La cura è peggiore del male?
In questi ultimi mesi abbiamo assistito a dozzine di tentativi di mediazione tra Gheddafi, i ribelli e la comunità internazionale.
Inoltre questa guerra si inserisce in un quadro particolarmente complesso di relazioni internazionali, che vanno dalle “primavere arabe” al disimpegno della potenza americana, particolarmente colpita dalla crisi economica “atlantica”.
(che la nostra stampa si ostina a definire “globale”).
Un ottimo sunto della situazione libica e un tentativo d’analisi, a cura della IAI (Istituto Affari Internazionali), con gli ultimi sviluppi diplomatici, lo trovate qui:
http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=1823
In estrema sintesi i fatti sono questi:
-la guerra dura da troppo tempo, tra l’altro eliminando la Libia come fornitore di petrolio e stato-investitore.
-l’intervento della NATO+- non è stato risolutivo, è molto caro per i nostri bilanci (e le scorte di bombe sono sempre ad un passo da finire).
-alcuni paesi iniziano a ritirare le truppe (Norvegia), altri le hanno ridotte ad un livello embrionale (USA) altri ancora iniziano ad averne abbastanza e potrebbero imitarli, di fatto sciogliendo la coalizione.
-i motivi per cui l’Europa è entrata in guerra erano poco chiari sin dall’inizio e non condivisi da tutti.
-Gheddafi riesce a difendersi abbastanza bene, almeno in apparenza.
-Il CNT è caduto nelle mani dei moderati, in buona parte ex gheddafiani, più o meno coinvolti nella fronda interna al regime di fine anni ’90.
-Le altre potenze non stanno affatto appoggiando la NATO+-, in pratica contro Gheddafi si sono mossi gli stati del golfo e lo zoccolo duro della NATO, ma molti membri NATO sono rimasti alla finestra, mentre Russia e Cina non fanno mistero della loro simpatia per il regime.
-Il mandato NATO scade comunque a settembre.
-Tutti i limiti del potere aereo stanno emergendo, ed in particolare è sempre più difficile trovare bersagli paganti senza iniziare a colpire obbiettivi strategici di natura civile, con il rischio di far salire il numero di “danni collaterali”, con un grave danno d’immagine.
Il risultato di tutto questo è una politica particolarmente contraddittoria, pochi giorni fa il CNT otteneva ulteriori riconoscimenti internazionali, mentre i diplomatici lealisti erano espulsi da Londra.
Oggi si tenta una spericolata mediazione con Gheddafi.
In particolare il Regno Unito e la Francia (!), sembrerebbero più che disponibili a lasciare il vecchio dittatore in patria.
Senza alcun ruolo politico, ovviamente.
Un problema perché, ufficialmente, Gheddafi non ha alcun ruolo politico ed è già solo “un privato cittadino”. Il che non gli ha mai impedito di comandare il paese.
Ma non sarebbe comunque un bene, se da questa guerra si uscirà con la diplomazia e il negoziato? Si può intravedere la fine della carneficina?
Non è così semplice, anzi credo sia dannatamente più complesso e pericoloso, preludio per un altra guerra.
Innanzi tutto perché la spartizione della Libia tra CNT e Gheddafi, che forse piace a non pochi al ministero degli esteri, è una bestialità.
Non sarà accettata dai libici, che non l’hanno mai chiesta e lascia Misurata, i Nafusa e il sud-ovest libico in balia di Gheddafi.
In secondo luogo perché il vincitore della guerra sarebbe il “tiranno”.
Il primo a “vincere” in questa stagione.
Con le conseguenze immaginabili a livello internazionale.
Ma questi sono problemi da ridere in confronto al vero rischio che una “pace lupina” comporta.
Queste trattative di vertice possono non essere accettate alla base, creando immediatamente una nuova, più complessa, guerra civile.
Come di mia abitudine guardo in primo luogo ai militari, partendo dal vertice dell’Esercito di liberazione nazionale per arrivare verso la sua base.
