Dopo mesi di sanzioni alla Repubblica Islamica d’Iran, è l’ora di un primo bilancio. Al di là degli entusiastici discorsi del presidente Ahmadinejad nelle sue visite negli Stati Uniti e in Libano, la situazione economica iraniana, già precaria, subisce i contraccolpi delle misure internazionali d’embargo, rafforzate nella scorsa estate.

Inflazione e disoccupazione sono protagoniste: le sanzioni, infatti, hanno inferto un duro colpo alle transazioni commerciali da e per l’Iran: già tra marzo e maggio le importazioni avevano subito un calo del 14%, dato drammatico per un Paese che dipende in gran parte dall’estero per la tecnologia utile al funzionamento delle infrastrutture. In questi mesi, le esportazioni di petrolio, bene primario per l’Iran, sono state le più basse negli ultimi dieci anni.
Il Paese poi produce petrolio ma ha scarsissima capacità di raffinarlo, operazione per cui dipende quasi interamente dall’estero: il bando alle società straniere rischia così di mettere il Paese in ginocchio.

La popolazione iraniana è preoccupata: non solo i prezzi rincarano, ma il governo lancia segnali di voler ritirare i sussidi energetici per le famiglie numerose. La scadenza era stata fissata già al 23 settembre, ma la data è stata procrastinata. Il governo teme le conseguenze di tale misura: si pensi che una famiglia media riceve
circa 4mila dollari annui per l’energia (gas, elettricità ecc.). Come reagirebbe la popolazione privata del contributo statale, con i prezzi che salgono e gli stipendi bassi?

Le autorità iraniane hanno dichiarato di aver riserve per un lungo periodo, ma cercano partner alternativi: Cina, Corea, ma anche Paesi africani stanno già approfittando della situazione, proponendosi come sostituti ai Paesi di scambio tradizionali che applicano le sanzioni.

Le banche iraniane hanno cessato di vendere dollari e euro, che, peraltro, continuano a circolare a mercato nero. Comunque il rial, la moneta nazionale, ha subìto gravi contraccolpi a causa della difficoltà da parte delle compagnie iraniane di muovere denaro nel resto del mondo, e, nonostante l’intervento della Banca centrale iraniana, la valuta nazionale sta registrando cospicue perdite su quelle Usa e Ue.

Però i circoli di potere che le sanzioni mirano a colpire sono quelli più garantiti contro i pericoli della crisi, avendo accesso a risorse finanziare proventi dell’export-import illegale. Tali risorse non ha invece il settore privato, già in difficoltà in un Paese statalizzato come l’Iran, e molti imprenditori sono costretti a chiudere i battenti. Per non parlare delle difficoltà dei giovani iraniani che oggi hanno difficoltà a recarsi all’estero a studiare e dei materiali necessari alla vita quotidiana di milioni di persone venduti a mercato nero ed accessibili solo ai ricchi notabili del regime. Così l’unica a pagare il prezzo della crisi rischia essere proprio quella società civile che il mondo vorrebbe aiutare.

Anna Vanzan

[questo articolo è uscito lo scorso 16 ottobre sul Giornale di Brescia]

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Dopo mesi di sanzioni alla Repubblica Islamica d'Iran, è l'ora di un primo bilancio. Al di là degli entusiastici discorsi del presidente Ahmadinejad nelle sue visite negli Stati Uniti e in Libano, la situazione economica iraniana, già precaria, subisce i contraccolpi delle misure internazionali d'embargo, rafforzate nella scorsa estate. Inflazione...