Le guerre civili non sono pranzi di nozze.

Quindi mi desta un po’ di stupore l’ipocrita rumore che l’encomiabile rapporto sulla Libia di Human Rigths Watch (in parte sintetizzato qui: http://www.hrw.org/en/news/2011/07/13/libya-opposition-forces-should-protect-civilians-and-hospitals) ha prodotto (come altri prima di lui) su i nostri mezzi di comunicazione.

I ribelli sono guerriglieri (per giunta ancora molto indisciplinati) e, com’è ovvio, fucilano o catturano i sostenitori di Gheddafi, recentemente lo hanno fatto a Rayayinah e in altre località dei Nafusa abitate dai Mesheshiya (una tribù che pare sostenere Gheddafi, aggiungerei anche una tribù arabofona circondata da berberi).
Uccidere spie, sostenitori del vecchio regime, controrivoluzionari, ex-esponenti della sicurezza e della polizia fa parte di qualsiasi guerra civile, è anzi spesso una necessità.
Inoltre l’esercito di liberazione nazionale libico sui Nafusa si trova nelle condizioni di dover saccheggiare i nemici per ottenere ciò di cui abbisogna.
Allo stesso modo mi disturba che i ribelli si siano dotati di ben 3 polizie segrete, probabilmente non molto differenti da quelle del vecchio regime, ma anche questo rientra nelle “necessità” della guerra.

Quello che non bisogna dimenticarsi è come sia pressoché impossibile avere una guerra senza i crimini di guerra.
Il rapporto di Human Rights Watch disturba qualcuno che forse ancora pensava questa guerra come uno scontro metafisico tra bene e male, o che i ribelli (per cui continuo a nutrire simpatia, malgrado tutto), fossero anche dei cavalieri della luce in lotta contro l’impero delle tenebre.
Ecco, non è mai così.

Semmai questo rapporto evidenzia, da un lato, come i comandanti ribelli non riescano a tenere ancora una rigida disciplina, perché violenze e crimini ingiustificati, o saccheggi troppo palesi, sono disfunzionali alla vittoria e vanno repressi, assolutamente da fermare sono le violenze sui prigionieri, ostacolo alla vittoria più di una battaglia perduta.

Dall’altro dovrebbe farci riflettere sul fatto che in politica il contenitore è il contenuto.
Ovvero la rivolta libica, già a fine febbraio, ha smesso di essere una rivoluzione ed ha scelto di essere una guerra civile.
Probabilmente non c’erano molte alternative, Gheddafi ha sparato e torturato per primo, mentre il fatto che numerosi reparti militari e ufficiali inferiori siano passati ai ribelli li ha illusi di avere un esercito, ma le guerre civili non sono un bello spettacolo e per vincerle bisogna essere brutali e crudeli.

Quando i ribelli vinceranno questa guerra saranno diventati, loro malgrado, uomini ben peggiori di quelli che erano un anno fa.
La nonviolenza è un metodo di lotta da preferirsi sempre e comunque anche perché impedisce ai rivoluzionari di diventare dei macellai.

In Bahrain, Tunisia, Egitto e a quanto pare anche in Siria e (almeno in parte) Yemen le forze rivoluzionarie sono state più intelligenti, se e quando queste rivoluzioni saranno concluse, se e quando avranno vinto, potremmo aspettarci governi realmente diversi.

Per carità in Libia il CNT sembra già molto meglio di Gheddafi, e mi auguro la loro vittoria il più presto possibile, mentre non credo nel paradigma della somalizzazione della regione.
Ma proprio le necessità della guerra hanno messo gli avvocati, gli intellettuali, i giovani, gli universitari e i bloggher (che pure furono gli iniziatori delle proteste a Febbraio) sullo sfondo, portando al centro del CNT vecchi transfughi di regime, ex ufficiali sponsorizzati da CIA e sauditi, tecnocrati del ministero del petrolio.

Mentre la guerra ha quasi annullato il contributo femminile alla rivolta, che pure c’era come c’è in tutte le altre cosi dette “primavere arabe”, dove risulta apportatrice di una grandissima ricchezza d’elaborazione e metodologie di lotta.

Il fatto che i figuri del CNT ordinino o accettino violenze su civili e prigionieri ci disturba, ma nel momento esatto in cui abbiamo deciso di prendere parte a questa guerra (non in mio nome, ovviamente) abbiamo accettato queste conseguenze.

Noi europei siamo ormai abituati a vedere la guerra da distanze siderali, come l’effetto asettico di bombardamenti dall’alto, e i nostri soldati sono comandati da vie di mezzo tra asceti e PR, chiusi in impenetrabili uffici di stato maggiore, moderni monasteri arredati con lusso.
Registi di una guerra di macchine.

Le eleganti divise immacolate e gli stivali lucidi non devono far dimenticare che il lavoro del pilota al controllo remoto di un drone Predator sia quello di uccidere persone e distruggere cose.

I ragazzini libici della ribellione (molti sotto i 18-19 anni) fanno lo stesso lavoro, ma con divise sporche, pance vuote, senza più sigarette, con grande odio e rancore personale per il nemico, stanchezza e paura. Quando uccidono una persona la sentono morire e magari la guardano negli occhi.

Il discorso non è se siano eroi o criminali, il discorso è se fosse o meno giusto usare uno strumento sbagliato e criminogeno, come la guerra civile, per porre fine ad un regime sbagliato e criminogeno.
Questo discorso vale per tutte le rivoluzioni della primavera araba, che per fortuna mi sembrano più influenzate dalla nonviolenza delle folle egiziane che dall’epica libica.

Questa riflessione, con i necessari aggiustamenti di scala, vale per tutte le rivolte e le proteste del mondo, Italia inclusa.
La violenza è un problema, risulta disfunzionale, oramai, al successo per qualsiasi lotta si abbia in mente.
Le logiche militari e violente sono difficilmente conciliabili con la spinta al cambiamento, anche perché la militarizzazione cambia chi la attua e lo rende più simile, o addirittura speculare, alla parte peggiore del potere contro cui combatte.

Valerio PeverelliIn 30 secondiguerra,in fiamme,libia
Le guerre civili non sono pranzi di nozze. Quindi mi desta un po' di stupore l'ipocrita rumore che l'encomiabile rapporto sulla Libia di Human Rigths Watch (in parte sintetizzato qui: http://www.hrw.org/en/news/2011/07/13/libya-opposition-forces-should-protect-civilians-and-hospitals) ha prodotto (come altri prima di lui) su i nostri mezzi di comunicazione. I ribelli sono guerriglieri (per giunta...