Bene, mettiamola così: sono di osservanza “narrativista” e ho appena finito di leggere “Capre di guerra” di Jon Ronson (e non finirò mai di ringraziare Mario per avermelo imprestato).

Penso che una cosa sono i fatti, dei quali poco sappiamo e sapremo, e una cosa sono i racconti. E che si possano fare ragionamenti “nel racconto e sul racconto”, a prescindere dai fatti.

L’operazione ammazza-bin laden è tecnicamente uno “showdown”, quel momento in cui a poker si mostrano le carte o, se preferite, quel momento in cui una storia è finita, si è ormai dispiegata, e non bisogna far altro che mostrarla.

Non voglio dire che al-Qaida e bin Laden siano tout court narrativa. Esistono, sono esistiti, esisteranno. Hanno fatto cose, le stanno facendo, le faranno.

Sto dicendo che al mondo c’è la realtà e c’è la verità, due cose molto diverse fra loro seppure quasi sempre collegate.

L’una è terribilmente incontrovertibile, e ontologicamente indescrivibile, l’altra è assolutamente fugace e malleabile, è un “apparecchio” per descrivere la realtà in maniera necessariamente difettosa anche se talvolta efficace.

Ho fatto questo preambolo per introdurvi a un articolo di Jean-Marc Desanti dal titolo “Bin Laden o l’autodafé di un romanzo eretico“, uscito su armees.com (incassando il distinguo della testata), e poi sul Quotiedien d’Algérie.

Dite quello che vi pare, è vero che è pieno di imprecisioni, ma ha assolutamente una ragione di essere.

Eccolo (scusate gli eventuali errori, domani ci rimetto le mani, oggi non mi va).

 

Bin Laden o l’autodafé di un romanzo eretico

 

“Il romanzo è una meditazione sull’esistenza visto attraverso personaggi di fantasia”. Milan Kundera

 

Le apparenze sono ciò a cui ci invita la nostra condizione umana, la traversata delle apparenze, il lungo viaggio iniziatico, The Voyage Out.

L’operazione “Geronimo” è stata dunque un grande successo. Operazione, ci viene detto, guidata da delle foche (i seals della marina americana), ma più probabilmente dal JSOA, il servizio per le operazioni congiunte fra i Berretti Verdi, il gruppo per le operazioni psicologiche dell’esercito (PSYOPS), tre battaglioni di ranger e varie unità “fantasma” dell’U.S. Air Force. In breve, le forze speciali si sono allenate da qualche parte a metà strada tra San Diego, California, Norfolk, Virginia e Fort Bragg in North Carolina, e il tutto è stato pianificato da un software della NSA a Fort Meade nel Maryland.

Lo scenario, però, lascia alquanto a desiderare: a qualche mese dal decimo anniversario del 11 settembre, il saudita ingegnere miliardario Osama bin Laden, che aveva appena festeggiato il suo 54° compleanno e viveva da 5 o 6 anni in una pensione di lusso in Pakistan, 100 chilometri da Islamabad, nei pressi di una accademia militare, è stato ucciso mentre purtroppo usava la sua nuova sposa per proteggersi. Miracolo della scienza, l’identità è confermata attraverso il test del DNA in pochi minuti e il suo corpo viene gettato in mare più di mille chilometri dal luogo dell’attacco. Inoltre, il direttore della CIA ha detto che gli Stati Uniti non hanno informato il Pakistan dell’operazione perché il paese “avrebbe allertato” il leader di al-Qaida del raid imminente.

Potremmo accontentarci di queste spiegazioni e di questi colpi di scena spettacolari anche per non rovinare la gioia comprensibile, anche se a volte infantile, di alcuni abitanti di New York. Ma questa confusione mediatica può anche portarci a riordinare la sequenza di una storia che si cerca di semplificare la nostra fino alla nausea.

Alain Marsaud, presidente della federazione UMP Haute-Vienne, ex magistrato, ma soprattutto ex capo del contro-terrorismo presso l’ufficio del procuratore al Parquet de Paris ha dichiarato il 2 maggio su LCP che: “gli americani raccontano la qualsiasi e voi giornalisti riprendete queste informazioni”

E se cercassimo di uscire da questo “qualsiasi”?

All’interno dell’epica di bin Laden non possiamo non valutare la sua partecipazione alla lotta, alla fine del ventesimo secolo, con gli Stati Uniti contro il “comunismo mondiale”. Non possiamo ridimensionarla se vogliamo accedere a una comprensione contemporanea di quei meccanismi messi in atto dalla nebulosa di al-Qaida che ancora oggi presentano un innegabile interesse se vogliamo capire come va il mondo. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno sviluppato in tutto il mondo un ‘”ideologia contro” avversaria del “comunismo ateo”.

