Come era verde il mio islam
Visto che l’argomento ecologia mi sta a cuore, e che qui ha riscosso interesse la sua piega islamica, ritengo che possano tornare utili queste riflessioni sullo “schizzo di progetto operativo settennale musulmano per affrontare il cambiamento climatico globale“, presentato lo scorso luglio a Istanbul durante un incontro fra 200 leader musulmani di tutto il mondo (già segnalato qui da Lorenzo).
Il piano elaborato da una ONG con base a Londra (la Earth-Mates , che si propone fra le altre cose di favorire il dialogo interreligioso), offre una serie di spunti interessanti.
Ovviamente vi sono un mucchio di belle parole su quanto sia importante affrontare l’argomento dei cambiamenti climatici (CC). Ma soprattutto vi è un ampio paragrafo riservato alla “via islamica” all’ecologia (con citazioni coraniche, hadith ecc.).
Ora il quesito fondamentale è questo: si tratta di pura propaganda per dimostrare al mondo che anche l’islam è ecologista, come un osservatore in malafede potrebbe pensare stiracchiando un bel sorriso sarcastico, oppure l’intento è quello di indurre anche i musulmani a pensare in termini di rispetto dell’ambiente?
Nonostante il tono ironico e ipercritico, che mi è parso di intravedere anche su questo blog, rispetto a questi tentativi di ecologismo islamico, io sono fiducioso e propendo per la seconda ipotesi.
In questo senso vanno letti, secondo me, quegli obiettivi in cui si parla di favorire le “ricerche su Sunna e Corano correlate ai cambiamenti climatici ” o “un nuovo tafsir del Corano in un contesto contemporaneo utilizzando la conoscienza moderna”(p.15), ma anche “applicare principi ambientalisti nella pubblicazione del Corano” (forse si intende usare carta riciclata?), e addirittura “ripresentare i rituali islamici da una prospettiva ambientalista” (p.16, credo si riferisca all’idea di sviluppare un hajj eco-compatibile, ma chissà che non si arrivi a escogitare un rituale di macellazione halal che risulti indolore per le vittime!).
A questo scopo si suggeriscono una serie di iniziative comunicative e di informazione, fra le quali la preparazione degli imam, la fondazione di cattedre in studi ambientali nelle università islamiche, istituire borse di studio, favorire la traduzione di testi scientifici sull’argomento, oltre a campagne radio-TV-internet, eccetera.
Ancora interssante è il fare leva sull’islamicissima istituzione del waqf, anzi eventualmente creare dei waqf appositi mirati alla preservazione dell’ambiente.
Ovviamente questo è un progetto, una dichiarazione di intenti, che poi bisogna vedere quali risposte troverà nel mondo, non solo in quello musulmano.
Ricordo di aver letto anni fa su un blog (che oggi non riesco più a trovare, e se l’autore per caso si riconoscesse in questa citazione lo prego di segnalarmelo, a me gli va tutta la mia riconsocenza) a proposito di una sorta di gita scolastica nella quale alunni kuwaitiani venivano portati a un percorso didattico sul petrolio. Gli veniva insegnato tutto quello che si poteva fare col petrolio e che, in sostanza, col petrolio si poteva fare tutto. Insomma che il petrolio non solo dà ricchezza, il petrolio dà vita, il petrolio è vita.
Queste idee a noi potrebbero inorridire e scandalizzare, ma come dar torto ai kuwaitiani? Non è grazie al petrolio che loro possono avere l’acqua? Non è grazie al petrolio che fette di deserto possono riempirsi di verde e di vita? Non è grazie al petrolio che l’Arabia Saudita è potuta diventare esportatrice di grano e di latte (seppur di bassa qualità)?
D’altra parte, se in Italia estrarre petrolio dai fanghi dell’Adriatico e raffinarlo in loco può sconvolgere il delicatissimo ambiente agricolo e antropico che ci vive intorno, la stessa cosa fatta in un deserto può sconvolgere al massimo qualche mandria di cammelli e colonie di ragni e serpenti…
Comnque non è questo il punto. Può darsi che iniziative come quella di Istanbul portino anche a un cambiamento nella tradizionale visione “sfruttamentista” del mondo.
