Cento anni fa l’Italia, durante la guerra italo-turca, bombardava l’oasi-città di Ain Zara (1 novembre 1911). Giulio Gavotti tirò tre bombe a mano su alcune tende militari turche e di volontari arabi, colpendone una.

Da allora si è sporcata molta carta e si sono svolti molti ragionamenti per cercare di capire se e come l’aviazione potesse incidere in una guerra e, sopratutto, se l’aviazione da sola, tramite il dominio dell’aria, potesse vincere.

Vi risparmierò 90 anni di dibattito aspro (e in buona parte anti-umanista e criminogeno). Invece mi concentrerò sul dibattito tra gli analisti militari successivo alla guerra del Kosovo, il primo conflitto che potrebbe essere stato vinto solo dai mezzi aerei (ma sarebbe ingiusto dimenticare il blocco navale). Anche perchè torna d’attualità con il conflitto Libico, con cui conviene fare un po’ di comparazione.

Secondo Webb (K. Webb, “Strategic Bombardment & Kosovo”, Defense & Security Analysis , Septembre 2008, Volume 24°) perché l’esperienza della guerra del Kosovo sia replicabile devono sussistere 4 condizioni:

  1. il governo attaccato non deve essere troppo autoritario (ma una “dictablanda” è preferibile ad una imperfetta democrazia; insomma detto in exempla l’Iran ha un governo già quasi troppo democratico, mentre la Siria lo ha troppo dittatoriale), in pratica l’opinione pubblica deve poter condizionare il regime. Se il leader è indebolito da contestazioni e un’opposizione, anche semi clandestina, tanto meglio;
  2. bisogna limitare il più possibile i colpi a bersagli civili, o che la popolazione attaccata non collega con il regime, in particolare è stato detto da molti che il bombardamento della TV di stato Yugoslava non danneggiò la campagna, quelli agli ospedali ed ai ponti sì;
  3. le forze militari dello stato bersaglio non devono essere in grado di contrattaccare in alcun modo (come oggi, ad esempio, in Libia, ma solo verso la NATO), causando una perdita di fiducia nel regime e, in particolare, nelle stesse capacità operative delle forze armate;
  4. il punto di gravità della battaglia è l’appoggio, tacito o dichiarato, che il governo riceve dai suoi sostenitori, in particolare i gruppi economici ed affaristici, essi devono convincersi che è nel loro interesse abbandonare il loro leader o a far pressione, personale, su di lui perché si raggiunga la pace;
  5. meglio evitare di uccidere il capo di governo nemico, visto che è l’unico che può chiedere la pace senza essere accusato di tradimento dai sostenitori “duri” del regime, evitando così una guerra civile strisciante. Il governo nemico deve avere una via d’uscita, la più onorevole possibile.

Questa tesi, che nel caso Libico dimostra tutti i suoi limiti, venne già all’epoca contestata da molti. Quando Milosevic si arrese, ad esempio, la NATO stava discutendo se passare all’operazione di terra, e all’uso di elicotteri, rendendo la sua sconfitta non solo certa, ma rovinosa per la nazione. Quindi la resa sarebbe arrivata non dall’uso dell’aviazione ma dalla paura dell’esercito.

Inoltre Michael Jackson (il capo di stato maggiore britannico, non il cantante) affermò più volte che il principale motivo della sconfitta Serba fu l’abbandono diplomatico della Russia, avvenuto circa 24 ore prima della fine della guerra. Inoltre altri commentatori hanno affermato come i dirigenti yugoslavi non si aspettassero che la coalizione contro di loro fosse destinata a durare e a rafforzarsi nel tempo, sperando in defezioni che non ci sono state (mentre oggi molte nazioni sembrerebbero intenzionate a sfilarsi dalla guerra di Libia).

