Prendo spunto da questo pezzo per una considerazione che da alcuni giorni ho sul gozzo.

Vorrei dire a S. Romano e a chi come lui parla dell’imprevedibilità degli eventi – giornalisti, esperti, accademici e chiunque altro – per non prendere posizione, di parlare per sé. Di non usare il plurale.

Di dire in prima persona: “io sono stato incapace di leggere gli eventi perché mi sono accontentato per comodità intellettuale e opportunità intellettuale, di lavoro e politica, di non vedere e di utilizzare l’Islam come unica chiave di lettura per qualunque cosa accadesse nel mondo arabo, foss’anche un peto”.

Vorrei che l’autocritica ponesse mano ai testi in circolazione, ai curricola universitari e che venissero sbugiardati coloro che oggi si presentano come paladini dell’Egitto o della Tunisia mentre fino a ieri rappresentavano i regimi o anche solo erano indifferenti, si rifiutavano – e probabilmente si rifiuteranno – di ammettere che indagare sul mondo arabo è anche una questione politica. Perché:

Odio gli indifferenti. […] Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. […] Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo di molti” (A. Gramsci, La nostra città futura, Carocci, Roma 2004, pp. 134).

 

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Prendo spunto da questo pezzo per una considerazione che da alcuni giorni ho sul gozzo. Vorrei dire a S. Romano e a chi come lui parla dell'imprevedibilità degli eventi - giornalisti, esperti, accademici e chiunque altro - per non prendere posizione, di parlare per sé. Di non usare il plurale. Di...