Leon Wieselter, del New Republic, ha scritto una breve sintesi molto chiara della posizione difficile in cui si trova ora la politica estera americana.

Non dice nulla di nuovo per chi ha seguito da vicino le mosse dell’attuale amministrazione statunitense nei paesi sotto dittatura, ma è un’ottima spiegazione di come la real-politik che viene spesso saccentemente profusa a beneficio di quei poveri fessi che sognano ancora un mondo libero, non sia l’astutissima strategia per cui viene spacciata.

Qualche passaggio:

…l’amministrazione Obama, e in generale i liberal americani [ma vale pure per i nostrani, almeno nella mia esperienza. n.d.t.], sono stati colti intellettualmente alla sprovvista da questa crisi. La situazione in cui si trova questa amministrazione, questo va detto, è strategiamente complicata: Mubarak potrebbe cadere, quindi non possono alienarsi i manifestanti, ma dato che anche i manifestanti potrebbero avere la peggio, non possono neppure alienarsi Mubarak.

Una delle prime lezioni della ribellione contro Mubarak è che il supporto americano ai dissidenti democratici è una qustione strategica importante e che l’assenza di questo può portare a disastri strategici. Questo è il prezzo de realismo. È un errore molto diffuso pensare prudentemente sul breve termine; ma il giusto orizzonte culturale per il pensiero prudente è quello più lontano e distante. Il realismo non insegna a considerare nella giusta misura la forza storica del bisogno di democrazia. In questo senso, il realismo è curiosamente lontano dalla realtà. Sembra furbo solo finché la gente non disturba i dittatori, e poi pare di colpo incredibilmente stupido.

Wieselter ritiene che l’approccio americano sia stato eccessivamente multiculturale, volto ad accettare le dittature nei paesi arabi.

In parte questa linea sarebbe dovuta ad una contro-reazione alla politica di esportazione armata della democrazia dell’era Bush.

Wieselter sottolinea allora, ancora una volta, la necessità di appoggiare i dissidenti interni e, chiudendo, sembra ricondurre tutto a una sorta di orientalismo, per cui i dissidenti democratici non sarebbero stati considerati “autentici”:

La promozione della democrazia deve essere una politica in supporto degli autoctoni egiziani, arabi o musulmani democratici, che sono tanto autentici come gli egiziani, gli arabi o i musulmani di simpatie autocratiche o teocratiche, e di certo più meritevoli del rispetto americano.

 

terzogiroIn 30 secondidemocrazia,egitto,obama,stati uniti
Leon Wieselter, del New Republic, ha scritto una breve sintesi molto chiara della posizione difficile in cui si trova ora la politica estera americana. Non dice nulla di nuovo per chi ha seguito da vicino le mosse dell'attuale amministrazione statunitense nei paesi sotto dittatura, ma è un'ottima spiegazione di come...