Evidentemente il tema “islam vs sexshops” appassiona il lettore medio maschio occidentale così come nell’800 gli harem stimolavano l’immaginazione degli orientalisti.

Ho già affrontato questo tema ed oggi mi tocca rilevare che il concetto di “sex-shop islamicamente corretto”, da me brillantemente coniato (ogni tanto un po’ di auto-fuffa fa bene allo spirito) viene risparato oggi 22 maggio su un titolo de “Il Giornale”.

Poco male, o meglio: chissenefrega.

Ma passiamo al contenuto di questo e di altri articoli sul tema.

Lancia l’Ansa ieri 21 maggio alle 11.54 con “Bahrein, apre il primo sex-shop” (fonte).

Il testo fa così:

MANAMA – Si chiama ”La casa di Kahdija’ ed e’ il primo sexy shop nel regno del Bahrein e probabilmente in tutti i paesi arabi del Golfo. E’gestito da una donna velata.
Nato dopo che la sua proprietaria aveva gia’ lanciato un sito internet, il negozio di Manama ha come compito principale quello di aiutare le coppie sposate che si trovino ”in crisi di creativita”’.”Non c’e’ nulla nell’Islam- dice la donna -che vieti il piacere sessuale chiedete a qualunque religioso e ve lo confermera”’.

Prima e fondamentale nota: non si chiama “La casa di Khadija” bensì “Casa di moda Khadija” (Dar Khadija lil-azya’ – دار خديجة للازياء), che è tutta un’altra cosa.

Un po’ come: “Tuttomoda”, “Salvo moda”, “Moda per tutti”, “Grandi marche” etc. etc.

Eccola Khadija nel suo negozio:

Un negozio di vestiti.

Comunque… l’Ansa rimpalla un minuto dopo (11.55) con un testo più elaborato in cui cita per metà il nome del negozio, e attacca due parole:

E’ l’unico in Bahrein e probabilmente in tutti i paesi arabi del Golfo: è ‘Darkhadija’, la casa di Kahdija, il primo sexy shop mai aperto nel piccolo regno.

A parte il refuso (Kahdija), e che sotto “Darkhadija” in rete trovi solo un museo di artigianato della città tunisina di Hammamet, questo secondo pezzo ha una prosa (almeno nelle intenzioni) più accattivante e  contiene ulteriori informazioni.

Viene intervistata Khadija Ahmed, la proprietaria del negozio, che spiega che ha iniziato online, che deve superare problemi, ad esempio alla dogana, e che la sua merce è destinata a coppie sposate.

E infine, come si diceva nel post che ho linkato all’inizio, che il piacere sessuale all’interno del matrimonio nell’islam non è oggetto di proibizioni, etc. etc.

Il giorno successivo, ore 8.00, “Il Giornale” se ne esce con l’articolo scopiazzante e raccogliticcio di cui sopra, che termina anche con:

  1. una notizia del 2000 sull’apertura di un sex-shop alla Mecca (qui l’originale);
  2. un accenno a indumenti sadomaso che sarebbero consentiti dall’islam in quanto non fabbricati con pelle di maiale: un modo come un altro di “ricordare” la diversità, l’alterità dei musulmani.

Ma andrebbe bene così: tutti sanno che “Il Giornale” è un quotidiano criptofascista e quindi non ci si può aspettare che non vi si manifestino quotidianamente biechi cantori di “Faccetta nera”.

Il fatto è che il mio reader oggi va ingolfandosi di stupidi cloni di queste altolocate fonti italiche, generando mostri, e questo davvero mi fa venire il mal di stomaco.

Quindi andrò avanti, per dovere di cronaca, per risalire alla fonte che, come ho scoperto in questo articolo di  “Sawt al-Manama“, è AFP.

La quale AFP sbaglia in partenza sul nome del negozio, se è vero che su L’Orient le Jour, il primo a dare la notizia il 19 maggio, l’errore già compare.

Uf. Ci si mettono anche i francesi.

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Evidentemente il tema 'islam vs sexshops' appassiona il lettore medio maschio occidentale così come nell'800 gli harem stimolavano l'immaginazione degli orientalisti. Ho già affrontato questo tema ed oggi mi tocca rilevare che il concetto di 'sex-shop islamicamente corretto', da me brillantemente coniato (ogni tanto un po' di auto-fuffa fa bene...