La Mecca è il luogo sacro dell’islam.

I musulmani, salvo errori, pregano in direzione del suo centro, dove è posta la Ka`aba.

Vi ci si recano almeno una volta nella vita, salvo incidenti, per compiere il pellegrinaggio (hajj).

Nei secoli la Mecca è stata dominata da entità diverse, più o meno istituzionalizzate, in maniera più o meno illuminata e/o repressiva.

Da un bel po’, poco più un secolo, si trova ufficialmente nel Regno dell’Arabia Saudita.

Come saprete l’Arabia Saudita è uno dei paesi peggiori al mondo.

Ma se non lo sapete vi spiego in breve perché: in Arabia Saudita non v’è libertà d’espressione, non si rispettano i più elementari diritti della persona, vige la pena di morte, si consuma ogni genere di cattiveria nei confronti delle donne, che vivono in una condizione di reclusione ed esclusione intollerabili, si sfruttano come schiavi immigrati dai paesi poveri, si coltivano ideologie chiuse e viete da cui scaturiscono le peggiori “versioni” dell’islam contemporaneo (vedi Osama bin Laden).

Poiché, però, nel territorio dell’Arabia Saudita (a diverse centinaia di chilometri dalla Mecca e da Yathrib, sul lato del Golfo Persico) ci sono immense riserve di petrolio, le più grandi riserve del pianeta, ai Re dell’Arabia Saudita nei decenni è stato chiesto, soltanto, di garantire stabilità interna, di acquiescere nei confronti delle iniziative economiche e/o militari amercane, di pompare petrolio senza rompere troppo i cabbasisi.

Questa situazione è ben lungi dal non generare disguidi abnormi.

I primi sentori del fatto che qualcosa laggiù non poteva non creare pesanti danni al mondo li troviamo già nel 1979 (vedi qui e qui).

Gli ultimi esiti li hanno sotto gli occhi gli abitanti di Manhattan.

La cosa che fa più rabbrividire è che l’opposizione ai sauditi, in Arabia Saudita, viene da destra, dagli ambienti “conservatori”, semplicemente per il fatto che l’opposizione democratica, progressista, di sinistra è stata sistematicamente annientata a suon di esecuzioni (cosa che è avvenuto in molti altri paesi del mondo islamico, ma lasciamo perdere).

Oggi ci ritroviamo in una situazione in cui questi sauditi e i loro clienti si trovano benissimo. Nessuno, nelle alte sfere, chiede loro di cambiare un virgola. Tutti, a più livelli, accettano i loro soldi per costruire meravigliosi o orribili palazzi, per sovvenzionare interessantissime o scadenti ricerche etc. etc..

E ipocritamente si sostiene che questi Re siano garanzia di moderazione.

Poi, un giorno, scopriamo che hanno distrutto la Mecca: in piedi hanno lasciato praticamente soltanto la Ka`aba che, fra l’altro, storicamente è stata distrutta e depredata più volte.

Hanno chiamato questa distruzione “la grande espansione” della Mecca, volendo significare con questo che si ampliava la ricettività del luogo ma con questo eliminando centinaia di anni di storia, di architettura, di biblioteche, di luoghi di accoglienza e così via.

Al vecchio cosmopolitismo meccano, uno strano e interessantissimo mix, si è sostituita una monocultura che definirei “islam saudi kingdom style”, piena di pomposa, stucchevole autocelebrazione e orientata al mercato, al businness.

I Re hanno fatto di Mecca il loro grande businness del futuro, sapendo che quel loro altro businness, il petrolio, prima o poi non sarà più tale.

Alla fine la Mecca è diventata la Capitale di Mondo B, il mondo dell’islamercato.

Un posto da consumare, molto simile a tanti altri se non per alcuni ridicoli dettagli.

Come definireste infatti, in termini di rapporto volumetrico, le Torri al cui centro si trova la Royal Mecca Clock Tower rispetto alla prima moschea dell’islam al cui centro troviamo la Ka`aba?

Questa è una ricostruzione virtuale delle Abraj al-bayt, con al centro la torre dell'orologio. La masjid al-haram è là di fronte.

Un dettaglio, o quasi.

Ora: poiché anche Mondo B – un mondo fatto di soldi e di businnesmen che si svegliano presto la mattina – ha bisogno dei suoi simboli, i sauditi hanno fatto un orologio.

E non hanno lesinato: sulla seconda torre più alta del mondo hanno fatto l’orologio più grande del mondo.

Quando la notizia della sua inaugurazione è rimbalzata qui da noi, ha colpito il nostro trepido immaginario.

Il Daily Telegraph ha scritto un articolo un po’ allarmato un po’ colorato dal titolo: “Giant Mecca Clock seeks to call time on Greenwich” (L’orologio gigante della Mecca chiama il tempo a Greenwich”, penso sia una metafora boxistica) ma il Corriere, nella migliore tradizione del paurismo, conflittismo di civiltà, becerismo, provincialismo destrorso e coatto nostrano se ne è uscito con un “E’ 3 ore avanti l’ora dell’islam“, una quasi-traduzione del Telegraph, mascherata da articolo e firmata Simona Marchetti.

Nessun cenno a quanto ho scritto sopra, anzi: un evidente ignoranza delle dinamiche succitate che pure erano vagamente presenti nel pezzo del Telegraph, ma vengono spiccate via con nonchalance dal Corriere.

Ora, come pensate che abbia preso la cosa?

Il massimo livello di veleno mi coglie quando leggo una delle didascalie:

L’orologio che segna il tempo dell’Islam, 3 ore avanti rispetto a Greenwich

Mannaggiallapaletta: l’islam, nel suo insieme, non ha mai avuto bisogno di “un solo orologio” per un millennio e mezzo semplicemente per il fatto che ogni sua frazione discreta – cioè ogni comunità – si è dotata del suo.

Non ne ha avuto bisogno ora e non ne avrà bisogno mai, a meno che non succeda che i sauditi, effettivamente, diventino i referenti unici per l’islam nel mondo.

E se noi da qui diamo loro una mano – come fa il Giornale seguendo a ruota il Corriere*) – non è escluso che ciò avvenga.

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* Il titolo de Il Giornale: “Scatta l’ora musulmana per conquistare il tempo”.

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p.s. volete farvi venire un po’ di raccapriccio? Dai, fate come me, guardate questi video.

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La Mecca è il luogo sacro dell'islam. I musulmani, salvo errori, pregano in direzione del suo centro, dove è posta la Ka`aba. Vi ci si recano almeno una volta nella vita, salvo incidenti, per compiere il pellegrinaggio (hajj). Nei secoli la Mecca è stata dominata da entità diverse, più o meno istituzionalizzate,...