Nell’islam ogni anno si celebra il rito del pellegrinaggio alla Mecca (hajj).

Ne parlerò qui in quanto businness solido, un businness poco rischioso, oserei dire di rendita perché ogni musulmano, se può, è tenuto a compierlo almeno una volta nella vita, quindi chi gestisce il pellegrinaggio può fare i suoi conti come se gestisse un’autostrada o un acquedotto.

I primi beneficiari economici del hajj sono i sauditi, sul cui territorio si trova la Mecca (non gli bastava il petrolio). In tempi moderni i sauditi hanno ricostruito la Mecca varie volte (le ricostruzioni sono tuttora in corso) con lo scopo principale di ampliare la ricettività.

Ma il businness non si ferma qui. Ad ogni paese è assegnata una quota-pellegrini annuale (per evitare vere e proprie invasioni) e la cosa non genererebbe grandi problemi se non fosse che, come riporta questo interessante articolo del New York Times, in casi come quello indonesiano, in cui la lista d’attesa per avere un posto da pellegrino è lunghissima (i prossimi 6 anni sono già off), si assiste a fenomeni di corruzione: io, funzionario, ti metto in lista e tu mi dai dei soldi.

Di qui il dilemma del pio indonesiano: devo assecondare la corruzione per compiere il mio dovere di musulmano o denunciare la corruzione rischiando di non compiere  il mio hajj?

Mala tempora currunt.

Lorenzo DeclichIslamercatoarabia saudita,hajj,indonesia,islam,pellegrinaggio
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