Aveva senso. Il capitalismo americano non poteva creare una dottrina umanistica eccitante solo sulla base di “teoria della accumulazione”. Era ideologicamente povero, storicamente e filosoficamente disastroso e senza speranza, quindi fu coinvolto il campo religioso. Con GLADIO e CONDOR concesse vari “aiuti” a strutture cristiane di destra, giocando sulle loro posizioni socio-politiche comuni.

Lo si vede in Francia, Italia, Grecia, Portogallo, Spagna e in Sud America, naturalmente.

Per quanto riguarda il “mondo arabo-musulmano”, si limitò per lungo tempo a una “doppia serratura”: lo Scià d’Iran e Israele. Ma non si riusciva a trovare un alleato affidabile nel mondo sunnita. E inoltre nel 1979 vi fu il doppio terremoto della vittoria della rivoluzione islamica a Teheran e della presa di Kabul da parte dei sovietici.

La reazione americana fu sorprendente e ammirevole, bisogna ammetterlo, strategicamente e tatticamente parlando. Là dove molti altri avrebbero ritenuto necessario negoziare o mettere in pausa la guerra, gli americani videro la migliore opportunità per abbattere l’impero sovietico.

Il capitalismo e il suo complesso industriale-militare, gli Stati Uniti non cercarono, per una volta, di assoldare mercenari per le truppe di terra per raggiungere i loro obiettivi, perché c’erano i sostenitori del jihad, e non c’erano solo i combattenti ma anche il capitale.

Alla metà degli anni ’80 il matrimonio di convenienza tra gli Stati Uniti e il fondamentalismo sunnita si trasformò in un patto a 3: leadership americana,  denaro saudita e gestione pakistana. Il Pentagono investiva ingenti somme in guerra, ma questo non sembrava essere sufficiente. Poi approvò, attraverso la CIA, un accordo politico con Osama bin Laden, accettando una totale “privatizzazione” del finanziamento della guerra sovietico-afgana gestito dagli islamisti del servizio segreto pakistano, l’Inter-Services Intelligence (ISI).

Il Pakistan vide il vantaggio di entrare in questa alleanza per aiutare le tribù di sorelle in Afghanistan.

Ma anche, soprattutto, grazie a generosi donatori e volontari islamisti, la capacità miracolosa di poter controllare e disporre in tutta tranquillità degli immensi benefici finanziari derivati dalla produzione e dal commercio di oppio. Il traffico della resina grezza e dei derivati narcotici più forti come la morfina, la codeina e l’eroina, sono diventati fattori chiave dell’economia di guerra. Tutti veicolati da banche e istituti di beneficenza che agivano per mano di bin Laden. L’ISI stornò così alcune risorse per la guerra anti-sovietica in favore del antico conflitto tra India e Pakistan nel Kashmir e per fomentare l’odio religioso islamista contro la maggioranza indù in India.

Ancora più importante, l’ISI si servì e si serve tuttora del Kashmir come base arretrata del terrorismo per destabilizzare la società indiana.

A Langley, il quartier generale della CIA, si rallegrarono di questo successo su tutti i fronti, soprattutto perché non avevano fiducia nel gigante indiano così indifferente e “non allineato”, e pericolosamente vicino ai sovietici. Si invitò anche Israele, fedele alleato, a fornire un contributo sostanziale all’Esercito islamico in Afghanistan. Il prezzo da pagare fu altissimo. I molti combattenti palestinesi anticomunisti, anti-sovietici e anti-Fatah, poi furono i fondatori di Hamas. E’ in Pakistan che bin Laden incontrò e poi finanziò Abdullah Azzam, l’ispiratore di Hamas, che considerava quelli dell’OLP come dei laici venduti al Satana sovietico. E’ in Pakistan che Bin Laden conobbe nella moschea Binoori di Karachi un giovane religioso gravemente ferito in combattimento sulle montagne afghane che diventerà il leader dei talebani: Mullah Omar, la cui figlia poi sposò.

Anche se bin Laden fece una breve esperienza in una unità militare islamista durante la quale fu ferito nella valle di Laghman, fu essenzialmente il grande organizzatore amministrativo, un tecnico molto abile nel montare accordi finanziari e un unificatore dei movimenti globali islamisti. Si potrebbero ricordare i suoi interventi in Algeria, Egitto, Tunisia, Filippine, con il suo amico Abu Sayyaf, o in Yemen da cui proveniva la sua famiglia. Contrariamente all’idea leggermente sprezzante secondo cui era un mero simbolo per i fondamentalisti islamici, egli fu soprattutto il creatore di una vera internazionale, paragonabile al Comintern, con i suoi gruppi scissionisti, le sue azioni “puntuali”, le sue lotte di potere.

