Per settimane ho cercato di non scrivere su Imam muda, il reality show malesiano in cui chi dimostra di essere il miglior giovane imam (in un’ottica da reality, ovviamente, e cioè attraverso il televoto) vince (anzi ha vinto, perché il programma è finito, per la cronaca il vincitore è Muhammad Asyraf) un viaggio alla Mecca e una autovettura.

Mi sembrava infatti scontato attribuire un fenomeno del genere ai tentacoli di un islamercato in espansione continua.

Dal punto di vista della fenomenologia dei commenti a Imam muda, poi, ritrovavo gli stessi atteggiamenti di sempre: dai propagatori di spazzatura de l’Occidentale ai semplici bloggers incuriositi o increduli.

Fedele alle mie abitudini ho digitato “imam” nella casella di ricerca di wikio ma il risultato non è particolarmente illuminante come in altri casi:

Unica annotazione per chi ipotizza reality show con aspiranti preti come protagonisti.

Non ci siamo: un imam è scelto (di norma) dalla sua comunità (è proprio su questo che gioca il reality). Non ha consacrazioni ne investiture divine di nessun genere.

Lo si può giudicare in base alla sua effettiva bravura (al di là della sua impostazione dottrinale e/o del suo fascino).

Un prete invece riceve l’abito da un gerarca. Il voto popolare non lo rende più o meno adatto a fare il suo mestiere. Inoltre una stilla di luce divina in qualche modo viene inculcata in lui al momento in cui viene consacrato. Questi si fa veicolo della volontà di dio. Niente di tutto questo nell’islam (sunnita), in cui dio e uomini rimangono due cose ben distinte e in cui gli “officianti” sono persone come tutte le altre (sebbene, ovviamente, maschi, ma questo è parzialmente un altro discorso).

Un tale assolutismo della divinità musulmana, che promulga una Legge e lascia agli uomini tutto il resto, si adatta con sorprendente facilità al mondo del mercato.

Sta a voi decidere se questo sia sintomo di maggiore o minore modernità.

Quanto al fatto che nella nuvola dei tag figuri l’Indonesia insieme alla Malesia, il mistero è presto svelato: questa avvenente signorina si vuole presentare alle elezioni indonesiane (lo pseudo-raz-degan della foto non è incluso nel pacchetto-elezioni):

La cosa viene lanciata dal New York Times del 30 luglio.

L’ANSA di ieri la riprende titolando: “Indonesia, popstar sexy sfida gli imam” e portandosi dietro tutti gli articoli italiani riguardanti quella che per il NYT non è solo una “notizia” ma soprattutto una cover story (la rubrica è “the saturday profile”).

Mi preme sottolineare che, al contrario di quanto fa il NYT, tutte le versioni italiane di questa storia non ricordano che Yuli Rachmawati, in arte Julia Perez, è musulmana.

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