Si fa un gran parlare delle “internet revolutions”. Bene, espongo alcuni fatti, ritenendo che si stia facendo una certa confusione fra eventi e meta-eventi.

E quindi voglio far presente che il meme del “giorno della rabbia” NON è “il giorno della rabbia”.

Che il numero di persone che aderiscono a un gruppo di Facebook che incita alla “rivoluzione” NON sono indicatori affidabili del fatto che quella rivoluzione ci sarà.

Il mondo è pieno di wannabe che, in buona o cattiva fede, riprendono una certa memetica sperando che essa, di per sé, crei un effetto di traino. O volendosi sentire parte di qualcosa che forse gli stessi inventori di quel meme non avevano in mente. Un esempio a questo riguardo è la “chiamata” al Giorno della Rabbia siriano da parte dell'”unione degli intellettuali arabi”. L’evento (rivelatosi un flop) era previsto per il 4 e 5 febbraio e il “luogo di emissione” dell’appello era indicato in quel testo come “al-watan al-`arabiyya”, cioè NON “la Siria”, bensì una “Nazione araba” di antica memoria (il partito tutt’ora al potere in Siria è ufficialmente un partito nazionalista panarabo) che mai ho sentito citare nelle rivolte tunisina ed egiziana.

Come scrivevo in “Egitto&Co: links deboli e rivoluzione” la rivoluzione egiziana non si è interrotta con la chiusura della connettività. Scomparsi i “link deboli” (prima di tutto i social network) si sono attivati “i link veloci” e la rivoluzione è andata avanti. Il gruppo di FB del “Giorno della rabbia” raccoglieva, il 25 gennaio meno aderenti delle persone che effettivamente si sono riversate in piazza.

In Iran, durante i giorni della “rivoluzione verde”, i messaggi passavano attraverso le banconote. E “l’onda verde” non ha perso perché internet fu bloccata, ma a causa dell’imponente apparato repressivo messo in campo. Proprio oggi il movimento anti-regime dovrebbe usare il meme del Giorno della rabbia per mobilitare la gente ma, come ci dice il caro Champlooman nel suo post di ieri, non sappiamo se la cosa avrà un qualche esito e, soprattutto, constatiamo che questo è uno dei tanti tentativi degli oppositori al regime per riaccendere la miccia della protesta.

Un’analisi su “quanto non sia paragonabile la Giordania alla Tunisia e all’Egitto” la trovate qui. Eppure anche in Giordania c’è stato un “Giorno della rabbia“, il primo “momento di protesta” costruito sul meme tunisino, ancora prima che in Egitto, il 14 gennaio. Un giorno di protesta molto partecipato che tuttavia non ha portato a un rivolgimento macroscopico come quello egiziano del 25 gennaio.

In Algeria il ruolo dei social network è secondario. Il “Giorno della rabbia” non è stato nemmeno proclamato. Al suo posto un’opposizione – istituzionale e non – tenta di unirsi (con risultati incerti) e fare “massa critica” indicendo manifestazioni (vedi Algeria: il giorno della manifestazione (2) e Algeria: il giorno della manifestazione (1)) che sono represse scientificamente e sistematicamente.

In Iraq la memetica del “giorno della rabbia” ha condotto a generi di dimostrazione e di rimostranze che in Iraq sono all’ordine del giorno, vista la situazione drammatica. Con il solo esito di attivare un segmento della popolazione – una parte dei giovani che hanno accesso alla rete – che in quel contesto non ha gran peso (e nemmeno, forse, un possibile ruolo di “traino” per altri segmenti di popolazione).

In Yemen lo stesso meme ha mobilitato – guardacaso – gli studenti universitari, in un panorama in cui – non sto qui a ripeterlo nel dettaglio – i problemi dello Yemen sono così tanti e tali che è più facile per un autocrate rimestarvi conservando il potere o cedendone poco.

Insomma: non è che le cose esistono più o meno in base a come noi le vediamo su un social network o in un circuito di bloggers.

O meglio: non potrebbero esistere solo in virtù del fatto che abbiamo la possibilità di vederle meglio.

Una cosa è il vento, una cosa è il volano.

In Libia, ad esempio, ritengo che – come in Algeria – la internet come strumento di diffusione delle ragioni degli organizzatori del “Giorno della rabbia” abbia avuto, o avrà, uno scarso rilievo, al di là dell’esito dell’iniziativa.

In Bahrain il “Giorno della Rabbia” – previsto per oggi – è promosso in primis da un’avanguardia di giornalisti e intellettuali. E’ quindi ben visibile sui media anche se l’adesione su FB è bassa. Le dimostrazioni, finora, hanno avuto un’affluenza abbastanza ridotta e hanno prodotto soprattutto notizie (qualche scontro qui). Come scrivo qui, inoltre, la rabbia di questi cittadini è rivolta contro istituzioni e dinamiche di sopraffazione che con Tunisia ed Egitto hanno poco a che vede, coniugandosi con problematiche (Re sunnita, maggioranza della popolazione sciita, un buon numero di schiavi, rapporti con l’Iran) “altre”.

Last but not least: il meme del “Giorno della rabbia”, così come tutti i memi, si riproduce indipendentemente dal fatto che sia o meno usato nel contesto corretto o col suo pieno significato.

Non farò qui esempi ma sono sicurissimo che vi siano state diverse circostanze in cui eventi che non erano intitolati “Giorno della rabbia” siano stati etichettati e passati come tali.

Vedi anche:

  1. Effetto domino
  2. La Tunisia e l’effetto domino
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