E’ proprio in questo sviluppo di una potente organizzazione, autonoma e altamente strutturata che si trova il punto di rottura chiaro con gli Stati Uniti.

Visto da Langley, il “programma” seguiva i principi classici e rassicuranti della CIA. Forze speciali statunitensi e “alleate” formavano i formatori. Nelle sue scuole e campi l’ISI convogliava i mujahiddin “semplici” e li formava al combattimento, mentre bin Laden si faceva carico del traffico, della distribuzione di armi, di trasportare e pagare il personale (reclutatori o provocatori), la CIA supervisionava tutto.

In realtà, alla Centrale si notava che a causa di una buona dose di corruzione, moltissime armi consegnate all’ISI si ritrovavano nelle mani di gruppi internazionali di musulmani fanatici addestrati alla guerriglia e al terrorismo urbano.

Bin Laden e l’ISI si erano progressivamente emancipati dalla tutela degli Stati Uniti e continuavano a perseguire i loro obiettivi di guerra.

Inoltre, una volta che l’Urss fu costretto a ritirare le sue truppe, emerse che bin Laden e l’ISI volevano avere più potere in Afghanistan. E sebbene un ampliamento delle forze sunnite pronte a combattere con l’Iran sciita non dispiaceva –a priori– a Washington, sembra che si registrarono le prime crepe gravi.

Il nuovo nemico era la Cina ma, paradossalmente,  l’ISI e bin Laden  sembravano non tenere in alcun conto il carattere “comunista-ateo” del Dragone. Perché?

Perché la Cina, in conflitto con il potere regionale dell’India, aveva iniziato una guerra rivoluzionaria strisciante ma sempre più allargata sostenendo i gruppi maoisti nelle province del Jharkhand, Chhattisgarh e del Bengala occidentale.

Gli americani da parte loro, in lotta per l’egemonia nel mondo con Pechino, si erano avvicinati all’India e soprattutto avevano impegnato tutte le loro forze per asfissiare il gigante cinese mediante il totale controllo delle risorse di gas e idrocarburi. Cominciava un nuovo secolo, il secolo delle guerre per il petrolio e del saccheggio neo-coloniale.

Poi ci fu l’11 settembre e gli Stati Uniti si concentrarono su bin Laden e sul complotto islamico mondiale. Ora sappiamo dove ciò ha portato. Le alleanze si sbriciolano, gli amici di ieri diventano nemici, i dittatori venogno abbandonati.

E se fosse quest’ultima la chiave per comprendere la fine del capitolo Osama? E se le “rivoluzioni arabe”, gli appelli alla “democrazia” e al modello insuperabile e universale del capitalismo liberale anglosassone avessero segnato l’inizio di un’altra forma di guerra?

Se per emarginare la Cina non fosse meglio, e alla fine sufficiente, parlare di “libertà” e “democrazia” e soprattutto di “benessere”? In fondo al-Qaida non prometteva altro che la felicità nella vita ultraterrena! Il combattimento, la guerra, la morte, l’eroismo sono troppo antichi e vaghi per una gioventù “araba” a cui è stato fatto preferire “il vino di qui … piuttosto che l’Aldilà “….

Dal punto di vista del marketing, si direbbe che bin Laden era mal posizionato nel mercato geopolitico, troppo in décalage rispetto alle aspirazioni dei suoi “target” giovani. E’ finito per diventare il prodotto di un altro secolo, di un altro millennio. Osama troppo caro per gli investitori e troppo poco lucrativo. Ha ritirato il prodotto dalla vendita. Che comunque era esaurito da diversi anni. E gli inserzionisti cominciavano ad essere a corto di idee. Bisogna saper porre fine a una guerra, uno sciopero o una propaganda.

Ci saranno ancora attentati perché le frustrazioni e le disuguaglianze permangono, ma possiamo ora facilmente definirli come il residuo di un’altra epoca. E il tempo passerà. Capiremo un giorno, di sicuro ma troppo tardi, che bin Laden era un romanzo, perché il romanzo è l’arte di creare un uomo. Si scriverà,  allora, forse, una vera biografia, perché la biografia è l’arte di far rivivere.

Ma se quel giorno arriverà, se avremo il coraggio di affrontare l’impensabile, l’indicibile, l’inimmaginabile, noi avremo paura. Perché, usando le parole di Aragon, questo personaggio per sempre elusivo “è la chiave per le stanze proibite di casa nostra.”

 

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Bene, mettiamola così: sono di osservanza 'narrativista' e ho appena finito di leggere 'Capre di guerra' di Jon Ronson (e non finirò mai di ringraziare Mario per avermelo imprestato). Penso che una cosa sono i fatti, dei quali poco sappiamo e sapremo, e una cosa sono i racconti. E che...