La notizia che “l’attentatore di Natale” Omar Farouk Abdulmutallab (vedi qui il riassunto wikipediano) si fosse addestrato in Yemen e che per far questo avesse finto di iscriversi a una scuola di lingua araba per stranieri di San`a’, ha avuto conseguenze incredibili, secondo quanto riportato da questo articolo di di Nasser Arrabyee (che cita Raissa Kasolowsky della Reuters), innanzitutto un crollo del flusso di studenti stranieri nelle scuole della capitale yemenita.

Il problema in realtà è cronico. Siccome lo Yemen — questo sconosciuto — affascina almeno quano suscita diffidenza, i flussi di turisti e studenti in quel paese seguono spesso le altalenanti curve dell’allarmismo islamofobo e dei riflussi di guerra civile.

Ma questa volta c’è un problema in più.

Secondo quanto citato nell’articolo, il governo yemenita, stanco di veder descritto il proprio paese come covo di terroristi, ma soprattutto constatando che questi ultimi in realtà vengono da lontano, a volte dagli stessi USA o dalla Gran Bretagna, ha deciso di porre una stretta sulla concessione dei visti a studenti e turisti. In pratica, nessuno deve entrare in Yemen con la scusa di fare lo studente (o il turista) e poi diventare un terrorista da esportazione.

La notizia è davvero curiosa per una serie di considerazioni:

  1. La sottigliezza ribadita dagli yemeniti è che Abdulmutallab (e quelli come lui) sarebbero diventati “estremisti” (“radical”) fuori dal loro paese, mette in evidenza come la distinzione fra radicalismo islamico e terrorismo in Yemen ha un senso diverso che da altre parti. Come già detto in questo blog, lo Yemen può rappresentare un paradiso per i musulmani, in quanto tutta la società è fortemente praticante e (solo) agli occhi esterni può apparire molto estremista. In questa ottica il terrorismo è la pratica di chi si oppone al governo centrale con mezzi violenti, mentre l’estremismo islamico (che sfocia nel “terrorismo islamico”) non sarebbe autoctono ma importato.
  2. È per lo meno curiosa questa dinamica di import-export di terrorismo fra “Occidente” e Yemen (verso l’appetibile mercato USA), per lo meno sul piano della comunicazione: da entrambe le parti si accusa l’altro di esportare terrorismo.

Ma qual è, nella realtà dei fatti, il volume di tale “commercio”?

I casi accertati sarebbero solo due, anzi uno, come sottolinea Sabri Saleem, Direttore del Yemen College of Middle Eastern Studies: “di 9000 studenti passati per questa scuola negli ultimi decenni uno solo era estremista, e cioè John Walker Lindh”, il cosiddetto “talibano americano” fatto prigioniero in Afghanistan nel 2001. Il secondo sarebbe per l’appunto Abdulmutallab.

Altri casi sono solo sopetti.

La notizia dell’arresto di ben 30 stranieri negli ultimi due mesi, fra cui alcuni francesi, britannici, malesi e nigeriani, tutti, pare, entrati con visto da studenti e sospettati nientemeno che di legami con al-Qa`ida, è di qualche giorno fa.

Aspettiamo gli sviluppi della vicenda, ma l’analisi sui flussi di questo strano import-export andrebbe fatta.

Un tempo i rivoluzionari di tutto il mondo andavano (spesso in esilio) a studiare rivoluzione a Parigi o Londra per poi tornare nei loro paesi a fare la rivoluzione. Oggi gli estremisti islamici nascono e si alimentano nelle periferie di quelle stesse metropoli, poi vanno a studiare in Yemen per tornare poi in Occidente a combattere la loro “guerra”.

Questa è una semplificazione, lo so, ma anche uno spunto su cui ragionare, per capire il dove e il come della produzione e circolazione di questo fenomeno-prodotto da esportazione.

D

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La notizia che 'l'attentatore di Natale' Omar Farouk Abdulmutallab (vedi qui il riassunto wikipediano) si fosse addestrato in Yemen e che per far questo avesse finto di iscriversi a una scuola di lingua araba per stranieri di San`a', ha avuto conseguenze incredibili, secondo quanto riportato da questo articolo di...