Riprendo il filo della teoria, seppure stringatamente, ripartendo da una recensione di Paolo Mieli che avevo citato qui.

In il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo, cristianesimo, islam (qui la recensione di Mieli) Philippe Simonnot, partendo da una buona base bibliografica, traccia una “storia dell’economia delle religioni” che individua nella relazione fra religioni e potere politico-economico uno dei punti di snodo della storia mondiale.

Storicamente le religioni si sono configurate anche come gigantesche imprese economiche che gestiscono uno dei beni più richiesti al mondo: la spiritualità, il bisogno di trovare un senso alla vita.

E, facendo questo:

  1. sono venute a relazionarsi nelle maniere più diverse con le dinamiche del potere, costituito o meno;
  2. hanno gestito le spinte centrifughe attraverso la definizione delle eresie;
  3. hanno sgomitato fra loro, spesso in maniera asimmetrica (sette contro religioni di Stato, confessioni limitrofe etc. etc.).

L’antagonista storico delle religioni è, ovviamente, lo Stato laico.

Uno Stato laico che però, dopo aver guadagnato decisamente terreno, ha trovato ragionevole patteggiare gli ambiti del proprio intervento costituendo, insieme alle religioni istituzionali, una vero e proprio trust della vita in società.

E le religioni di Stato di ciò hanno beneficiato – sempre in termini economici – fungendo da “tappo” o comunque da elemento di regolazione in rapporto ai sommovimenti religiosi, spirituali e anche politici delle società stesse.

Ok, fin qui il pensiero di Simonnot (riassunto da Mieli e poi riassunto da me: abbiate pietà, andatevi a leggere la recensione), che giunge a un punto della storia in cui religione (dominante) e Stato costituiscono sommariamente il gruppo di potere in una determinata area geografica.

Le cose cambiano, tuttavia, con l’ingresso di nuovi forti poli di potere: quelle imprese transnazionali e globalizzate che oggi rappresentano una fetta maggioritaria dell’economia mondiale e che influenzano a più livelli gli Stati (senza tuttavia farne a meno per motivi di “rappresentazione democratica”): le multinazionali.

Il mondo delle multinazionali ha un suo credo ben preciso, realizzare il proprio vantaggio. Un credo che memeticamente, o se preferite viralmente, trasmette ai propri target: i consumatori. La sua dottrina, ovviamente, è il neoliberismo, ma non è di questo che voglio parlare ora, bensì del fatto che la religione, al tempo delle multinazionali, viene sempre più sottratta al dominio delle istituzioni religiose e laiche per divenire, come tutto il resto, dell’ottima merce.

E’ da qui in poi che intervengono gli autori di Selling Spirituality: The Silent Takeover of Religion.

Carrette e King descrivono un processo assolutamente tracciabile ed evidente, sempre che lo si voglia osservare: il cammino dell’individualismo, maturato nell’arco di almeno 3 secoli, ha determinato una marcata privatizzazione del dato spirituale, che diventa sempre più un fatto personale, non vissuto a livello di comunità. E il mercato, nel tempo, non ha fatto altro che impossessarsi di tutto quello che a questo punto potremmo chiamare davvero “ben di Dio”, per venderlo a singoli cittadini consumatori e dar loro una sufficiente dose di spiritualità.

In altre parole anche la religione, in forma di pillole di spiritualità personale altamente spacciabili, è in vendita.

E poiché non ci vogliamo far mancare nulla, possiamo affermare, tirando un po’ la corda, che la religione, oggi, è il mercato. Della cui mistica, fra l’altro, abbiamo in questo blog dato alcuni esempi (si veda prima di tutto qui).

Ovviamente il mercato fa marketing, rebranding e tutto il resto: non importa con quale religione  coniughiamo il messaggio, l’importante è che il prodotto sia altamente smerciabile.

Leggete qualcuno dei miei post sull’islamercato e capirete di cosa parlo (qui).

Considerazioni:

  1. in base a questi ragionamenti non ho torto quando parlo di monociviltà mondiale. A tal proposito bisognerebbe rileggere parzialmente l’analisi di un Oliver Roy che parla del jihadismo come reazione alla secolarizzazione delle società musulmane, aggiungendovi anche il dato della privatizzazione della spiritualità e della religione individualizzata che è in atto anche in campo islamico.
  2. è ovvio che qui si discute di processi: non voglio dire siano morte le chiese etc. etc., bensì che le istituzioni religiose storiche perdono potere e soldi giorno dopo giorno e che a prendersi ampie fette di mercato-religione non sono altre religioni;
  3. il dibattito fra laicisti e custodi della religione è superato: ambedue gli atteggiamenti sono sempre più tradotti in merce. Fra l’altro in Selling Sprituality troviamo un’interessantissima discussione sul fatto che sia religione che spiritualità siano due termini che non possiamo definire se non in base ai contesti storici, economici e sociali che li determinano. Il ché ci fa riflettere su quanto i fondamentalismi non siano altro che goffi riduzionismi politicamente connotati e, mai, ciò che presumono di essere: dei ritorni alla vera religione.

p.s. un grazie a Miguel per avermi segnalato Selling Spirituality. Il prossimo che mi dice “ma che lo fai a fare un blog?” gli rispondo: “Perché se non lo facessi non incontrerei Miguel che mi segnala Selling Spirituality“.

Lorenzo DeclichIslamercatocarrette,cristianesimo,il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo,isla,islam,king,mercato,neoliberismo,paolo mieli,philippe simonnot,rebranding,religioni,Selling Spirituality: The Silent Takeover of Religion,spiritualità
Riprendo il filo della teoria, seppure stringatamente, ripartendo da una recensione di Paolo Mieli che avevo citato qui. In il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo, cristianesimo, islam (qui la recensione di Mieli) Philippe Simonnot, partendo da una buona base bibliografica, traccia una 'storia dell'economia delle religioni' che...