Fortunatamente i timori di cui ieri sono rimasti tali, per ora.

Mi era sfuggito, comunque, che Moammar Gheddafi ha preso come modello per la repressione piazza Tien’anmen e Falluja.

E’ chiaro a tutti che il dittatore sta tentando in tutti i modi di lasciare il paese nel caos.

Forse lo fa solo per vendetta, sapendo che ormai non ha la forza necessaria per riprendersi tutto.

Questa mappa ci racconta di una disfatta imminente.

Speriamo che non vi siano colpi di coda, o che comunque Gheddafi abbia perso il collegamento con quelle forze che sono in grado di rendere ancora più terribile il bilancio della rivolta.

Intanto la polpetta avvelenata l’ha già rilasciata: l’Emirato Islamico di Libia.

La liberazione di membri del LIFG, Libyan Islamic Fighting Group, inizia nell’ottobre del 2009.

L’operazione fa parte di una “strategia di riconciliazione” (che fra l’altro ha molte similitudini con quella algerina) messa in atto da colui che, prima del massacro di questi giorni e del “discorsetto” in TV, sembrava essere “un moderato”: Seyf al-Islam Gheddafi.

Il figliuolo di Moammar aveva messo in piedi una sua propria organizzazione per i diritti umani attraverso la quale formalmente promuoveva riforme varie in Libia.

Sappiamo oggi che era una grossa pantomima, basata sul caro vecchio sistema “poliziotto buono (Seyf al-Islam)/poliziotto cattivo (Moammar)”, grazie alla quale il regime poteva affermare, fra le altre cose, di aver avviato un processo di apertura e di dialogo nei confronti della società.

Uno specchietto per le allodole molto utile anche agli amichetti italiani, che non fecero una piega – anzi quasi risero – quando a Tripoli venne chiuso l’ufficio dell’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati (vedi qui, qui e qui).

L’organizzazione di Seyf al-Islam serviva anche a “duplicare” le vere organizzazioni per i diritti umani (stessa cosa succede nel Golfo) e quindi a renderle meno visibili e autorevoli.

Ma andiamo avanti. Come scrivo qui, Seyf al-Islam, in un’operazione pregna di interrogativi, fa liberare una novantina fra militanti del LIFG e altri terroristi, facendo loro dire che hanno rifiutato la dottrina jihadista e tafkiri (Il Tempo  salutò tutto questo con gaudio, osservando che “Gheddafi metteva in difficolta al-Qaeda”… ma questa – direbbe Lucarelli – è un’altra storia).

E ora cito parte del post che scrissi:

Il LIFG, affiliato all’inizio al brand qaidista anche se, come diversi gruppi alqaidisti, discretamente autonomo, aveva condotto – principalmente negli anni ’90 – diversi attentati in Libia, aventi come obiettivo il rovesciamento del regime di Gheddafi. Il problema-al-qaida non era ancora scoppiato in occidente (l’11/9 non c’era ancora stato) e quindi la richiesta che Gheddafi fece all’Interpol di spiccare un mandato di cattura internazionale per Bin Laden, cadde nel nulla.

Questo è il primo dato interessante: il braccio libico di al-Qaida operava contro Gheddafi ben prima dell 11/9 – Bin Laden si era esplicitamente pronunciato contro il leader libico in uno dei suoi “messaggi” – e questo, curiosamente, andava a combaciare con alcuni interessi occidentali in Libia, motivo per cui nessuno si prese la briga di considerare la richiesta di Gheddafi. Anzi, come ricorda l’articolo del Tempo, la richiesta cadde a causa del veto britannico, che a quel tempo era ancora nel pieno dello scontro sulla vicenda di Lockerbie.

Comunque la componente libica di al-Qaida, che aveva fatto parte dell’organizzazione sin dai primordi, e cioè al tempo degli “afghani arabi“, ha tuttora una sua forte rilevanza all’interno dell’organizzazione (si veda ad esempio quel Abu Yahya al-Libi al quale discorso lo scorso 20 settembre [2009] presenziava la sfocatura di Bin Laden).

