Iraq vs Se-stesso 0-2
Fino ad oggi non mi sono mai occupato delle elezioni in Iraq del 7 marzo scorso.
Non avevo rimosso la questione ma, memore delle lungaggini che seguirono alle elezioni precedenti, mi ero ripromesso di scrivere qualcosa solo quando avessi trovato uno scoglio a cui aggrapparmi per fare una valutazione il più possibile definitiva.
Infatti già dall’inizio, e cioè nei mesi precedenti alle elezioni (in cui si doveva decidere la data delle elezioni e in cui si è assistito a un vero e proprio balletto di esclusioni e inclusioni di candidati), tutto faceva pensare, vista anche la composizione del corpo elettorale e il taglio identitario dei partiti, che:
- non avrebbe vinto nessuno
- nello stallo il terrorismo avrebbe sguazzato
- vi sarebbero state discussioni infinite sulla composizione del governo
Oggi, a più di due mesi dalla chiusura delle urne, penso di poter dire che siamo arrivati a confermare ciò che temevo.
E questo in base a due notizie che leggo oggi su Osservatorio Iraq (vedi qui una serie di articoli dell’Osservatorio dedicati alle elezioni iraqene):
- è finito il riconteggio delle schede a Baghdad e il risultato è confermato;
- la coalizione di al-Maliki avrebbe messo a punto una ipotesi iniziale per la spartizione dei posti. Secondo quanto riferisce al-Hayat i posti: “verrebbero distribuiti mediante un sistema a punti, basato sul numero dei seggi dei vari blocchi politici”.
Si conferma, insomma, che non ha vinto nessuno, e che l’Iraq non sarà governato ma saccheggiato.
Ma c’è chi dice che il vero vincitore sarebbe l’Iran, e ciò merita un supplemento di indagine.
I sostenitori di questa tesi non guardano alla realtà sociopolitica e demografica, e cioè che in Iraq c’è una maggioranza sciita (non necessariamente legata all’Iran, anzi) e che se alle elezioni si schierano partiti identitari (base religiosa e/o nazionalista, sebbene mascherate in taluni casi), nella fotografia dell’Iraq ci sarà sempre:
- una maggioranza sciita
- un paese diviso in 3 (in cui i kurdi finiscono per non contare niente).
Si può fare la guerra all’Iraq e in Iraq per decenni (e lo si è fatto) ma non si può cambiare questo dato (se si vuole un Iraq unito).
Se i risultati delle elezioni e ciò che ne consegue sono perfettamente in linea con ciò che abbiamo sul terreno dovremmo finalmente iniziare a ragionare cosa sul terreno succede.
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