Il “ministro della difesa” del CNT è il generale Omar Mokhtar El-Hariri, già compagno di Gheddafi nella rivoluzione del 1969, si ribellò nel 1975, organizzando un colpo di stato militare “di sinistra”. Scoperto fu condannato a morte assieme ai suoi complici, ma poi la pena fu convertita nel carcere duro (5 anni di cella d’isolamento) e, dopo il 1990, dai domiciliari.
Non credo che l’idea di far la pace con Gheddafi sia sua, ma forse potrebbe accettarla.
Il “capo di stato maggiore” dell’esercito di liberazione nazionale è Abdul Fatah Younis, già ministro degli interni e uomo chiave del potere gheddafiano. Fino a pochi mesi fa era un “amico” di Gheddafi.
Ha molto da perdere se la rivoluzione va oltre un certo limite, quindi suppongo sarebbe più che felice di arrivare ad un qualche compromesso con il suo ex padrone.
Khalifa Belqasim Haftar è il terzo in comando.
Fu il colonnello che più si distinse nella guerra contro il Chad degli anni ’80, cadendo però in disgrazia subito dopo. Dopo un oscuro tentativo di congiura (1987) scappò in esilio ponendosi alla guida di un gruppo di fuoriusciti, associato alla CIA e ai Sauditi. Non è “solo” l’uomo della CIA in Libia, ma uno degli esponenti di spicco della resistenza a Gheddafi.
Probabilmente si infurierebbe se gli ordinassero di far la pace con Gheddafi, ma il suo obbiettivo, tornare in patria, lo ha già raggiunto.
Scendendo dagli alti gradi troviamo persone ben diverse e più interessanti.
Come il comandante Ibrahim Taher, ex professore di storia, che si è ritrovato alla testa del battaglione studentesco sui Nafusa, sostituendo il precedente comandante ucciso in combattimento.
A metà luglio il suo battaglione aveva un organico di 280 uomini, ma molte più persone sono passate dal suo comando, considerando quelle uccise, ferite, trasferite, catturate, disperse, o che hanno disertato.
Mentre tra gli alti gradi che ho descritto vi sono sia biografie di “nemici” personali di Gheddafi, sia persone che (come Younis) potrebbero anche accordarsi con lui, tra quelli inferiori abbondano gli Ibrahim Taher.
Il battaglione che comanda, simile a molti altri, era inizialmente formato per lo più da studenti universitari di Gharyan, rinforzati successivamente da giovani berberi di alcuni villaggi in cui si erano ritirati.
Si tratta di formazioni formate da persone che spesso si conoscono (quando non sono imparentate), amici accomunati dall’odio per Gheddafi, dalle sofferenze della prima linea e dalla memoria dei loro compagni morti.
Non obbedirebbero mai all’ordine di deporre le armi, e se la NATO+- li abbandonasse vorrebbe dire che ci considereranno degli inaffidabili traditori.
Per i piloti della NATO la guerra è una forma di routine, per i ribelli libici è un’esperienza cruda e concreta, da cui non si esce a comando.
Se il CNT ordinasse la fine delle ostilità non tutti ubbidirebbero, e già me li vedo ad accusare chi continua a sparare di essere un islamista.
Il genio della lampada della guerra è molto difficile da rimettere nella sua lanterna.
https://in30secondi.altervista.org/2011/07/28/la-cura-e-peggiore-del-male/In 30 secondiguerra,in fiamme,libia
Aggiornamento dell’ultimo minuto: Younis assassinato, resta da capire da chi.
Da i suoi, che non volevano la pace con Gheddafi, o dai lealisti che in lui vedevano l’arci traditore, l’uomo di fiducia del regime che era passato al nemico?
O ancora Younis stava facendo del doppio giochismo, o, visti gli scarsi successi dell’offensiva su Brega, era sospettato di doppio giochismo e ha pagato per gli errori altrui?