Esistono poi critiche, come dire, da destra, al ragionamento di Webb, in particolare c’è chi sosteneva che l’esercito serbo fosse ormai allo stremo (cosa poi verificatasi fasulla), oppure che i ribelli albanesi stessero vincendo (altra panzana, già evidente all’epoca). Oppure che i danni infrastrutturali (che invece vi furono) stavano pesando troppo sull’economia serba e stavano portando la nazione alla rovina in una prospettiva di bombardamento strategico più convenzionale (“dhuettiana” e probabilmente consapevolmente cercata da alcune aviazioni).

Applicando il paradigma interpretativo Webbiano alla Libia notiamo come:

  1. Il governo Libico sia riducibile, in parte, ad una dittatura familiare e carismatica, insensibile e impermeabile alla volontà popolare, più di altri nella regione;
  2. Questo punto (evitare i danni collaterali) è stato il più curato dalla NATO negli ultimi vent’anni, in particolar modo il munizionamento inteligente è divenuto la norma e non l’eccezione come in Iraq nel 1991 (ma già all’ora ci facevano una testa tanta con le bombe inteligenti, anche se poi erano il 4-5% di quelle sganciate). Però le bombe di precisione stanno finendo e la NATO+- ha già avuto parecchie crisi di munizionamento, il numero di errori e di vittime civili non può che salire e il rischio di compiere atti “controproducenti” e sanguinosi sale nel tempo.
  3. Le forze lealiste non stanno combattendo la NATO+-, ma gli insorti, con vittorie e sconfitte, ma quanto meno l’esercito Libico non può essere visto come incapace dall’opinione pubblica libica (che anzi, quando prova a ribellarsi, assaggia sulla sua pelle le capacità di questa armata).
  4. Molti hanno abbandonato Gheddafi, anche tra i suoi più stretti sostenitori, ma la sua famiglia è sufficientemente e sfacciatamente ricca e potente da poter fare a meno dell’appoggio della City e del ministero del petrolio (che in Libia è uno Stato nello Stato).
  5. Lo scopo dei ribelli è togliere di mezzo Gheddafi, magari con una bella impiccagione, lui comprensibilmente non ha molta voglia di accettare la resa.

Il che ci riporta alla situazione attuale, in cui i combattimenti ristagnano, i bombardamenti continuano e nulla di clamoroso pare arrivare all’orizzonte.

Però c’è anche qualche cosa che converrà considerare, comunque questa guerra verrà considerata nei prossimi anni o mesi, se saranno i ribelli a vincere (come io credo) la vittoria sarà innanzi tutto loro e quasi esclusivamente loro, essendo il ruolo della NATO+- quello di aiuto e non quello di protagonista.

Infatti in Libia non esistono le condizioni per una vittoria dal cielo, e non credo che l’Europa invierà soldati a terra. Saranno i ribelli a dover conquistare, lentamente, tutto lo Stato.

E sarà ancora lunga e dura, a meno che Gheddafi non fugga in Bielorussia. Nel frattempo noi pagheremmo un elevato prezzo economico per il nostro partecipare alle guerre civili altrui; in cui però il nostro contributo resta sussidiario.

Spero che i ribelli si ricordino di questo quando qualcuno sosterrà che sono in debito con noi per la loro libertà.

Per tutti quelli che confidano in una rapida pace è però una brutta notizia constatare che l’esercito addestrato in Cireanica tanto addestrato non sembra, e non riesce a battere i regolari e i mercenari trincerati a Brega, mentre i ribelli di Misurata, ormai veterani dei combattimenti in ambiente urbano, subiscono perdite catastrofiche appena si inoltrano nelle campagne.

 

Valerio PeverelliFuori misuraIn fiammeguerra,libia
Cento anni fa l'Italia, durante la guerra italo-turca, bombardava l'oasi-città di Ain Zara (1 novembre 1911). Giulio Gavotti tirò tre bombe a mano su alcune tende militari turche e di volontari arabi, colpendone una. Da allora si è sporcata molta carta e si sono svolti molti ragionamenti per cercare di...