di K. Selim, Le Quotidien d’Oran, 6 febbraio 2011

“Rischio di caos”, congiuntura “perfetta” per una tempesta. H. Clinton ha scelto termini eloquenti per avvertire i regimi arabi che la stagnazione autoritaria rischia di favorire grandi rotture. La smentita dell’alleato egiziano, del quale si lodava la “stabilità” e la “saggezza”, ha dimostrato agli Americani che le società arabe non sono addormentate e che la loro inclinazione ad accettare gli autoritarismi, quando sono di amici, comporta un rischio considerevole.

Perché non bisogna farsi illusioni, gli Stati Uniti hanno sostenuto con costanza Hosni Mubarak. L’hanno lasciato definitivamente solo dopo gli attacchi sanguinosi dei miliziani di regime contro piazza at-Tahrir. Nulla di sorprendente. Il sostegno a geometria variabile ai diritti dell’uomo e alla democrazia degli occidentali è noto. Entusiasta quando si tratta di Stati non graditi come l’Iran, molto pallido quando si tratta di stati amici come l’Egitto. Non sappiamo ancora se il terremoto egiziano condurrà gli Americani a rivalutare a fondo una politica mediorientale “realista”, fondamentalmente costruita sulla conservazione degli interessi di Israele e il controllo delle risorse petrolifere.

L’ordine sul posto conveniva a Washington perché, non lo diremo mai abbastanza, le capacità di negoziazione di uno stato democratico sono più solide di quelle di uno stato autoritario o dittatoriale. La neutralizzazione strategica del Cairo avvenuta con Camp David sarebbe stata impensabile se l’Egitto fosse una democrazia. L’intrusione delle società, che si è manifestata con forza in Tunisia ed Egitto, è un dibattito che si svolge in seno all’establishment e non è veramente volto a incitare più seriamente le riforme per evitare cambiamenti bruschi dalle conseguenze imprevedibili.

“Senza progresso verso sistemi aperti e responsabili, il fossato tra i popoli e i loro governi crescerà e l’instabilità si aggraverà” ha dichiarato la Signora Clinton alla 47a Conferenza sulla sicurezza a Monaco, in Germania. È evidente.

I governanti nel mondo arabo hanno bisogno di questa “analisi” e di questi consigli? In realtà è superfluo. Da decenni i governanti arabi gestiscono, con modi da Stato di polizia, le domande di cambiamento e di uscita dai sistemi autoritari inefficaci che sono diventati, nel corso degli anni, reali minacce per la sicurezza nazionale. Quello che accade oggi, e che sarà senza dubbio amplificato nei mesi a venire, è che l’argomento della stabilità e del bastione contro il radicalismo islamico che giustifica l’immobilismo non è più operante.

Il movimento della società in Tunisia ed Egitto, che sembrava “impensabile” solo due mesi fa, costringe già gli strateghi occidentali a rivalutazioni dei paradigmi. Il “sistema arabo” non ha più avvenire. La contaminazione democratica è ineluttabile. Il margine dei governanti autoritari si restringe.

Possono, senza giocare d’astuzia, scegliere un’apertura ordinata che permetta alla loro società di organizzare liberamente e di scegliere i propri dirigenti. Possono continuare ad accecarsi e affermare che quello che succede dal vicino e fratello non accadrà mai a casa loro.

Ma quel che non possono occultare è che le uscite onorevoli diventano improbabili una volta che le rivolte che covano vengono alla luce. Ben Ali è stato sostenuto sino all’ultimo minuto. Non appena il suo aereo è decollato da Tunisi è diventato persona non grata nei paesi amici. Queste uscite senza onore non sono inevitabili. Le società sono pazienti e generose. Sino a che non perdono la pazienza.

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di K. Selim, Le Quotidien d'Oran, 6 febbraio 2011 'Rischio di caos', congiuntura 'perfetta' per una tempesta. H. Clinton ha scelto termini eloquenti per avvertire i regimi arabi che la stagnazione autoritaria rischia di favorire grandi rotture. La smentita dell'alleato egiziano, del quale si lodava la 'stabilità' e la 'saggezza',...