Misteri che cercheremo di scoprire.
Ma che probabilmente saranno risolti solo tra anni e anni.
Ma sopratutto aspetto che ne parli qualcuno di più attendibile rispetto a :
http://www.repubblica.it/esteri/2011/07/28/news/libia_capo_ribelli_ucciso-19751633/?ref=HRER1-1
o
http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/413538/
sulla stampa straniera ancora tutto tace, ma si sa lì prima di pubblicare quello che dice Al Jazeera si aspetta una qualche conferma.
Comunque questo fronte è caldissimo, ma anche l’altro non scerza.
Sto diventando una di quelle persone che se non legge una notizia sul Guardian…
“Yesterday’s offensive came amid confusion surrounding the rebels’ military commander, Abdel Fatah Younis, who was reported to have been arrested and detained at a military base in Benghazi. The former interior minister, who served under Gaddafi until he defected in February, was reported to have been questioned over alleged links with the regime in Tripoli. That could not be confirmed.
Al-Jazeera television reported that rebel troops loyal to the general, had returned from the eastern front and were in the streets brandishing firearms and demanding his release.”
P.S.
Nel frattempo i ribelli sui Nafusa hanno scatenato una durissima offensiva, come al loro solito prima hanno aspettato che le altre stagnassero e poi hanno attaccato contemporaneamente in più direzioni. Così facendo disperdono le loro forze, però anche i lealisti non sanno cosa fare e, inoltre, potrebbe essere un trucco per attirare verso i Nafusa le ultime riserve dei lealisti, dare solievo a Misurata e preparare qualche sorpresa tra Brega, l’estremo sud o altrove.
Sono impossibilitato a seguire e postare novità, ma aggiungo che assieme a Younis sono morti anche il colonnello Muammad Khamis (che non è esattamente uno sconosciuto) e il capitano Nasser Madhour (di cui invece non so nulla).
Non ho tempo di informarmi molto di più, e capire ciò che questo vuol dire, raccolgo però numerose voci.
Si vocifera che il mandante, interno all’esercito di liberazione nazionale, possa essere Fawzi Bu Katef, ma non ne sono persuaso e aspetterei per dirlo. Katef è (era? dovrebbe essere?) l’ufficiale al comando della brigata “Martiri del 17 marzo”, una formazione “radicale” o “rivoluzionaria” di oppositori al regime (inclusi esuli rientrati in patria), con però un po’ di ex regolari.
Lo stesso Katef non è un militare di cariera (pare sia ingeniere), ma uno dei numerosi comandanti nati dalla rivoluzione. Quindi poco tenero verso gli ex uomini forti del regime.
I sotenitori di Younis puntano decisamente il dito contro questa formazione.
Inoltre si sa (e ne ho parlato più volte su questo blog) che Younis e Khalifa Belqasim Haftar erano rivali e non si sopportavano, Haftar sarà anche l’uomo della CIA (e dei Sauditi) ma è un “vero” soldato (anche se sono vent’anni che non comandava un reparto in prima linea), con un curriculum di tutto rispetto, mentre Younis era un generale da salotto.
La rivalità tra i due si erano esacerbate per divergenze sulla conduzione pratica della guerra.
Si vocifera anche che Younis abbia molti sostenitori e partigiani al fronte (guidati ora da tale Abdullah Baio), i quali non hanno preso bene la notizia della sua morte.
Alcuni dei seguaci di Younis si sono ritirati dalla prima linea nella zona di Brega. Mentre suo nitpote, Abdul Hakim, ne controlla altri a Bengasi.
Younis era il garante politico-militare degli ex gheddafiani che si erano uniti alla rivoluzione.
Dal punto di vista professionale Younis non era un ottimo ufficiale, la sua morte potrebbe dipendere anche dai suoi scarsi successi, per lo più politici e non militari, e dalla sua incapacità manifesta di prendere Brega e condurre la guerra con un atteggiamente aggressivo. Il fatto che questi problemi siano stati risolti sparandogli, invece che silurandolo e costringendolo alle dimissioni, è significativo.
