Uno dei miei giornali online preferiti, l’Occidentale, pubblica in traduzione un articolo Ayaan Hirsi Ali apparso sul Wall Street Journal lo scorso 18 agosto.

Il titolo, “Come l’Occidente può vincere lo scontro di civiltà”, è una bella mattonata in faccia, di quelle che mi fanno andare storto il sabato.

Senza mettermi a fare filosofia faccio notare che in questa frase si dà per scontata l’esistenza di:

  1. uno scontro;
  2. più civiltà

La qual cosa ci impone subito una riflessione sul fatto che lo si debba rigettare a priori.

Lo scontro di civiltà, infatti, non è per nulla un fatto assodato, anzi: vi invito a leggere perlomeno qualcuno degli articoli che si trovano nella pagina di questo blog dal titolo “Alcuni capisaldi“.

In breve: il conflitto di civiltà è una enorme, gigantesca bufala, uno strambo impianto teorico la cui applicazione genera un’insopportabile mole di astrazioni e una serie interminabile di semplificazioni  intollerabili.

E la risposta all’implicita domanda posta dal titolo della Hirsi Ali è più o meno: “smettendo di fabbricarlo”.

Infatti chi vi fa riferimento – e questo lo dico in base a fatti, non in base a ipotesi – ha principalmente obiettivi politici impossibili da raggiungere in un mondo in cui non vi sia una letteratura di guerra in cui un “esercito del bene” combatte contro un “esercito del male”, in cui c’è un cattivo contro cui confliggere.

Chiamo queste persone “conflittori di civiltà” perché usando la teoria dello scontro di civiltà come strumento interpretativo della realtà, finiscono per generarlo loro stessi.

In campo politico i più importanti conflittori di civiltà dell’ultimo decennio sono George W. Bush e Osama bin Laden.

Quale sia il rapporto che li lega indissolubilmente è chiaro a tutti: le politiche dell’uno sarebbero risultate ridicole, stupide, cieche senza senza le politiche – speculari – dell’altro.

Altri conflittori di civiltà di minor caratura si trovano in ambedue quelle che una Ayaan Hirsi Ali e tutto il carrozzone definebbe “civiltà”, l’occidentale e l’islamica.

Li riconosciamo immediatamente in base alla loro collocazione politica – una ultradestra bigotta – e alla fenomenologia del loro apparire nei mass media – esistono perché confliggono.

Abbiamo evidenza, anche, dell’esistenza di un buon numero di agenzie del conflitto di civiltà, ad esempio il MEMRI, o i “controcrociati” dell’Osservatorio islamico di resistenza alla cristianizzazione (vedi qui). Si tratta di entità interessate in un modo o nell’altro a fabbricare lo scontro di civiltà, ma discuterne qui sarebbe davvero troppo lungo.

Quanto a noi sappiamo, e questo blog nasce anche con questo intento, che la descrizione del mondo contemporaneo, dei suoi conflitti, delle sue contraddizioni, è molto più complessa di quanto una teoriucola di “storia mondiale” ci vuole indurre a credere, di quanto un dittatorello o un riccastro o un petroliere qualunque ci vengano a dire, di quanto un analista di geopolitica o un esperto di intelligence, seppur diligente, ci riesce a raccontare.

Sappiamo che in ogni situazione abbiamo il dovere di analizzare senza pregiudizi, senza partigianerie, senza schematismi per capire ciò che abbiamo davanti. E, con questo, analizzando anche il perché e il percome questa situazione giunge ai nostri occhi (in questo nostro mondo, infatti, non esiste solo un islam. Esiste anche un meta-islam, ovvero ciò che della realtà culturale, storica, religiosa e politica dell’islam appare nel mondo dell’informazione).

Ma torniamo ai conflittori di civiltà: uno dei loro grandi rimossi è, ad esempio, la presa in considerazione del fatto che viviamo in un mondo globalizzato (nel senso economico del termine) e che il capitalismo mondiale non conosce confini o meglio: ne crea se e quando essi sono funzionali al profitto.

Per questa ragione ci siamo imbarcati nell’analisi, che definirei appassionata, di uno dei fenomeni meno considerati ma più “illuminanti” degli ultimi tempi: la nascita di un islamercato le cui caratteristiche replicano quelle di un qualsiasi altro mercato ad eccezione di alcuni, risibili dettagli che lo rendono o dovrebbero o vorrebbero rendere appetibili certi prodotti ai musulmani in quanto tali (vedi qui gli articoli sull’islamercato).

Non è uno scontro di civiltà, non c’entra niente. E una guerra economica condotta su più piani in cui più attori si confrontano a diversi livelli: negazione o affermazione della “islamità” di un prodotto (si veda, ultimamente, la questione dei vaccini halal), creazione di merci percepite come islamiche, creazione di consumatori islamicamente orientati, concorrenza interna (in nuce in alcuni settori, principalmente quello alimentare) etc. etc.

Niente di tutto questo compare nell’analisi di Hirsi Ali e, in generale, nelle analisi de l’Occidentale o di giornali simili.

Loro sono ancora lì, sul bastione, col fucile in mano.

E sparano a gente che non c’entra niente.

Lorenzo DeclichIslamercatoLe destre e l'islamScomposte invettiveayaan hirsi ali,conflitto di civiltà,george w bush,l'occidentale,osama bin laden
Uno dei miei giornali online preferiti, l'Occidentale, pubblica in traduzione un articolo Ayaan Hirsi Ali apparso sul Wall Street Journal lo scorso 18 agosto. Il titolo, 'Come l'Occidente può vincere lo scontro di civiltà', è una bella mattonata in faccia, di quelle che mi fanno andare storto il sabato. Senza mettermi...