Mi scrive Giacomo, da Aleppo:

… In questi giorni “di rabbia” non ho avuto modo di verificare direttamente se succedeva qualcosa o meno, nel senso che per prudenza non mi sono recato nei luoghi “deputati”.

Aspetto notizie da una mia amica, torna stasera da Damasco.

Posso dirti che a Aleppo la vita mi è parsa la solita, ho fatto sì un giro per la città e non ho colto segni di eventuali disordini.

Che capitasse un flop devo dire me l’aspettavo, o per lo meno che la cosa fosse poco partecipata. In Siria il sentimento dei più mi sembra tenta verso la stabilità e il quieto vivere, anche se vai a capire… una cosa certa è che qui di politica non si parla, non alla luce del sole e per ora non ho ancora le adeguate competenze in ‘ammiyya [popolo n.d.r.] per estrapolare le opinioni del popolo.

Aspetto altre notizie da Giacomo, ma penso che possiamo dare per aggiudicato il flop.

Un dato, su tutti, mi ha dato da pensare:  da venerdì scorso il numero degli aderenti a “the Syrian revolution 2011” su Facebook aveva raggiunto il 50% di tutti gli utenti siriani di Facebook (circa 12.000).

Un bacino di utenza microscopico e, probabilmente, una diffusione dei social network troppo al di sotto della soglia oltre la quale questi posso diventare davvero uno strumento per il propagarsi delle idee e delle iniziative.

Dal 5 febbraio, giorno del flop, il banner della pagina di FB è cambiato. E’ intitolato “giorni della rabbia” e invita le persone a manifestare ogni giorno in Siria e di fronte ad alcune ambasciate nel mondo.

Altre valutazioni le fa il Time, che ragiona sui punti seguenti:

  1. la Siria è l’unico paese arabo che “non è soggetto a influenza occidentale” e non “riceve supporto” dall’occidente;
  2. la Siria, anzi, è ancora, tecnicamente, un “paese canaglia”, su cui gravano sanzioni economiche.

Sotto questo aspetto ci sono segnali di cambiamento, almeno dal punto di vista dei rapporti con gli Stati Uniti, che a metà gennaio hanno nominato un nuovo e più esperto ambasciatore, Robert Ford, con l’evidente intenzione di migliorare la qualità del dialogo.

Il Time sottolinea poi:

Le sanzioni hanno inoltre determinato la conseguenza indesiderata di limitare in Siria la presenza di quelle organizzazioni straniere per la promozione della democrazia che sono state lo strumento di attivazione della politica e dell’attenzione in Egitto negli anni scorsi.

Chiaramente il fatto di avere maggiori contatti con l’esterno non determina necessariamente la spinta verso la ribellione.  Al-Asad, come sottolinea il Time, è – anche per i motivi menzionati – molto più credibile di Mubarak.

 

Lorenzo DeclichIn fiammebashshar al-asad,rivolta,robert ford,siria,stati uniti
Mi scrive Giacomo, da Aleppo: ... In questi giorni 'di rabbia' non ho avuto modo di verificare direttamente se succedeva qualcosa o meno, nel senso che per prudenza non mi sono recato nei luoghi 'deputati'. Aspetto notizie da una mia amica, torna stasera da Damasco. Posso dirti che a...