Forse c’è molto altro.
Sopratutto va ricordato che se Younis non ha mai avuto incarichi di comando importanti nel vecchio esercito gheddafiano, è stato responsabile di pezzi dei servizi segreti e della polizia, oltre che ministro dell’interno e garante della repressione del dissenso.
Insomma molti dei comandanti ribelli erano stati spiati, incarcerati, o avevano rischiato di essere assassinati da Younis, e forse da tempo meditavano vendetta, o quanto meno diffidavano di lui.
Avesse conquistato un po’ di città avrebbe dissipato questi dubbi.
Però forse non sarebbe bastato, perché nella dozzina di versioni sull’uccisione di Younis c’è anche quella che parla della vendetta personale di una delle guardie che lo stava scortando ad un interrogatorio. Si tratterebbe di un giovane il cui padre sarebbe stato ucciso dai reparti del ministero degli interni, mentre Younis era ministro.
Circostanze e modalità dell’assassinio restano molto oscure, mentre aggiungerei che uccidere un uomo come Younis non è un atto politicamente molto sensato, ma anche lasciarlo libero dopo averlo silurato e/o incarcerarlo è pericoloso.
Noto solamente che già il 24 luglio si era diffusa una voce, poi smentita, della sua morte.
Gheddafi accusa dell’omicidio nientemeno che Al Qaeda.
Mentre la NATO+-, come sempre quando non sa cosa fare, aumenta la pressione su Tripoli, con bombardamenti strategici mirati, ora, alle telecomunicazioni civili ed in particolare alla TV satellitare.
Dei 2132 attacchi con bombe portati in Libia (dati aggiornati al 28 luglio), ben 530 sono stati rivolti alla capitale e ai suoi immediati dintorni, sono davvero tanti, troppi.
Tutto ciò mentre i ribelli sui Nafusa hanno scatenato una grande offensiva, ora anche verso Gharyan, oltre che Badr e la zona attorno alla frontiera tunisina (tutte situazioni, sopratutto la prima, in cui un minimo di appoggio aereo servirebbe, ma non arriva). Pare che questi attacchi abbiano avuto notevoli successo e perdite relativamente contenute (anche se Gheddafi dice il contrario, sia sui successi, che sulle perdite).
Nei limiti del possibile cercherò di tenermi (e tenervi) aggiornati.
Porto questo contributo
http://www.comedonchisciotte.org/site//modules.php?name=News&file=article&sid=8701
Trovo spesso citata la tribù Obeide di Younes. Quale è realmente l’importanza odierna delle tribù sul piano politico?
@mcc43
Molto interessante il tuo punto di vista, che consiglio di leggere:
http://mcc43.wordpress.com/2011/07/29/libia-dove-vai/#more-661
Tra le pagine di questo blog si è discusso già molte volte se le tribù abbiano o meno un ruolo nella rivolta/rivoluzione/guerra civile libica.
Io penso che la Libia di oggi sia molto differente dalla Libia di ieri, e che la forza della rivolta sia quella delle giovani generazioni, nate negli anni ’80, quando la società libica era già una società molto industrializzata e urbanizzata, dove i matrimoni non si stringevano più, come alleanze tra famiglie, all’interno di clan e tribù, e dove la gente non viveva più di pastorizia nell’interno, ma nelle città, sempre più ricche e cosmopolite, della costa.
Certamente le tribù continuano ad esistere, sopratutto nel Fezzan, ed hanno un certo peso per gli anziani, in particolare quelli nati prima del colpo di stato dei giovani ufficiali liberi del 1969.
Ma per chi è vissuto nella Libia degli ultimi anni, con tassi d’alfabetizzazione insoliti per l’Africa, grandi università, centri industriali e petroliferi, una forte migrazione interna ed esterna, ecc. ecc. i discorsi tribali di fedeltà ed ubbidienza hanno un peso molto minore.
