Mentre su Jihadwatch partono le nomination annuali per il miglior dhimmi e il miglior anti-dhimmi (vedi), due ben piazzati conflittori di civiltà, Massimo Introvigne e Vittorio Messori, scatenano tutta la loro potenza teoretica sulla vicenda dei minareti in Svizzera.

Introvigne sembra in linea col blogger di “Sul terrorismo”, già citato, nell’affermare che il problema non sono i minareti ma le moschee. Introvigne, dopo aver indicato uno dei suoi fantomatici nemici (un partito dei minareti composto da “neo-fondamentalisti islamici alla Tariq Ramadan”, “eurocrati di Bruxelles e di Strasburgo” e “Gianfranco Fini”) scrive che:

A differenza della sala di culto, la moschea è un’istituzione globale dove la comunità musulmana si trova per affrontare questioni non solo religiose ma giuridiche, sociali e politiche (fonte)

E che quindi dare l’ok per la costruzione di una moschea è un qualcosa che va oltre il concetto di “libertà di culto”.

Introvigne: riportare il testo di un manuale di islamistica o di una enciclopedia qualunque per attorcigliarvi attorno uno spunto polemico contro le moschee è triste, più che sbagliato.

Come la chiami una parrocchia? Io la definirei: un’istituzione globale dove la comunità cristiana si trova per affrontare questioni non solo religiose ma giuridiche, sociali e politiche.

Certo, in moschea non si gioca a pallone. Ma insomma, non mi sembra questo un discrimine fondamentale.

Per favore. Non attacchiamoci ai paragrafi. Meglio dire: “non voglio le moschee e basta”.

Quanto a Messori parte dalla storia, come suo solito. Ci descrive una Svizzera pluralista in tutto, un luogo dove – dopo le guerre religiose fra cristiani – la croce bianca su campo rosso è giunta a unire 26 stati quadrilingui suddivisi in 23 cantoni.

Io aggiungerei: per un totale di 7.761.800 abitanti (di cui neanche il 10% immigrati, con un PIL pro-capite di 40.000 dollari l’anno) nessuno dei quali si è lontanamente sognato di protestare o chiedere un referendum abrogativo quando, nel 2006, ha aperto a Ginevra la Faisal Bank, ovvero una banca islamica che, riporto dalle pagine di swissworld.org:

mira ad una clientela straniera, non residente, ed in particolare alle fortune derivate dallo sfruttamento petrolifero nel Golfo Persico attratte dallo stabile clima finanziario svizzero […] (molte banche svizzere hanno filiali in Medio Oriente che offrono servizi compatibili con le pratiche bancarie islamiche) (fonte).

Sui soldi gli svizzeri non tergiversano, si sa. Le banche svizzere:

Amministrano il 35% dei capitali mondiali privati e istituzionali investiti in fondi offshore (fonte).

Mica niente.

Ma andiamo avanti. Come suo solito Messori, dopo l’intro storica, passa in campo “islamico”, dove inizia a dire sciocchezze:

Copiato dai cristiani, sostituendo alla cella campanaria il balconcino per il muezzin che cinque volte al giorno salmodia il Corano invitando alla preghiera, il minareto è parte imprescindibile della moschea.

È il segno dell’islamizzazione: quando i turchi catturarono la preda più ambita, la veneranda Santa Sofia di Costantinopoli, la fecero subito «loro» lasciando quasi intatti gli interni, cancellando solo dalle pareti e dalle cupole le aborrite immagini umane, ma circondandola di quattro, altissimi «fari».

Allora: può darsi, anzi è abbastanza probabile, che i primi minareti fossero “copiati” dal punto di vista architettonico dai campanili cristiani in città dove il cristianesimo era di casa, come Damasco. Tuttavia a livello linguistico le cose cambiano perché manara significa faro,  “indicatore di direzione luminoso”, mentre “campanile” in arabo non si dice manara, bensì burj, cioé torre.

Secondo: il muezzin non salmodia il Corano quando chiama alla preghiera bensì esegue una “chiamata alla preghiera”.

Terzo: il minareto non è parte imprescindibile della moschea. Ne abbiamo già scritto qui.

Quarto: riguardo a Santa Sofia ricordo a tutti che trasformare i luoghi di culto altrui in propri luoghi di culto è quanto di più frequente si possa trovare al mondo. Esempi “islamocristiani” sono la chiesa “incapsulata” nella moschea di Cordova e, in Italia, un S. Giovanni degli Eremiti (PA).

Per non parlare dei luoghi pagani su cui furono costruite le chiese: ce ne sono a centinaia. Che senso ha rivangare fatti storici del genere? Nessuno.

Ma passiamo alla chiusa dell’articolo:

La Svizzera non fa che confermare il «complesso dell’assedio» che sempre più va diffondendosi in Europa.
Qualcosa come l’allarme dei «barbari alle porte» che contrassegnò gli ultimi secoli dell’Impero romano.
Può esserci del positivo, malgrado le rampogne dei vescovi: innanzitutto, la riscoperta della nostra civiltà e cultura, abbandonando quell’«inspiegabile odio di sé che caratterizza da tempo l’Occidente», per usare le parole di Joseph Ratzinger quando ancora era cardinale e ricordava agli europei che nella loro storia le luci, malgrado tutto, prevalgono sulle ombre.
Ma c’è anche, in questo allarme, qualcosa di irragionevole: non è realistico, in effetti, pensare che, diluito tra noi, l’Islam resti se stesso. L’osservanza del Corano, non ci stanchiamo di ripeterlo, è già corrosa e sempre più lo sarà dai nostri vizi e dalle nostre virtù, dai nostri veleni e dalle nostre grandezze. Non occorrerà una nuova Lepanto: basterà la nostra quotidianità, nel bene e nel male, per togliere vigore a una fede arcaica, legalista, incapace di affrontare le sfide non solo dell’edonismo e del razionalismo ma anche, va detto, dei venti secoli di cristianesimo che hanno permeato l’Europa.

Bene: se riscoprire la nostra civiltà e cultura significa vietare la costruzione di minareti e prendere a modello la Svizzera io mi tirò fuori, dichiaro solennemente di far parte di un’altra civiltà, di un’altra cultura. Che, mi dispiace comunicarlo a Messori, coincide nel tempo e nello spazio con la sua.

Sui contenuti delle ultime frasi ho già scritto. Noto comunque un ammorbidimento dei toni. Chissà, magari Messori , alla fine della fiera, invece di assorbire i musulmani con il suo edonismo e razionalismo, si farà ammaliare dai loro supposti arcaismi, passando a fare il conflittore di civiltà, ma dall’altra sponda.

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