Unico dettaglio, non opera più in Libia, o meglio: il LIFG negli anni ’90 è stato praticamente sgominato e i suoi esponenti ancora attivi in Libia sono stati messi nel carcere di massima sicurezza di Abu Salim (dove – giusto per spiegare i contorni della vicenda – nel 1996, durante una rivolta interna, furono ammazzati almeno 1200 detenuti), mentre i veri e propri al-qaidisti libici – che operano fuori di Libia – sono ancora in giro a fare danni, specialmente in Iraq.

Libero, felice e dissociato da al-Qaida, stava invece il già citato ex-leader del LIFG. Precisamente  era piazzato a Londra, luogo dal quale nel 2007 rientrò in Libia per iniziare a condurre con Sayf al-Islam la suddetta trattativa.

A questo dato si aggiunge una seconda ondata di liberazioni, lo scorso marzo.

Il portavoce dell’organizzazione gheddafiana incaricata di “riabilitare” i cattivi disse:

Queste persone hanno completato il programma di riabilitazione che aveva l’obiettivo di far rifiutare la violenza i prigionieri e reintegrarli nella società libica.

Pronunciate da personaggi di cui oggi tutti conoscono gli attributi queste affermazioni – ne converrete – suonano come una minaccia.

Tanto più che in questa mandata di nuovi “cittadini modello” liberati c’erano l’autista di Osama bin Laden (Nasser Tailamun), un guantanamero (Abu Sofian Ben Guemou), il capo del LIFG (Abdelhakim Belhaj) il capo militare del LIFG (Khaled Shrif) e l’ideologo ufficiale (Sami Saadi).

Da marzo a oggi il numero di “ex-terroristi” liberati è di 350. Negli ultimi 5 anni i terroristi liberati sono 850 (fonte).

L’ultima “ondata” di liberazioni avviene il 16 febbraio, un giorno prima del “giorno della rabbia” libico, e data di inizio della repressione.

Passiamo a Wikileaks, che dalla fine di gennaio ci sputa addosso valanghe di cablogrammi sulla Libia, uno dei quali ci racconta che fu l’organizzazione di Sayf al-Islam a chiedere e infine ottenere il rientro dei guantanameros libici in Libia, basandosi sul fatto che – leggete questo con ironia ma coglietene il lato raccapricciante – quei cittadini libici non venivano trattati in maniera appropriata sotto il profilo dei diritti umani.

I cablo ci spiegano che nell’accordo si prevedeva la possibilità di visitare i detenuti e che gli americani ebbero diversi incontri con 2 di essi, ma senza mai riuscire ad avere libero accesso alla prigione dove erano rinchiusi (altra ironia della sorte, la prigione era proprio Abu Salim).

Ma il cablo più importante di tutti è certamente questo, risalente al 2008: racconta di come a Derna si annidi da sempre l’estremismo islamico, di come Derna sia da sempre la fucina degli alqaidisti da esportazione, di come a Derna tutto ciò continui a verificarsi a causa del senso di frustrazione della popolazione, che vorrebbe liberarsi di Gheddafi ma non ci riesce.

Ci siamo? Capito?

Bene. Arriviamo alla notizia riferita ieri da al-Arabiya e riportata in tutte le salse da tutti i network di questo pianetaccio con non poche storpiature.

Esaminiamola: il Vice Ministro degli esteri libico, Khaled al-Ka`im (e non Khaim come riporta la versione inglese), dice che al-Qaida ha stabilito un Emirato Islamico a Derna e che quell’organizzazione pensa di creare uno “scenario afghano”.

Dice che a capo dell’Emirato c’è un ex-guantanamero, un certo Abdelkarim al-Hasadi. Che il suo luogotenente ad al-Beyda è un certo Kheyrallah Baraassi, e che questi personaggi hanno iniziato imporre il burqa alle donne.

Dice proprio burqa, non niqab, come sarebbe più logico visto che il burqa in Libia non s’è proprio mai visto e la parola lì non si usa.

La qual cosa è spia di una vera e propria messa in scena se pensiamo che questa messe di allarmistici messaggi è stata pronunciata di fronte agli ambasciatori della UE riuniti per l’occasione.

