Analisi asimmetriche e ideologia della civiltà

Spesso si dice che l’isl_am è un sistema di pensiero totalizzante che investe i domini della politica, della religione, della cultura ecc. Spesso lo si definisce così in comparazione con il sistema occidentale, in cui c’è – o si da per scontato che ci sia – un’idea di laicità, una separazione fra stato e chiesa.

A livello di analisi concettuale, tale affermazione rischia di non essere nè vera nè falsa se non si distingue fra isl_am storico e isl_am ideologico/religioso: ciò che sommariamente mi accingo a fare.

Quanto all’isl_am storico non v’è stata alcuna Chiesa, il chè rende difficile un parallelo. Inoltre una separazione de facto fra livello politico e livello religioso c’è stata. Riguardo all’isl_am/ideologia/religione è invece necessario evidenziare che il corano non dice nulla in proposito e che questa separazione non è stata teorizzata se non negli ultimi decenni. Dunque a livello teorico il pensiero islamico si presenta – come del resto quello cristiano – estremamente totalizzante (anche in virtù del fatto che stabilisce una disciplina nei comportamenti quotidiani). Ciò, storicamente, ha avuto forti ripercussioni nei costrutti istituzionali – non c’è dubbio – ma, occorre affermarlo, ciò non significa che questa sia l’unica componente sulla quale il potere nel mondo islamico è stato costruito e gestito, né – tantomeno – che tale costrutto abbia funzionato come paradigma universale e universalmente praticato: sebbene i suoi esiti storici, per motivi di natura non religiosa tout-court siano diversi, l’ideologia “totalizzante” islamica ha le stesse dinamiche di funzionamento di altre ideologie religiose.

Nel mondo contemporaneo ci si è concentrati sull’aspetto “totalizzante” (e de-storificato) dell’isl_am e si è tralasciato l’aspetto ideologico. Addirittura, si è arrivati ad identificare l’isl_am con la forma più pura di “fondamentalismo religioso”. Al contrario, sebbene il cristianesimo entri continuamente in politica e sia determinante in molte situazioni di potere, non se ne parla in termini di “religione totalizzante”: piuttosto la si considera “componente ideologica” (magari allarmante), scindendo i principi nati in contesto cristiano dai meccanismi di gestione del potere politico. Perchè questa asimmetria distorcente? Quella dell’isl_am come “religione totalizzante” è una truffa concettuale dietro alla quale si scorge la storica affermazione di un potere che sommariamente possiamo chiamare “occidentale” su un altro – quello definibile genericamente come “musulmano”. Smascherare questa truffa significa discutere sulla natura delle ideologie cristiana e musulmana, sul loro modo di operare, sui loro esiti storici in luoghi particolari, sul loro confrontarsi con ideologie recessive o dominanti.

E poiché le elaborazioni ideologiche applicate alla gestione del potere derivate dalle religioni islamica e cristiana si basano in gran parte sulla componente universalistica sarà fondamentale concentrarsi su tale aspetto notando per prima cosa che se l’universalismo islamico esiste, oggi, solo sulla carta – (è una ideologia perdente o subalterna), quello cristiano, con le sue derivazioni “laiche”, è vivo e vegeto e si trova alla base dell’attuale gestione del potere mondiale(1).

Universalismo sociologico

Quando si parla dell’isl_am se ne percepisce l’insito universalismo, ma si è portati a considerare questa componente all’interno del sistema totalizzante di cui sopra. Questa percezione “standard” produce una evidente “effetto di schiacciamento” nell’analisi delle componenti del pensiero universalistiche elaborato in ambito islamico.

La prima osservazione al riguardo è che l’idoelogia islamica universalistica nasce nel contesto “tribale” dell’Arabia medievale e si configura subito come una sorta di “ideologia del riscatto” per diverse categorie di individui “marginalizzati”(donne, orfani, schiavi).

La seconda è che quando si confronta con poteri aggressivi e ad essa alieni, ad esempio nell’Oceano Indiano a partire dal XV secolo (i portoghesi), si comporta anche come elemento aggregante.

Ma soprattutto vale la pena di sottolineare che la comunità islamica prende forma grazie a un meccanismo di inclusione/ascrizione che determina la nascita di un nuovo soggetto sociologico. Al divieto di abbandonare l’isl_am, si aggiunge l’inclusione alla comunità attraverso il sistema matrimoniale, che è endogeno alla comunità islamica ed esogeno alla comunità familiare/tribale ristretta. L’apparato giuridico che viene a crearsi attorno alla definizione coranica di matrimonio (nik_a.h) proibisce alle donne di sposarsi con varie tipologie di parenti e con i non-musulmani; contemporaneamente considera musulmani tutti i figli nati in un matrimonio musulmano (Vedi anche “Il matrimonio”, in “L’ambivalenza linguistica della lingua araba classica nel campo della sessualità”.).

Tale meccanismo, formulato in ambito “giuridico”, determina quello che potrebbe definirsi un”universalismo sociologico”.

Il sistema matrimoniale islamico rimane molto collegato al motivo per cui nasce: formare una comunità non basata sull’appartenenza tribale capace di opporsi livello – appunto – “sociologico” ad un sistema localista. Una caratteristica che manterrà sempre, soprattutto in aree dove la realtà tribale è quella dominante (2).

