I ribelli, lentamente e senza grande successo, hanno cominciato a costruire un vero e proprio esercito.

Hanno insegnato agli studenti universitari ed ai giovani proletari a usare fucili, mitragliatrici, mortai,  cannoni senza rinculo ed ora lanciarazzi Gard e, finalmente, persino pezzi d’artiglieria.

Però questo “esercito all’alba” ha diversi problemi.

Manca una strategia militare, manca una strategia politica (si veda oltre), manca una leadership riconosciuta.

In particolare è notizia di ieri la sorta di battibecco avvenuto tra Abdel Fattah Younis e Khalifa Hiftar.

Il primo, ex ministro degli interni, reclama il comando dell’esercito, come una sorta di super ministo della difesa e contesuale capo di stato maggiore.

Il secondo, ex colonnello-generale della guerra contro il Chad, famoso ed esperto comandante di artiglieria, vorrebbe invece comandare le truppe come vero capo di stato maggiore.

In questo c’è anche un conflitto tra il potere rivoluzionario, politicamente “corretto” per quanto militarmente “dilettante” (Younis, malgrado sia un “badogliano”) e quello militare, esperto ma politicamente nebuloso (Hiftar).

C’è però, e forse sopratutto, una differenza importante in rapporti che sono anche internazionali.

Infatti, il generale Hiftar è un esule.

Ottimo penserete, è sicuramente più estraneo al regime di Younis che, sia pure da riformista, ha condiviso gli orrori del regime.

Non proprio, o meglio non è così semplice.

Hiftar il suo esilio l’ha passato in Virginia. A due passi dal Pentagono.

Insomma Hiftar, che pure ha le competenze per servire come comandante supremo, appare a molti un uomo dell’America.

E per questo difficilmente sarà il futuro comandante delle truppe ribelli.

Malgrado, anni di inattività a parte, lo saprebbe fare. E malgrado, con ogni probabilità, non sia un uomo del pentagono.

Intanto vorrei ricordare che il problema militare dei ribelli è reale, e si sviluppa su più livelli.

Tecnico: non hanno le armi giuste, o ne hanno poche e, sopratutto, non le sanno usare. Ma sopratutto non hanno l’organizzazione giusta.

Tattico: non sono comandati ed addestrati per sfruttare i loro punti di forza (pochi) e i punti di debolezza del nemico (che ci sono).

Operativo: in battaglia non c’è comando, ognuno combatte la sua guerra privata, rifornimenti e rinforzi non sono coordinati da un comando centrale e forse nessuno sa se esiste una riserva (e qui si inserisce il discorso tra Hiftar e Younis).

Strategico: non sanno cosa conquistare, quali sono i loro obbiettivi. Se invece pensassero ancora di avanzare sui terminal petroliferi e quindi direttamente su Sirte potremmo dire che hanno una strategia , ma è sbagliata.

Dal punto di vista della grande strategia il problema è anche politico.

Strada per strada, casa per casa.(“Zanqa zanqa, dar dar”).

Questo prometteva Gheddafi

Questo fu un suo (notevole) errore strategico.

Se da un lato non ha interrotto le defezioni, dall’altro ha fatto diventare i disertori dei potenziali martiri, se non altro solo per evitare di diventare comunque martiri.

Oggi i ribelli libici, invece di discutere di chi debba o non debba essere il loro comandante, dovrebbero capire come risolvere il medesimo problema strategico.

Perché allo stato attuale Gheddafi a 4 possibilità:

  1. Andare in esilio in una nazione in cui non esista l’estradizione.

  2. Scappare e rischiare di essere processato dal tribunale penale internazionale

  3. Arrendersi e finire in una versione libica di Piazzale Loreto

  4. Vincere

La vittoria in guerra consiste nell’obbligare un nemico a fare qualcosa che non vuole fare.

È evidente che Gheddafi non vuole fare nessuna delle prime tre cose, quindi obbligarlo è molto difficile, anche quando la quarta opzione diventasse completamente impossibile.

E bisogna convincersi che la NATO non è invincibile (che poi è uno dei motivi per cui ero contrario all’intervento), e che a vincere dovranno essere i ribelli.

Che erano stati sconfitti fino a pochi giorni fa.

Il problema però è un altro.

Perché se Gheddafi è ancora in sella lo deve ai suoi uomini

E i seguaci di Gheddafi hanno poche alternative:

  1. Andare in esilio dove e come capita

  2. Finire in una versione libica di Piazzale Loreto

  3. Rimettersi alla clemenza dei vincitori

  4. Vincere

Se i ribelli non riescono a convincere i lealisti che non li puniranno, che non li fucilerrano, che non li sgozzeranno, che tratteranno anche gli stupratori e i mercenari come prigionieri di guerra, che c’è un’amnistia dietro l’angolo, che loro non sono lì per cercarli strada per strada, casa per casa, bhè se non ci riusciranno i lealisti, proprio come stanno facendo i ribelli, combatteranno con coraggio e determinazione.

Anche perché defezionare è relativamente facile se puoi andare in aereo a Londra, un po’ più difficile se devi passare una linea ondivaga in mezzo al golfo della Sirte.

Soprattutto se dall’altra parte non ha dei soldati disciplinati, con una procedura standard per i prigionieri, ma gruppi di irregolari indisciplinati.

Mentre i ribelli, per ovvi e comprensibili motivi, sembrano animati da spirito di rivalsa, se non proprio volontà di vendetta.

É normale, i mercenari stuprano, uccidono, sparano ad altezza uomo sui civili, i cecchini colpiscono anche i bambini, mentre gli artiglieri sparano a casaccio, per fare terrorismo tra i civili, oppure prendono di mira ospedali, moschee, strade, ambulanze.

Insomma l’esercito di Gheddafi ha violato tutte le linee, scritte e non scritte, che un esercito deve mantenere se vuole essere considerato differente da una banda di briganti bene armati.

Eppure se i ribelli non si convincono che quelli che hanno di fronte, mercenari inclusi, sono esseri umani e che non devono linciarli senza processo, bhé se non si convincono di questo, dovranno passare mesi e mesi prima che riescano a batterli in battaglia.

E tutto finirà comunque in un bagno di sangue, anche se dei “cattivi” e non dei “buoni” come sarebbe stato a Bengasi una decina di giorni fa.

Anche perché ho come l’impressione che i veri orrori di questa guerra non siano ancora venuti fuori.

E sono quelli occorsi nelle città sulle alture a sud e sud-ovest di Tripoli, e nelle altre comunità attorno alla capitale, che il rais ha riconquistato nelle prime settimane della sua contro offensiva.

Quando i sopravvissuti usciranno dalle prigioni, dai nascondigli, dal silenzio irato dei sopravvissuti che cosa faranno?

Valerio PeverelliIn fiammeguerra,libia,moammar gheddafi,nato

I ribelli, lentamente e senza grande successo, hanno cominciato a costruire un vero e proprio esercito. Hanno insegnato agli studenti universitari ed ai giovani proletari a usare fucili, mitragliatrici, mortai,  cannoni senza rinculo ed ora lanciarazzi Gard e, finalmente, persino pezzi d'artiglieria. Però questo 'esercito all'alba' ha diversi problemi. Manca una strategia...