Di nuovo qualcosa da leggere (ma che fatica)
Giudicare questo “Le religioni nelle relazioni internazionali” recentemente pubblicato dall’Ispi non è facile perché in esso troviamo chiari e scuri.
Da una parte: gli ideatori del dossier dimostrano di essere ancora dentro al “conflitto di civiltà”, di aver abboccato all’amo di Samuel Huntington e dei suoi succedanei politici.
Il loro capo, Boris Bianchieri, afferma:
il potere unificante delle ideologie ha progressivamente lasciato posto a nuovi modelli di appartenenza nei quali religione, cultura e potere territoriale sono intrinsecamente associati tra loro. Questo passaggio si è accompagnato evidentemente al rafforzamento della percezione culturale e, più in generale, del ruolo della religione (fonte).
E dalla analisi della pagina di presentazione si capisce che all’ISPI non hanno ben chiaro che mettere a confronto i due concetti di “scontro di civiltà” e “incontro di civiltà” significa affermare che ancora al mondo vi siano civiltà diverse, un fatto assolutamente da dimostrare (vedi qui e qui).
All’ISPI, insomma, si attestano su una prospettiva storta, presuppongono che:
La religione sta ricevendo una sempre maggiore attenzione nei consessi internazionali quale elemento chiave da tenere in considerazione per una migliore comprensione degli avvenimenti globali.
Mentre ciò che bisognerebbe rimarcare è che alcuni attori di diversa natura stanno puntando sulla religione per attrarre a sé vantaggi politici (conflittori di civiltà, controjadisti etc.) ed economici (islamercato, selling spirituality).
Dall’altra, notato che:
- il primo articolo del dossier riguarda – a proposito di sfruttatori delle religioni in funzione politica – il velo integrale in Europa (le definizioni di burqa e niqab nel testo sono del tutto sbagliate, ma fa lo stesso, alla fine il pezzo non è male);
- compare questo Retreat fron the Secular Path: the Democracy-Secularism Debate in the Muslim World, di John L. Esposito, il co-autore della lista dei 500 musulmani più influenti al mondo, un articolo in cui figurano i “soliti noti” (al-Qaradawi, Tariq Ramadan e poco altro) spacciati per “Muslim world”.
Troviamo questo Religious Revivals as a Product and Tool of Globalization, di Oliver Roy, che consiglio a tutti perché riassume in 12 pagine un’elaborazione teorica assai complessa (intuibile dal titolo) e altamente condivisibile.
https://in30secondi.altervista.org/2010/05/27/di-nuovo-qualcosa-da-leggere-ma-che-fatica/https://in30secondi.altervista.org/wp-content/uploads/2010/05/battaglia-di-lepanto1.jpghttps://in30secondi.altervista.org/wp-content/uploads/2010/05/battaglia-di-lepanto1-150x150.jpgIslamercatoal-qaradawi,conflitto di civiltà,fondamentalismo,islam,john l. esposito,olivier roy,religioni,samuel huntington,tariq ramadan
Leggerò o non leggerò la relazione, ma da quel che hai citato l’unico (anche se grosso) errore di prospettiva è quello di distinguere fra “potere unificante delle ideologie” e “modelli di appartenenza (…) quali religione, cultura e potere territoriale”, che a mio avviso sono la stessa cosa… E sostanzialmente si ammette la stessa funzione…
D
Interessante è il discorso di Zizek in merito (vedi l’altro post “i tasselli e il puzzle”). Lui afferma anche che il capitalismo funziona sostanzialmente come una “ideologia priva di senso”.