Il musulmano mercificato, atto secondo
The Eco Muslim è un blog di ambientalisti musulmani americani impegnati in quello che chiamano un eco jihad(tm).
Lo scorso 13 novembre, all’indomani della pubblicazione del primo studio di Ogilvy&Mather sul branding islamico, il suo autore aveva qualcosa da dire sulla lista delle marche che la grande agenzia di marketing riteneva “amichevoli” e “appetibili” per i musulmani.
I punti di disaccordo sono 2. La lista delle marche muslim friendly non tiene conto:
- della reale certificazione halal dei prodotti;
- della non eticità dal punto di vista islamico di compagnie come Nestle, Coca-Cola e di prodotti di provenienza israeliana.
Il pezzo finisce con due domande:
Poiché i musulmani sono prima di tutto dei consumatori del XXI secolo quale branding catturerà la loro attenzione? Prenderanno la marca come valore o si concentreranno sulle informazioni che trovano sulle etichette?
Non so rispondere a queste domande ma certo mi risulta difficile immaginare un comportamento uniforme di tutti (o quasi) i musulmani del mondo in rapporto alle marche e alle etichette.
Quelle domande rappresentano per me un non-senso: dal mio punto di vista “i musulmani” non sono una categoria di consumatori, bensì delle persone che professano un credo religioso.
Provate a sostituire “i musulmani” con “i cristiani” e capirete ciò che sto dicendo.
Purtroppo, però, un senso c’è. Questo genere di opposizione al marketing islamico è de facto una prima risposta positiva all’idea stessa di marketing islamico.
Un passo in avanti verso la mercificazione del musulmano medio.
https://in30secondi.altervista.org/2010/11/18/il-musulmano-mercificato-atto-secondo/Islamercatobranding,eco muslim,islam,marketing,mercato
la categorizzazione dei “musulmani” per scopi diversi è ormai storia, pensiamo solo a quando divennero “etnia” nell’ultimo conflitto balcanico…
mi fa riflettere l’affermazione sulla non eticità islamica dei prodotti israeliani. Credo che ci siano diversi prodotti israeliani commercializzati in alcuni paesi arabi… indaghi?
D
Però esiste un mercato di prodotti halal, così come un mercato di prodotti kosher e (immagino) uno che soddisfi i criteri hindu di purità alimentare e rituale. Cioè esistono esigenze prodotte dalla fede religiosa che non possono che ricadere sul mercato.
Sicuramente. La questione è: come vengono soddisfatte queste esigenze? Non voglio fare il bastian contrario per forza ma c’è un modello, quello della green economy, che ci può dare qualche indizio. Da una parte ha grandissimi lati positivi, dall’altro diventa per molti attori del mercato l’ennesima “maschera” dietro alla quale vendere la solita spazzatura. E ci sono anche operazioni di trusting…. In Italia, come scrivevo tempo fa, hanno ufficializzato il marchio halal “unico” per l’Italia al quale lavora solo una, e anche la più piccola, organizzazione di musulmani italiani. Si tratta di un businness gigantesco affidato alla sola Coreis… laddove in Italia c’erano già in campo altri marchi.
Ricordiamo anche che i prodotti kosher sono molto più di nicchia, nel senso che hanno un mercato potenziale molto più ridotto.
Vedi anche Mizam…
Se volete una rapida indagine di mercato, mi risulterebbe molto comodo trovare una bella H stampigliata in grande sulla confezione di frollini, anziché andare al supermarket con il microscopio elettronico per decriptare i caratteri subatomici dei non pochi ingredienti, consultando il database del piccolo chimico per decodificare le sigle di emulsionanti, coloranti, ecc. Mi risulterebbe anche pratico sapere con un colpo d’occhio se il glicerolo nel dentrificio è di origine animale o vegetale, perché recitare il Corano con la bocca spalmata di ex-frattaglie di suino non è così simpatico. Se anche non fossi particolarmente osservante preferirei, per far contenta la mamma e la zia, comprare la scatola con la H. Insomma, la potenzialità c’è, eccome, poi tutto dipende da trasparenza e affidabilità di chi certifica, e qui cominciano i dolori. Ah, non mangio frollini, ma era così, tanto per dire…
Esattamente
ci sono molti siti , anche italiani, dedicati ai fedeli musulmani con tanto di liste di conservanti da evitare ecc.
ci son altresì siti e liste internazionali di prodotti da evitare x boicottare Israele, dai quali si evince che praticamente non potremmo comperare niente , dai prodotti dell’Oreal a quelli della Nestlè…
Se è per quello ci sono anche le app per cellulari che elencano i componenti non halal o dubbi; resta il fatto che una bella H grande e grossa ridurrebbe enormemente il problema, evitando faticosissimi esami delle confezioni, e dando un’indicazione immediata su componenti dubbi, che possono essere di origine animale o vegetale, e quasi mai vengono indicati dal produttore (per esempio i digliceridi e simili), almeno in Italia. Il problema non è tanto stabilire se un prodotto è halal o meno, ma l’enorme potenzialità del business di chi può applicare la patacca di liceità a una vasta gamma di prodotti, e in che modo (e grazie a chi) sia in grado di farlo…