo le spinte rivoluzionarie. Se non sbaglio è solo a partire dagli episodi anarchico-nichilisti di fine ‘800 che il termine “terrorismo” ha cominciato ad essere impiegato per designare i nemici dello Stato.

(2) Hakim Bey, dal suo punto di vista squisitamente teorico e filosofico, è ovviamente molto lontano dalle posizioni dei terroristi: “l’attentato non è immorale, è semplicemente impossibile. Il messaggio del terrorismo è che non ha alcun senso.” (Millennium, p.40); le citazioni si possono moltiplicare.

Riferimenti bibliografici

  • Benassar B. e L. I Cristiani di Allah, Milano, 1991
  • Hakim Bey Millennium, Brooklyn (NY) 1996, ediz. ital. Millennium – Dalle TAZ alla rivoluzione, Milano 1997; nell’edizione italiana sono inclusi anche altri articoli.
  • Lamborn Wilson P. Pirate utopias, Brooklyn (NY) 1995, ediz. ital. Utopie Pirata Milano 1996
  • Lewis B. The Assassins – A Radical Sect in Islam, London 1967
2005/09/30