Da tempo ho inserito nel mio blog alcuni “osservatori”, visibili sulla colonna di destra, riguardanti gli argomenti “caldi” dell’islam che ritroviamo ogni giorno sui media.

Fra questi c’è anche un “Propagatori di spazzatura” in cui uso inserire notizie sui ragionamenti e sulle vicende di una serie di personaggi che in Italia e altrove, in cattiva fede, diffondono teorie demenziali sull’islam contemporaneo.

Uno dei temi che maggiormente impegna queste teste d’uovo destrorse riposa sulla teoria per cui gli intellettuali di sinistra abbiano abbandonato il loro fervido laicismo e il loro amore per i diritti umani etc. etc.  per farsi catturare dalle teorie di musulmani retrivi e conservatori.

Insomma: intellettuale laico = schiavo dell’islam.

L’ultimo esempio arriva da “Il Giornale” ed è firmato Matteo Sacchi (Il salto nel buio degli intellettuali laici). Con la scusa di recensire un libro che sicuramente non ha letto: The fligh of the intellectuals di Paul Berman.

Neanche io ho letto il libro e, ve lo dico sinceramente, non ho nessuna voglia di farlo perché:

  1. di attacchi a Tariq Ramadan,
  2. di attacchi agli intellettuali che sostengono Tariq Ramadan
  3. della storia delle simpatie più o meno pompate dei suoi avi con i nazisti,
  4. di denunce contro i Fratelli Musulmani,
  5. di difese di Hirsi Ali

ne ho davvero abbastanza e, dalle recensioni che ho letto, il libro tratta essenzialmente di questo.

Vi dirò anche, sinceramente, che:

  1. trovo Tariq Ramadan estremamente sopravvalutato;
  2. trovo la vicenda dei Fratelli Musulmani – perché di una vicenda in fieri si tratta – davvero inquietante ma per motivi diversi da quelli citati solitamente (aggressività, Stato islamico etc. vs. islamercato);
  3. la Hirsi Ali è una persona che va protetta ma del cui pensiero non condivido niente (ovviamente se Hirsi Ali dice di essere contro l’infibulazione non vuol dire anche io non sia contro l’infibulazione, ma ciò non necessariamente mi fa essere d’accordo con Hirsi Ali).

Ecco l’incipit di Sacchi:

Dove sono finiti gli intellettuali del mondo Occidentale? Sono volati via, persi nel cielo dell’orientalismo «senza se e senza ma». Si sono smarriti nelle enormi distese, prive di nuvole e tutte uguali, del multiculturalismo e del politicamente corretto. Venduti al vangelo secondo cui quelli che hanno ragione sono sempre gli altri. A partire da Tariq Ramadan, sul quale, a partire dal 2001, si è focalizzata l’attenzione di chi, in Europa o in America, voleva un dialogo con l’Islam.

Bello, no?

Altra frase:

Nel lungo percorso che porta dagli illuministi, con tutti i loro difetti, ai loro epigoni, che quei difetti li hanno esasperati, qualcosa si è comunque smarrito. Potrebbe essere il coraggio.

Leggete poi questa descrizione dei Fratelli Musulmani:

Il professore arabo ginevrino [Ramadan] è legatissimo, a partire dai motivi familiari, a questa associazione [i Fratelli Musulmani]. Un’associazione considerata ai limiti della legge anche in moltissimi Paesi arabi (ogni tanto cooperano all’omicidio di un presidente egiziano), un’associazione che sposò le posizioni dei nazisti allo scopo di debellare gli ebrei dalla Palestina sotto mandato inglese (il loro motto è «Allah è il nostro obiettivo. Il Profeta è il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il jihad è la nostra via. Morire nella via di Allah è la nostra suprema speranza»).

Al di là delle imprecisioni minori  (ad es. Tariq Ramadan è svizzero, non arabo-ginevrino, definirlo “arabo-ginevrino suona vagamente denigratorio) ricordo a Sacchi che il primo e ultimo omicidio di un presidente egiziano, quello di Anwar Sadat, è datato 1981, 31 anni fa.

Che le responsabilità di quell’assassinio (vedi nel p.s.) sono ben lungi dall’essere accertate.

Che da allora in Egitto c’è lo stato di emergenza.

E che i milioni di persone che lo subiscono sulla loro pelle ogni giorno meritano rispetto.

Ora, ritorniamo indietro, al sottotitolo dell’articolo, che fa:

In Occidente va di moda minimizzare le minacce della Mezzaluna. Ma c’è qualcuno che non ci sta. Un saggio di Paul Berman smaschera i metodi e la doppiezza dei Fratelli Musulmani

Minimizzare la “Mezzaluna”? Non sarai tu, per caso, insieme ai tuoi amici, a minimizzare anzi peggio, a ignorare?

