Si parla sempre dell’India come della “più grande democrazia al mondo”.

Sappiamo che è così se mescoliamo il dato demografico con quello istituzionale e che non è così se leggiamo la realtà che sta dietro a questo giochetto retorico.

Una delle voci critiche della sanguinante democrazia indiana è Arundhati Roy.

Questa donna coraggiosa ne ha denunciate tante, e se leggete l’inglese vi prego di scorrere la pagina di Wikipedia dedicata alle sue campagne (al capoverso “advocacy and controversy”).

La scrittrice, in particolare, denuncia spesso l’assenza di democrazia in India e a questo riguardo torno a consigliarvi a la lettura del suo Quando arrivano le cavallette.

La notizia di oggi è che circa 150 attivisti del BJP (Bharathiya Janata Party), il partito nazionalista indù conosciuto per la sua politica aggressiva e violenta contro le minoranze, specialmente musulmane (vedi, per esemplificare, gli ultimi sviluppi della vicenda di Ayodhya) e perché le sue fortune elettorali sono appunto legate a questo suo modo di fare, hanno attaccato la casa di Arundhati Roy per protestare contro le recenti dichiarazioni della scrittrice a favore dell’indipendenza del Kashmir.

Chi è a favore dell’indipendenza del Kashmir in India non può dirlo, pena l’incriminazione e la condanna per “sedizione”.

Rischia anche chi, come Arundhati Roy, ha detto semplicemente che “il Kashmir non ha mai davvero fatto parte dell’India“.

Arundhati Roy non è un’integralista islamica. E’ di madre cristiana e di padre indù (o viceversa, non ricordo ma fa lo stesso).

Non è nemmeno musulmana. Pensa, semplicemente, che chi si batte per l’indipendenza del Kashmir ha le sue ragioni.

E ha dei motivi seri per dirlo (rimando al libro citato in precedenza), così come ha motivi seri per denunciare la violenta repressione del Governo indiano in Kashmir.

La PEN inglese, che sostiene la scrittrice, ha emanato un comunicato in proposito, nel quale si legge anche:

Da giugno i giornalisti e le emittenti kashmire che hanno provato a fare resoconti sulle agitazioni nel Kashmir amministrato dall’India sono stati soggetti a violenza e censura.

La scrittrice vincitrice del Booker Prize Arundhati Roy si è ora fatta avanti per portare all’attenzione del mondo la situazione dei kashmiri. La realtà su ciò che sta succedendo in Kashmir deve essere svelata. La brutalità da parte dello Stato e il silenziamento dei reporter non sono una opzione che l’India moderna si può permettere.

Eppure, quaggiù in Italia, parliamo di Kashmir, di libertà di espressione, di libertà religiose, solo quando nel tumulto e nel fuoco vanno a finire i cristiani.

E solo in seguito al fatto che qualche povero parruccone negli Stati Uniti dichiara di voler bruciare il Corano, dopo aver constatato che qualche altro parruccone vuole installare una sala di preghiera a Manhattan, vicino a Ground Zero.

E allora il Kashmir ci serve per parlare di fantasmatici scontri di civiltà.

Per agitare e/o inventare mostri.

Per invitare i nostri governi a bombardare di più e meglio.

Chiudo qui. Ma vi invito alla lettura di questi post:

  1. Senza bufale né omissis
  2. Shock and awe: la vergogna del Corriere
  3. Caro Parsi, i bugiardi non vanno in paradiso
  4. Caro Panebianco, aprili tu gli occhi
Lorenzo DeclichNumeri e favolearundhati roy,ayodhya,bharatiya janata party,cristiani,democrazia,democrazia indiana,india,indu,kashmir,musulmani,PEN
Si parla sempre dell'India come della 'più grande democrazia al mondo'. Sappiamo che è così se mescoliamo il dato demografico con quello istituzionale e che non è così se leggiamo la realtà che sta dietro a questo giochetto retorico. Una delle voci critiche della sanguinante democrazia indiana è Arundhati Roy. Questa donna...