Sembra che la presenza di una coalizione internazionale non basti a tenere lontani i Talebani e a impedir loro di penetrare in Afghanistan.

La pressione che gli integralisti esercitano sul confine meridionale del paese non accenna a diminuire, nemmeno dopo 10 anni di occupazione e l’adozione delle più varie strategie da parte dei contingenti militari presenti nel paese.

C’era bisogno di costruire un muro, un muro nel mezzo della campagna nei pressi di Kandahar, città della zona meridionale del paese sottoposta a controllo americano.

Nonostante l’immenso gap esistente tra gli armamenti della coalizione e quelli a disposizione dei Talebani, l’esercito americano, il più potente al mondo, si è ritrovato a dover costruire una barriera fatta di blocchi di cemento messi uno sopra l’altro, sormontati da telecamere e controllati a vista da soldati che pattugliano i varchi per evitare nuove imboscate ai danni di mezzi militari e civili.

Si tratta dunque di sorvegliare costantemente tutte quelle immagini che, riprese dalle telecamere giorno e notte, vengono subito trasmesse a una camera di controllo dove gli addetti verificano che non ci sia nulla di anormale o di sospetto.

A detta del contingente americano la costruzione di una barriera che frenasse le incursioni talebane era ormai una scelta obbligata: “La loro libertà di movimento all’interno del territorio era tale da costringerci a costruire una qualche struttura che ci permettesse di bloccarli”, ha infatti affermato Adam Dortona, Capitano dell’esercito americano.

Di fatti, scopo principale del Grande Muro di Kandahar è proprio quello di evitare nuove incursioni attraverso un blocco totale e un pattugliamento costante delle tratte che gli integralisti hanno utilizzato negli ultimi anni per tendere le imboscate.

La preoccupazione di subire attacchi e la necessità di garantire un transito sicuro sull’Autostrada 1, arteria vitale del paese, ha quindi reso necessaria l’adozione di una misura tanto drastica, ritenuta “stupida” e “inutile” da molti residenti della zona, consapevoli del fatto che “ci sono molti altri metodi e altre vie che i Talebani possono utilizzare per penetrare nel paese”.

Il muro, una frontiera di circa 80 km nel bel mezzo dell’Afghanistan e con un percorso parallelo a quello dell’autostrada, è ufficialmente chiamato “il muro della sicurezza e del commercio”, ma come è accaduto in Palestina, l’imposizione di una barriera interna non ha riscosso un grande successo.

Infatti, la popolazione locale si ritrova ora a non poter coltivare le proprie terre a causa di una muraglia che tra l’altro rende praticamente impossibile la gestione dell’acqua necessaria all’irrigazione, provocando ingenti danni alle colture.

Le proteste dei contadini proseguono senza sosta, insistendo sul fatto che quando piove il muro funge da diga provocando vere e proprie inondazioni in alcuni campi e lasciando a secco gli altri.

Ciononostante, le lamentele dei residenti non sembrano essere prese in considerazione, vista la risposta delle truppe americane le quali, anzi, sostengono che il muro dopo un breve periodo iniziale durante il quale la vita della popolazione sarà effettivamente un po’ più difficile, alla fine si dimostrerà di grande utilità, garantendo una maggiore sicurezza per tutti.

[La fonte principale di questo articolo è Split over ‘great wall of Kandahar’ di Jerome Starkey] Simona OlivieriIn 30 secondiadam dortona,afghanistan,kandahar,medio oriente,palestina,talebani
Sembra che la presenza di una coalizione internazionale non basti a tenere lontani i Talebani e a impedir loro di penetrare in Afghanistan. La pressione che gli integralisti esercitano sul confine meridionale del paese non accenna a diminuire, nemmeno dopo 10 anni di occupazione e l’adozione delle più varie strategie...