Il 19 marzo 2011 per l’Egitto rappresenta molto di più di una semplice votazione referendaria, seppure importante.

E’ il giorno in cui un’intera nazione si è espressa in maniera inequivocabilmente democratica (cronache di problemi ai seggi e/o scontri sono limitati, le votazioni sono andate lisce e senza brogli, sembra).

Ciò faceva scrivere alla redazione del quotidiano cairota al-Masri al-Youm, ieri, che il 19 marzo 2011 è forse una data più importante dello stesso 11 febbraio, il giorno della caduta di Mubarak (non ritrovo l’articolo ma fidatevi, please).

Hanno votato il 40-42% degli aventi diritto, a fronte di un’elezione parlamentare precedente in cui aveva votato il 20% [vedi commenti, io avevo un altro dato, l’80%].

Il significato della “votazione in sé” come strumento democratico non deve sfuggire.

Per esemplificarlo basta considerare l’immagine usata in questi giorni dagli attivisti di “Kullu-na Khaled Sa`id” (che erano per il no e quindi hanno perso): due mani si stringono, l’una ha votato sì, l’altra ha votato no.

Una vittoria della democrazia, si direbbe, ma veniamo ad alcune considerazioni.

Ha vinto il sì, con oltre il 70% dei voti. Hanno dunque perso le “forze rivoluzionarie” che erano tutte per il no.

La cosa deve essere letta considerando chi si era schierato per il sì (vedi oltre) ma anche che, al di là di tutto, molte persone al di fuori degli schieramenti possono aver ritenuto più utile arrivare a un voto presidenziale e parlamentare il più presto possibile, e gli emendamenti costituzionali proposti erano indubbiamente tesi alla preparazione di elezioni equilibrate nel più breve tempo possibile.

Era ovvio, d’altronde, che “le forze rivoluzionarie” fossero per il no perché è proprio nel contesto di questa fase rivoluzionaria che essi sono cresciuti e possono continuare a crescere: più il periodo “rivoluzionario” dura e più queste forze hanno il tempo di organizzarsi e conquistare il consenso.

Queste, tuttavia, hanno avuto il buon senso di non acuizzare lo scontro. D’altronde anche il solo fatto che questo referendum sia stato fatto è un segno della loro vittoria, fatto sul quale – appunto – nessuno potrà in futuro mettere il cappello.

A schierarsi per il sì, come ho già scritto, sono stati principalmente il Partito Nazionale Democratico di Hosni Mubarak e i Fratelli Musulmani, le formazioni che – in sostanza – rischiano di perdere consensi se il processo che porterà alle elezioni si allungherà: il PND perde potere di giorno in giorno e gli Ikhwan si sfaldano col passare del tempo.

Per il sì erano anche i gruppi salafiti e, al di là di un’analisi sul loro posizionamento in questo contesto (di fatto sono alternativi ai Fratelli Musulmani, leggi qui), è fondamentale sottolineare che per essi dichiararsi partecipi di una consultazione democratica è già un importante segnale. La salafiyya è infatti un movimento che tradizionalmente le rifiuterebbe.

Un ultima considerazione: le gerarchie copte erano per il no essendo che il famoso articolo 2 della costituzione attuale riguardante la Legge islamica come fonte principale del processo legislativo non veniva toccato dal referendum. Per la stessa ragione altri gruppi come la Gamaa islamiya erano per il sì.

E’ ovvio che quell’articolo oggi sembra meno emendabile di ieri, e questo è uno dei motivi per cui il fronte del “no”, secondo me, aveva ragione.

Non dimentichiamo, però, che l’articolo 2 è farina del sacco di Anwar Sadat, che lo inseri nella nuova costituzione del 1971 (e, 10 anni dopo, venne assassinato da membri della Gamaa islamiya stessa).

A quel tempo il pericolo erano i comunisti.

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Il 19 marzo 2011 per l'Egitto rappresenta molto di più di una semplice votazione referendaria, seppure importante. E' il giorno in cui un'intera nazione si è espressa in maniera inequivocabilmente democratica (cronache di problemi ai seggi e/o scontri sono limitati, le votazioni sono andate lisce e senza brogli, sembra). Ciò faceva...