L’ira funesta dei profughi afghani
che dal confine si spostavano nell’Iran

(F.Battiato)

Negli ultimi giorni certa stampa settentrionale e non solo ha rispolverato lo spauracchio dell’invasione nordafricana, parlando di attesi sbarchi in termini di cifre bibliche e invocando l’aiuto di una UE che dagli stessi altoparlanti viene insultata cinque minuti sì e cinque pure per vari altri motivi.

Tutto questo a fronte di un fenomeno che è ancora tutto da valutare nelle dimensioni, ma che non potrà sicuramente essere affrontato come un problema di sicurezza. L’accoglienza dei profughi è un atto dovuto, ed è qualcosa di totalmente diverso dalla gestione dei mirgranti.

Due piccole parentesi.

1. La Libia non è terra di emigrazione, dato il suo scarso peso demografico, bensì di immigrazione. La maggior parte di coloro che fuggono dalla Libia, al momento, sono lavoratori di paesi limitrofi che cercano di tornare a casa. La Libia è anche paese di transito, ma questa è un’altra questione.

2. Quali che siano le dimensioni del fenomeno che l’Italia dovrà affontare, non credo sia commensurabile al milione di profughi accolti, ad esempio, dal Ciad (paese poverissimo e in gran parte desertico) in seguito al conflitto nel Sudan Meridionale (Darfur), o al flusso ininterrotto di afghani che da ben 32 anni si è riversato nel Pakistan. Ben pochi, da queste parti, e men che mai i borghezi e i maroni, hanno mai pensato di comparare cifre del genere.

Veniamo al dunque.

Proprio mentre pensavo che il problema della “invasione ” di profughi dal Nordafrica in Italia si poteva facilmente risolevere andando a ripopolare quell’Appennino italico, ricco non solo di tradizioni e cultura, ma anche di risorse, che si sta inesorabilmente spopolando, vengo a conoscenza di questa storia (qui e qui qualche trafiletto). Non sono il primo a raccontarla, e permettetemi di fargli un po’ di pubblicità.

In un comune del rietino, Città Reale, alle pendici del Monte Velino, grazie alla Cooperativa il Gabbiano , è stato portato avanti un progetto SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) finanziato dal Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’Asilo previsto dalla legge 189/2002, con la collaborazione dell’amministrazione comunale.

In pratica: fra le risorse di quella zona ci sono l’acqua (sorgenti di alta quota) e piantagioni di farro. Come sfruttarle? Facendoci la birra! E chi ci si mette a farla? Dui profughi afghani, tali Amid e Muhammad, con ben 9 nuclei familiari per un totale di 42 persone. E chi coltiva il farro? Immigrati del subcontinente indiano.

Ne esce fuori una birra, la “Alta Quota” che riceve anche il plauso di degustatori patentati.

Non sarà il paradiso, ma è una soluzione possibile e fattibile. E a me piacerebbe tanto che questa birra “solidale” facesse concorrenza a quella halal belga prodotta solo per le regole dell’islamercato.

D

darmiusIn fiammeIslamercatobirra alta quota,città reale,cooperativa il gabbiano,halal,immigrati,integrazione,profughi
L'ira funesta dei profughi afghani che dal confine si spostavano nell'Iran (F.Battiato) Negli ultimi giorni certa stampa settentrionale e non solo ha rispolverato lo spauracchio dell'invasione nordafricana, parlando di attesi sbarchi in termini di cifre bibliche e invocando l'aiuto di una UE che dagli stessi altoparlanti viene insultata cinque minuti sì e...