Tutta gente che capisce al volo burqa e non niqab. Tutta gente che, fino a ieri, si beveva senza problemi qualsiasi monnezza Gheddafi&co. propinasse.

E’ molto singolare, inoltre, che la memoria della rete non tracci il nome del nuovo Emiro in nessun testo che non sia riferito alla notizia stessa.

Inoltre il nostro impositore di burqa non compare, a quanto mi risulta, nei cablo suddetti né nelle liste – a dire il vero incomplete – dei detenuti di Guantanamo.

Avete capito l’operazione?

Khaled al-Ka`im è lo stesso losco figuro che poche ore fa ha dichiarato minacciosamente che “i giornalisti entrati senza permesso in Libia verranno considerati collaboratori di al-Qaida” (qui), lasciando capire a tutti in maniera incontrovertibile che ciò che rimane del potere gheddafiano sta usando al-Qaida come un randello nei confronti di tutti coloro che remano contro.

Siamo alle solite.

Tyrant for dummies lo scrive a p. 82.

Però dobbiamo distinguere fra realtà e fiction: non è detto che la realtà – vista la massa di terroristi liberata negli ultimi tempi da Gheddafi Junior – non sia “talebanizzante”.

Purtroppo, come ho scritto più volte, l’obbiettivo di Gheddafi&friends è il potere o il caos.

La qual cosa – non dovrei neanche ricordarlo – non deve, non può inficiare lo sforzo che un intero popolo sta facendo per liberarsi del tiranno e dei suoi amici.

E ora, per finire, torniamo in Italia e vediamo chi sono, in Italia, questi amici di Gheddafi.

Ne cito uno a caso, Franco Frattini, che l’8 gennaio diceva:

Se la Libia non avesse una politica antiterrorismo di controllo forte come quella che ha, nell’area di Bengasi le cellule del terrorismo sarebbero tremendamente vicine a casa nostra (fonte, vedi anche qui).

Alla luce di quanto apprendiamo oggi la Libia di Gheddafi ha sì una politica di controllo, ma non è un controllo “antiterrorismo”: la Libia di Gheddafi controlla i terroristi.

Li controlla in maniera forte, davvero forte: li libera per scatenare il caos e poi se li va a riprendere quando deve dimostrare che sta facendo la lotta al terrorismo.

Il controllo è così forte da determinare la nascita di un Emirato Islamico funzionale alle necessità di ciò che rimane della Libia di Gheddafi.

Chi oggi non vede questo è cieco.

E chi oggi continua ad agitare lo spettro di al-Qaida o del fondamentalismo islamico in Libia è ancora amico di Gheddafi: fa la sua stessa politica.

Rileggendo quella frase di Frattini e anche quelle di Berlusconi sul “rischio fondamentalismo” è chiaro a tutti che loro sono ancora dalla parte di Moammar.

https://in30secondi.altervista.org/wp-content/uploads/2011/02/uclhgzisvh2ph-usjcidptl72ejkfbmt4t8yenimkbu8nzmxdbey6a_oozmjjetc.jpghttps://in30secondi.altervista.org/wp-content/uploads/2011/02/uclhgzisvh2ph-usjcidptl72ejkfbmt4t8yenimkbu8nzmxdbey6a_oozmjjetc-150x150.jpgLorenzo DeclichDoppio veloFuori misuraIn fiammeLost Osama2011.02.17,abd el-hakim al-hasadi,abd el-hakim belhaj,abu sufyan ibrahim ahmed hamuda bin qumu,abu yahya al-libi,al-beida,al-qaida,alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati,bengasi,burqa,derna,emirato islamico di libia,franco frattini,Khaled Shrif,libia,moammar gheddafi,Nasser Tailamun,niqab,noman ben othman,osama bin laden,rivolta,Sami Saadi,sayf al-islam gheddafi,talebani,tripoli,unhcr,velo,wikileaks
Fortunatamente i timori di cui ieri sono rimasti tali, per ora. Mi era sfuggito, comunque, che Moammar Gheddafi ha preso come modello per la repressione piazza Tien’anmen e Falluja. E' chiaro a tutti che il dittatore sta tentando in tutti i modi di lasciare il paese nel caos. Forse lo fa solo...