Ragionando invece sul trattamento riservato allo schiavo e al modo che questi ha per affrancarsi – la conversione – si scopre che il messaggio dell’isl_am è che il riscatto è possibile se si entra a far parte della comunità dei credenti: un altro genere di “inclusione”, “inclusività” di impronta univeralistica.

Quanto al trattamento riservato agli orfani anche qui scorgiamo sullo sfondo una realtà tribale “crudele” che non dà – come non dava alle donne – statuto giuridico all’orfano, e un isl_am che, invece, incoraggia l’adozione.

Tutto ciò in un contesto ideologico che sottolinea in varie forme l’eguaglianza di tutti i musulmano davanti al dio (e ciò è sottolineato dal vestire tutti uguali durante le cerimonie del pellegrinaggio)(3).

A tutti questi elementi se ne aggrega un ultimo, di grande importanza in senso comparativo: questi strumenti che l’isl_am ha per promuoversi a livello universalistico non sono di per sé violenti né presuppongono l’esistenza di un personale religioso addetto alla “islamizzazione” (si pensi invece all’universalismo missionario cristiano) (4).

Universalismo e potere

Fin qui si è parlato di un universalismo che ho chiamato “sociologico” per distinguerlo da un universalismo “politico”. Quando parliamo di universalismo politico – infatti – inseriamo nel dibattito l’elemento del potere e della sua gestione. Una “ideologia universalistica” coniugata con la gestione di un potere, determina chiaramente una dinamica di scontro e/o confronto. Di qui la distinzione fra “universalismo sociologico” e “politico”. Il secondo può in qualche modo collegarsi al primo, ma i due sono sistemi estremamente diversi l’uno dall’altro (5).

La prima cosa da notare è che se l’universalismo sociologico è determinato da prescrizioni coraniche che oltre a fondare quell’ideologia fondano allo stesso tempo la comunità islamica, il secondo è invece una costruzione ideologica determinatasi “a posteriori” e codificata su basi “extra-coraniche” .

Scopriamo poi che nell’isl_am classico, e cioè ai tempi dell’impero islamico (VII-XIII sec. ma anche molto oltre, fino al periodo coloniale) l’isl_am rappresentava non solo una impostazione ideologica e un polo identitario ma anche il sistema ideologico del potere dominante. Il rapporto fra componente politica e religiosa, in quel contesto, era gestito dal califfo (o più tardi da poteri meno “teocratici”) esattamente nella misura in cui oggi l’odierno presidente degli Stati Uniti, per fare un esempio, la gestisce. A tutti i livelli della politica i “valori” (se così possono chiamarsi in ambito musulmano) erano portati avanti dai governanti e affermati in funzione della gestione del loro potere (6).

Giungiamo infine a considerare l’universalismo “politico” dell’isl_am nella sua dimensione storica notando che si tratta, come in altri casi, di una elaborazione completamente slegata dal messaggio propriamente religioso, una elaborazione che investe dinamiche di potere ben conosciute in occidente, in oriente e ad ogni latitudine: si trattava di una forma di imperialismo nel senso di “ideologia dell’impero”.

Note

(1) Riguardo alla subalternità dell’ideologia universalistica islamica si prenda ad esempio la dicitura “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nell’isl_am” (emanata a suo tempo, e cioè in tempi non sospetti, il 19 settembre 1981 presso l’UNESCO a Parigi, dalla lega musulmana mondiale). E’ evidente che in essa la parola “isl_am” è inserita per marcare un distinguo che nell’originale e dominante “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” non era necessaria. Ironicamente l’aggiungere “cristiana” a tale dicitura potrebbe addirittura suonare pleonastico.

(2) Questa tensione verso il riscatto genera un universalismo che si radica presso società tribali in rapido mutamento (si vedano ad esempio gli isl_am swahili e indonesiano). Si pensi anche al sistema del matrimonio temporaneo e agli effetti che esso ha avuto, ad esempio nell’Oceano Indiano, a livello di formazione di comunità islamiche autoctone.

(3) Si noti che parliamo di ideologie: ciò vuol dire che queste tendenze non ne eliminano altre, ad esempio quelle di privilegiare alcuni gruppi, alcune famiglie, alcune etnie ecc.

(4) Missionaria è la comunità islamica nel suo insieme. Non è un caso che i “predicatori” nell’isl_am, i d_a`_i, appartengano a raggruppamenti minoritari.

(5) In senso politico un universalismo è sempre coercitivo, presupponendo l’esistenza di comunità “da universalizzare” (e spesso da “civilizzare” diverse da quella “universalizzante”. E’ infatti necessario osservare che un universalismo è concepito in un ambito in cui esso non c’è, ovvero in un momento in cui c’è un “noi” e c’è un “loro”. Inoltre che è comunque un “ismo” ovvero un concetto che presuppone partigianeria. In altre parole l’unico universalismo veramente valido è, per via concettuale, quello che non c’è (nemmeno tanto quello che non c’è più).

(6) Anche nel caso delle Crociate Salah al-Din o Nur al-Din “lavoravano per se stessi”, ossia per conservare o accrescere il proprio potere consolidato (e anche perchè provocati, cioè invasi). Non v’era, come dalla parte opposta, una così accentuata elaborazione ideologica (se non “provocata” dall’esterno), e ciò perchè – semplicemente – non ve n’era bisogno.

23/apr/2007