Inoltre non penso che la rivolta sia una secessione della Cireanica.
O meglio qualche vecchi arnese tribale potrebbe anche accontentarsi della secessione, ma se questa ipotesi passa ai fatti ipotizzo una nuova guerra civile “tutti contro tutti”, perché né i rivoluzionari di febbraio, né gli islamisti (che sono relativamente pochi, ma ci sono) accetterebbe mai una soluzione di compromesso di questo tipo.
La rivolta a febbraio-marzo è stata generale, da est a ovest. La vera differenza è stata nella reazione dell’esercito: in Cireanica (anche grazie a Younis) si schierò con i ribelli, mentre in Tripolitania affiancò la polizia nella repressione.
L’unica eccezione all’ovest fu Misurata, dove l’esercito rimase per lo più fedele a Gheddafi, ma elementi della marina e, sopratutto, l’intera accademia dell’areonautica (in cui contano, evidentemente, anche questioni generazionali) si schierarono con i ribelli, dandogli l’elemento minimo di preparazione militare per resistere.
In una dozzina di altre città questo non accadde e la ribellione fu sconfitta nel giro di una settimana o di un mese (aggiungerei che quasi tutte queste città non erano rifornibili dal mare, mentre Misurata si).
Un’altra peculiarietà dell’ovest è rappresentata dai Ghebel Nafusa, dove i villaggi arabi si mescolano a quelli berberi (che Gheddafi ha insultato, umiliato, represso, discriminato ecc. ecc, quindi naturaliter disposti a tutto per abbattere il regime). Una zona difficile da controllare anche per la sua geografia montuosa e aspra.
Tornando alla tua domanda, che peso politico hanno le tribù? Tra gli anziani è ancora un peso avvertibile, e quindi questa loro autorevolezza si riversa anche sul CNT o sul governo di Gheddafi (e sulle gerontocrazie che li compongono).
Ma i ribelli “doc”, quelli in prima linea, sono poco (ma non “per nulla”) condizionati dalla lealtà tribale. Ho visto brigate ribelli reclutate tutte tra gli studenti di un’università, oppure tra gli abitanti dello stesso quartiere, non ho visto brigate reclutate esplicitamente tra i membri della stessa tribù.
Però esistono anche altre logiche, che potremmo deifnire para-tribali, di tipo clientelari e leaderistiche, oltre che poltiiche in senso stretto (come l’appartenenza ad una fazione, ad un “partito”, o la condivisione di una determinata ideologia).
I fedeli di Younis sono reclutati e raggruppati secondo tutte queste logiche, alcuni erano seguaci di Younis perché membri della tribù Younes, altri perché hanno fatto cariera politico-militare nella sua ombra, altri perché appartenenvano alla fazione “riformista” del regime, di cui lui (senza farne davvero parte) era uno dei garanti presso Gheddafi, altri perché affascinati dal personaggio (che, a differenza dei veri oppositori di Ghedafi, era noto e conosciuto nella Libia pre rivoluzionaria e poteva andare in TV), altri ancora perché fino a pochi mesi fa erano gheddafiani e trovavano anche in lui un garante che la rivoluzione non sarebbe andata troppo oltre. Insomma Younis era un gattopardo, uno che voleva cambiare tutto per non cambiare nulla.
Ed era un uomo di potere, con incarichi militari elevatissimi (forse senza averne le competenze) e ancora una certa capacità di nominare i comandanti e condizionare i reparti a lui sottoposti, creando delle clientele.
Cosa che piaceva sicuramente poco ad altri “veri” rivoluzionari, sia laici che religiosi.