Perché il punto è questo: se si mettono in atto iniziative per trovare una “via islamica al verde”, questo ha il suo senso. A mio avviso è inutile porre il discorso ecologista su un piano laico-scientifico quando si parla a un credente, mentre può essere più efficace trovare un hadith che inviti a rispettare l’ambiente.
E sono anche dell’opinione che gli affaristi-lobbisti-capitalisti credenti cercherebbero di seguire questa “verdissima via” piuttosto che andar contro la volontà divina (e di coloro che la professano).
D
https://in30secondi.altervista.org/2010/03/07/come-era-verde-il-mio-islam/IslamercatoLa grande seteecologia,istanbul,muslim 7 year action plan on climate change,petrolio
Come puoi immaginare non sono molto d’accordo con il tuo post.
I miei punti sono sostanzialmente 2:
1. discutere su quanto sia ecologista l’islam “in sé” è ovviamente un po’ assurdo, anche se possiamo certamente metterci ad espuntare quei passi coranici o quei hadith che ci sembrano “più verdi” di altri. Dire, ad esempio, che l’unica preghiera musulmana non direttamente indirizzata a dio è quella per l’acqua, è abbastanza interessante, ma non so quanto questo poi abbia a che vedere con la moderna ecologia. Per islamistica.com ho linkato questo “Acqua e islam”. Inoltre, insieme all’architetto Stefano Russo, abbiamo avviato una serie di pubblicazioni su “Architettura sostenibile. L’altopiano iranico fonte di civiltà e ispirazione”. E’ tutto molto interessante ma, si badi bene, riguarda il mondo dell’islam nella sua dimensione storica, in quanto “religione intrinsecamente verde”. Si possono fare altri esempi, soprattutto nel campo della gestione dell’acqua e dell’uso di materiali da costruzione eco-compatibili (anzi: fantasticamente azzeccati): uno su tutti le oasi del Sahara. Ci sono anche diversi progetti di recupero delle tecnologie tradizionali in una visione ecocompatibile del mondo etc. etc. Nel caso di paesi come il Marocco, la Mauritania o l’Egitto io chiamerei questi tentativi “approccio giallo” più che “verde”, perché è nel giallo che le persone in questi paesi vivono, un giallo meraviglioso, aggiungerei, se se ne cogliessero tutte le virtù.
2. non si tratta di vedere la questione “verde” dal punto di vista laico-scientifico bensì capire chi si stia appropriando del businness verde in latitudini dove il verde è giallo (scusa ancora la metafora “colorita”, non posso farne a meno). E’ un po’ come parlare della finanza islamica. Sì, la finanza islamica può contenere un tasso etico superiore perché è “costretta” a trovare escamotages etici allo scopo di evitare il modello dell’usura, che l’islam vieta. Detto questo, però, i banchieri sono i banchieri, e certamente non sto lì a chiedermi chi fra i banchieri è più etico, a meno che non mi si parli di Muhammad Yunus… Sempre più spesso, invece, leggo cose come “è meglio mettere il proprio conto in una banca islamica perché è più etico”… Ora: non riesco a ritrovare le dichiarazioni del rappresentante degli Emirati Arabi alla conferenza di Copenhagen, ma ricordo che disse una cosa come: “va bene tutto, ma andiamoci piano” nel senso: “io i soldi col petrolio li faccio ancora, quindi ok per il verde ma come e quando lo dico io…”.
Caro Darm!!! Non citando le “autorità” musulmane che hanno partecipato al convegno non hai reso chiaro ai nostri lettori che l’iniziativa è assai discutibile proprio perché quei personaggi li ritrovi un po’ ovunque dove c’è qualcosa di danaroso da dichiarare “islamicamente corretto”.