Da qualche tempo Alaa al-Aswani ha un blog sulle pagine di World Affairs.

Ieri ha affrontato un tema spinoso ma fondamentale sia per far luce sulla situazione egiziana che in una prospettiva più ampia.

Il pezzo si chiama “I rischi della discriminazione positiva“.

La storia è questa: una donna copta, Camelia Shehata, moglie di un prete copto, si converte all’islam.

Si reca ad al-Azhar, l’antica università islamica del Cairo e centro istituzionale dell’islam egiziano, per formalizzare la sua conversione e, contestualmente, il suo divorzio dal prete.

La cosa non va giù alle gerarchie copte che organizzano diverse manifestazioni contro questa conversione. Le autorità di al-Azhar, imbarazzate, negano la documentazione necessaria ad attestare la conversione e, a un certo punto, Camelia scompare, viene rapita e nascosta da qualche parte (la storia per esteso è raccontata qui).

In Egitto vige quello che alcuni, qui, chiamerebbero “multiculturalismo” e che io invece definirei come “sottrazione dei diritti della persona a beneficio di un’istituzione religiosa”.

Per fare un esempio: di recente Papa Shenouda, la massima autorità religiosa copta in Egitto, si è scagliato contro quei copti che divorziano e si risposano, una cosa che la chiesa copta non accetta e che invece la legge egiziana permette.

“La chiesa copta rispetta la legge egiziana – ha detto – ma non accetta regole che contravvengono agli insegnamenti della bibbia e violano la nostra libertà religiosa, che è stabilita per legge”. (fonte)

Una “libertà religiosa” grazie alla quale una gerarchia religiosa ha il diritto di negare le libertà di un individuo sancite dalla legge di uno Stato sovrano: se sei copto sei anche soggetto alle leggi della chiesa copta in materia di matrimonio e non c’è Egitto che tenga.

La qual cosa non sarebbe gravissima – nel senso che ognuno è libero di farsi comandare da chi vuole – se non fosse che quando una donna copta decide di diventare musulmana al-Azhar le nega di fatto questo diritto e la gerarchia copta agita i suoi fedeli che fanno scomparire la donna.

E’ a questo punto che Alaa al-Aswani, che segnala un altro caso simile verificatosi diversi anni fa, pone il problema della “discriminazione positiva”: per “apparire tollerante” con i non musulmani, lo Stato egiziano, attraverso un’istituzione statale musulmana come al-Azhar, discrimina i singoli, rinunciando alla propria sovranità.

Un bell’impiccio, tramite il quale possiamo esemplificare la tematica “religione e potere politico” senza per forza incastrarci nel gioco della contrapposizione fra buoni e cattivi.

Al-Aswani, ad ogni modo, chiude così:

La causa di Camelia Shehata è la causa dell’Egitto: la causa della giustizia e della libertà, la causa della libertà di scelta in quanto diritto umano. Se Camelia Shehata fosse stata una musulmana che si era convertita al cristianesimo avrei scritto le stesse cose in difesa del suo diritto di scegliere la religione che vuole.

Perché non sento le voci delle organizzazioni per i diritti umani e dei gruppi per la liberazione delle donne finanziati dall’occidente? Perché il Dipartimento di Stato americano le istituzioni occidentali non emanano comunicati di condanna in solidarietà con Camelia Shehata così come hanno fatto in difesa dei copti e dei baha’i?Prima di essere musulmana o cristiana, Camelia Shehata è un essere umano che non dovrebbe venire oppresso, recluso, o  forzato a cambiare il suo credo religioso in nessun modo. Lo scopo di tutte le religioni è proteggere la dignità e la libertà dell’umanità e qualsiasi cosa violi i diritti umani non ha nulla a che fare con la religione.

Lorenzo DeclichIn 30 secondial-azhar,alaa al-aswani,camelia shehata,conversione,copti,cristianesimo,egitto,islam,papa shenouda
Da qualche tempo Alaa al-Aswani ha un blog sulle pagine di World Affairs. Ieri ha affrontato un tema spinoso ma fondamentale sia per far luce sulla situazione egiziana che in una prospettiva più ampia. Il pezzo si chiama 'I rischi della discriminazione positiva'. La storia è questa: una donna copta, Camelia Shehata,...