Si effettua sul condannato un’iniezione endovenosa continuata di una dose letale di un barbiturico ad azione rapida (pentothal) in combinazione con un agente chimico paralizzante. La procedura assomiglia a quella utilizzata per effettuare un’anestesia totale. In Texas e nella maggior parte degli altri Stati che utilizza l’iniezione letale per le esecuzioni viene usata una combinazione di tre sostanze: un barbiturico che rende il prigioniero incosciente, una sostanza che rilassa i muscoli e paralizza il diaframma in modo da bloccare il movimento dei polmoni e un’altra che provoca l’arresto cardiaco (fonte).

In pratica muori legato a un letto, in una camera bianca, e (sembra) che la cosa non ti provochi nessun dolore (salvo complicazioni, che possono esserci), se non quello dovuto all’inserimento dall’ago nella vena.

Vieni assassinato apparentemente bene. Perché lo Stato, che ti ammazza, non vuole apparire efferato nel farlo.

Anzi: quasi nasconde la tua morte.

Mentre l’opinione pubblica la tratterà in base alle proprie abitudini culturali: veniamo a sapere da diverse fonti, ad esempio, che Teresa Lewis detiene un record, è la prima donna ad essere stata uccisa con un’iniezione letale. Ma non può fregiarsi  del titolo di essere la prima persona sub-normale ad essere ammazzata negli Stati Uniti.

Come se essere donna, o essere un po’ scemo, faccia la differenza, sottoterra.

Eppure sono dati di cui siamo puntualmente informati, in questi casi. Perché? “Conosci l’ossessione per le statistiche degli americani”, mi dice una vocina. Sì, un’ossessione che non si ferma nemmeno di fronte al boia, aggiungerò.

Cosa c’è di meno importante e allo stesso tempo di più raccapricciante di quella “curiosità” nel contesto di una esecuzione a morte?

Quella curiosità non è forse, in fondo, la stessa che porta un ragazzetto afghano a riprendere col telefonino una lapidazione?

Di fronte alla morte di Stato non c’è narcotico che tenga.

E usare l’una o l’altra condanna a morte, reale o virtuale, per scatenare l’indignazione di una parte è un delitto grave, perché nega a tutti gli altri condannati a morte il diritto di ricevere eguale attenzione.

Avremo tutto il tempo di parlare del “dato culturale” quando la pena di morte, in questo mondo, sarà diventata un ricordo.

Ora possiamo discuterne solo all’interno di un ragionamento su come rendere inaccettabile all’opinione pubblica di un qualsivoglia paese, un qualsiasi rituale di Stato che termini con la morte di qualcuno.

Lorenzo DeclichPer la precisionepena di morte,sakineh mohammadi ashtiani,teresa lewis
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