“L’orientalista invaghito” sei tu, il tuo non è un pezzo di giornale, è solo un grande rutto.

E a me, che amo vivere in un mondo in cui i rutti non si pubblicano su giornale, mi provochi una profonda repulsa: sento di appartenere a una civiltà diversa.

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p.s. Sulle “responsabilità” dei Fratelli Musulmani nell’omicidio di Sadat riporto un articolo apparso su Peacereporter nel 2006:

L’11 ottobre si è celebrata la prima udienza del processo a carico di Talaat Sadat, deputato del Parlamento egiziano, accusato di ‘vilipendio delle Forze armate’. Sadat, al quale è stata tolta l’immunità parlamentare, è il nipote dell’ex presidente egiziano Anwar el-Sadat, assassinato il 6 ottobre 1981 da tre militari durante una manifestazione pubblica in diretta tv.
il momento dell'omicido di  sadatUn vecchia storia. Questa almeno è sempre stata la ricostruzione ufficiale. Il nipote di Sadat ha invece un’altra teoria rispetto alla morte del celebre zio e, in un’intervista televisiva per uno speciale sul 25° anniversario dell’assassinio dell’ex presidente, ha affermato che secondo lui l’omicidio era stato “il risultato di un vasto complotto al quale avevano preso parte la guardia presidenziale, nonché alcuni capi delle forze armate”, accennando anche a un coinvolgimento indiretto dell’attuale capo di Stato, Hosni Mubarak, che allora copriva la carica di vice presidente e che proprio grazie alla morte di Sadat divenne capo dello Stato, carica che ricopre ancora oggi. Le dichiarazioni del nipote di Sadat hanno avuto l’effetto di una bomba e Fathi Sorur, presidente del Parlamento egiziano, ha revocato subito la sua immunità parlamentare. Poche ore dopo Talaal Sadat è stato arrestato. Tanta solerzia si spiega con il fatto che l’apparato di governo dello stato egiziano si regge sulla legislazione d’emergenza proclamata all’indomani dell’attentato.
hosni mubarakIl perno del potere. Ma qual è questa versione ufficiale? La magistratura egiziana, a poche ore dall’omicidio di Sadat, ritenne che il movente principale dell’omicidio dovesse essere l’ordine d’arresto presidenziale, nel settembre 1981, per circa 1600 dissidenti, tra integralisti islamici e comunisti. Un mese dopo, il 6 ottobre, l’omicidio al cospetto della televisione, che mostrò le scioccanti immagini dell’accaduto al mondo intero. Secondo le indagini che seguirono, finirono nell’occhio del ciclone i Fratelli Musulmani, accusati di aver voluto punire Sadat per il trattato di pace firmato con Israele nel 1978, che era valso a Sadat il premio Nobel. Il vice-presidente dell’epoca era Hosni Mubarak, che divenne presidente ed emanò un pacchetto di leggi speciali rispetto al momento difficile che attraversava il Paese. Quelle leggi speciali sono ancora in vigore e Mubarak è ancora presidente. Solo negli ultimi anni ha concesso qualche timida riforma, ma continua a tenere ai margini della politica egiziana, anche grazie alle leggi speciali, tutte le opposizioni  e in particolare i Fratelli Musulmani che, in libere elezioni, sarebbero il partito di gran lunga più votato.

manifestazione di khyfaiaUn regime a rischio. Questo quadro dà l’idea dell’importanza delle dichiarazioni di Talaat Sadat riguardo alla morte dello zio. Se Mubarak dovesse risultare in qualche modo coinvolto in prima persona, il suo regno entrerebbe in crisi, perché la sua leadership si basa in larga parte ancora sulla sua immagine di ‘salvatore della patria’. Anche se non emergessero colpe personali del Presidente, potrebbe venire meno l’atto di accusa per i Fratelli Musulmani e questo non consentirebbe più di tenerli ai margini della politica, con il conseguente sconvolgimento del quadro politico egiziano. Il movimento dissidente egiziano Kefaya (basta!), variegata coalizione dell’opposizione, ha però negato il proprio sostegno al deputato incarcerato, dichiarando che pur apprezzando il suo ruolo nella lotta alla corruzione e agli scandali governativi, lo considerano un tenace sostenitore dell’accordo di pace con Israele firmato dallo zio quando era al potere. Talat Sadat, dal canto suo, si è detto convinto che sarà condannato a tre anni di carcere, sentenza che consentirà al regime di sbarazzarsi di lui.

Christian Elia

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