Il tema della promiscuità dei sessi nell’islam contemporaneo è centrale perché, investendo tutta la letteratura e la prassi degli indumenti femminili, è sempre al centro dell’attenzione nei media.

La questione del velo e della “modestia” femminile nel vestire, tuttavia, è solo il punto terminale di un discorso che riguarda i rapporti sociali  fra uomini e donne nella vita di ogni giorno.

Su quel fronte si scontrano diverse visioni dell’islam: un esempio che ce ne descrive la ricchezza è la vicenda della fatwa di Ezzat Atiyya, passata alla storia come la fatwa dell’allattamento, per la quale un uomo e una donna non legati da parentela possono lavorare nello stesso ufficio solo a patto che la donna nutra il suo collega con il proprio latte (vedi qui).

Ovviamente la rilevanza effettiva di alcuni eventi, nel mondo della comunicazione, è condizionata al successo che essi hanno sul piano mediatico. E se la fatwa dell’allattamento fece il giro del mondo vista la stravaganza del punto di vista da cui partiva, la fatwa di Abdul Rahman al-Barrak che giustifica l’assassinio di chi permetta la promiscuità fra uomini e donne sul luogo di lavoro e nelle scuole sta avendo ben poca eco (vedi ad es. qui).

Ciò forse avviene perché una fatwa di questo genere aderisce ad uno stereotipo consolidato che vede l’islam nel suo complesso attestato su posizioni viete e retrograde.

Eppure la vicenda meriterebbe maggiore attenzione perché illumina alcune zone d’ombra del nostro mondo, e in special modo gli strani rapporti che da sempre gli USA intrattengono con l’Arabia Saudita.

Allora: il saudita al-Barrak non è uno sconosciuto anzi. Si tratta di uno degli `ulama’ (dotti, dottori della Legge) che Bin Laden citò nel lontano 1994 nella sua famosa Lettera allo Shaykh bin Baz, l’allora Gran Muftì dell’Arabia Saudita (morto nel 1999).

In quella lettera, il suo primo messaggio al mondo, Bin Laden criticava Bin Baz per la sua condiscendenza con il regime saudita e la sua posizione nei confronti dei negoziati di pace di Oslo fra israeliani e palestinesi.

Bin Laden, lì, poneva le basi della sua teoria jihadista o meglio – essendo un comunicatore più che un “dotto” – esprimeva il sentire suo, del suo gruppo e di una folta squadra di `ulama’ sauditi, fra cui proprio Barrak.

Era l’emersione, della quali pochi tennero conto, della strategia comunicativa del più efficace e distruttivo terrorismo dei nostri tempi.

Ora, dopo più di 15 anni “antiterroristici” fatti di sospetti, accuse, invasioni e massacri, scopriamo che Barrak, un jihadista conclamato, continua a emanare le proprie fatwa su internet e, nonostante gli annunci, a me  sembra che il suo sito non sia stato chiuso (qui: basta cambiare codifica e si legge benissimo).

In molti, compresi alcuni prominenti dotti sauditi, dicono che il parere di al-Barrak non conta nulla, che quello è solo un povero vecchio scemo. Ad arrabbiarsi, invece, sono diversi esponenti di al-Azhar e in specifico Ali Gomaa e Abdul Hamid al-Atrash, persone impegnate a conservare una visibilità nonostante la montante marea nera dell’islam saudita.

Io mi chiedo: perché al-Barrak viene lasciato stare, viene tenuto come in bacheca in un paese amico degli Stati Uniti dove per di più non c’è libertà di espressione, mentre per anni e anni, in tutto il resto del mondo, si è verificata la più grande caccia alle streghe della storia?

Eppure, dopo la visita del Segretario di Stato degli Stati Uniti, Hillary Clinton, lo scorso 16 febbraio, durante la quale nessuno, in nessuna maniera, ha neppure vagamente accennato al problema della democrazia e della libertà in Arabia Saudita, è chiaro che, se i sauditi volessero, potrebbero prendere al-Barrak e semplicemente farlo scomparire per sempre, come hanno fatto, ad esempio, con i comunisti.

Invece no, al-Barrak non scompare e anzi ogni tanto si rianima.

Sì, lo so. L’Arabia Saudita è un pozzo di petrolio e fra l’altro oggi sull’agenda c’è scritto “Iran” e “Afghanistan”, quindi criticare l’Arabia Saudita è fuori discussione.

Ma non riesco a capire quale logica i democratici americani stiano seguendo: non si rendono conto che così facendo ripercorrono la stessa strada che portò l’America all’11 settembre?

Davvero credono che per limitare l’Iran si debba potenziare l’Arabia Saudita?

Davvero pensano di fare affidamento sulla prossimità ideologica dei sauditi con i talebani per risolvere la questione afghana (vedi qua)?

Sembra che per gli americani le opzioni siano solo due: tirare bombe in faccia a della gente che non c’entra niente, oppure mettersi d’accordo con i sauditi (vedi qui).

Mentre, in tutto questo, la parola “donne” compare sull’agenda solo quando c’è un vuoto di programmazione (democrats), o quando è necessario riattizzare il fuoco dell’odio e dell’incomprensione (republicans).

Lorenzo DeclichDoppio veloabd al-hamid al-atrash,abd al-rahman al-barrak,ali gomaa,arabia saudita,egitto,ezzat atiyya,fatwa,hillary clinton,ikhtilat,osama bin laden,promiscuità,velo
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