I “veri” rivoluzionari sono ben lontani dalle logiche tribali, anche perchè socialmente i due gruppi più esposti sono i giovani (lavoratori come universitari), gli intellettuali, e i numerosi esiliati-emigranti (in buona parte occidentalizzati e in qualche caso con la cittadinanza britannica, visto che la loro più grande comunità è in Inghilterra) che stanno rientrando per combattere.
Forse questo omicidio è l’inizio di una resa dei conti all’interno delle anime moderate (fin’ora vincenti) e radicali (di varia origine) del CNT.
Nel frattempo, nel disinteresse della nostra stampa, la guerra continua, e (guardacaso) sono i reparti meno condizionati dal CNT di Bengasi (e dal comando di Younis) quelli che combattono più duramente e con più successo.
Nei Nafusa in particolare i lealisti stanno perdendo il saliente di Badr e sono incalzati nella zona di Ghazaya, mentre attorno a Misurata infuriano i combattimenti, con perdite piuttosto pesanti per tutti ma minimi vantaggi territoriali.
Solo nella zona di Brega, dove comandavano Younis e Haftar (senza andare d’accordo su nulla) la situazione ristagna.
Forse prorpio perché su questo fronte, l’unico che il CNT controlli davvero, le discussioni di mediazione con Gheddafi hanno un peso reale. Ma, come dicevo nel mio post, più si inizia a mediaere con Gehddafi, più i “rivoluzionari veri” si 1nc4774n0, e se si supera un certo limite iniziano a sparare anche ai loro superiori. Sopratutto se iniziano a pensare che alcuni di loro siano traditori o persone immorali compromesse con il passato regime.
Grazie, la tua è una conoscenza molto dettagliata, mette in luce varie specificità della società libica rispetto ai paesi confinanti. Questa tribalità che separa in qualche modo le generazioni, il livello di istruzione dei giovani delle città, le giuste rivalse dei beduini.
Quello che mi ha dato da pensare fin dall’inizio è stato che i punti caldi della ribellione erano piazzati agli estremi est e ovest, facendomi prevedere la strategia a tavolino di una tenaglia che avrebbe interrotto approvvigionamenti alla capitale e quindi una possibile caduta per fame, diciamo. Questo sta diventando sempre più evidente oggi con la penuria di carburante. Una voce cui do credito, Monsignor Martinelli, ha denunciato il bombardamento Nato su magazzini di generi alimentari. E i fenomeni di borsa nera, il raddoppio dei prezzi, che si ripercuote anche sulla Tunisia meridionale.
Ora le truppe ribelli sono ormai a 80 km da Tripoli e, appena dovesse cadere Gharyan, non vi sarebbero altro che le mine disseminate dall’esercito a impedire che venga raggiunta la capitale. Ed è solo in quel caso, a mio parere, che si eviteranno le trattative cui da giorni allude la Nato .
Verissimo che dopo i primi sussulti, inneggianti alla monarchia, la parola d’ordine è stata: una sola Libia, ma è pure vero che una spartizione allo stato attuale lascerebbe i pozzi agli insorti, quindi il vero obiettivo della coalizione sarebbe raggiunto e la prospettiva di uno stato piccolo ma ricco metterebbe d’accordo gran parte del CNT. In fondo, i leader dell’ organizzazione Libia Democratica in Italia è un petroliere…
Alla fine di tutto, sempre che non si arrivi ad una guerra civile e a uno scenario iracheno, si dovrà dare una valutazione globale della dittatura libica che aveva reso possibile sia l’acculturazione dei giovani che la parità di diritti alle donne. Anche su certe idee di Gheddafi, per esempio l’Israteen, lo stato unico per palestinesi e israeliani. Un sanguinario, un despota e un cialtrone, ma non privo di qualche guizzo originale e di un riformismo populista che i suoi pari delle dittature limitrofe non avevano.
Molte delle cose che tu dici meriterebbero un intero post di risposta, e non un solo commento.
Se riesco lo farò.
Aggiungo solo una precisazione, non tutti i campi petroliferi libici sono nell’est, anche il Fezzan ha campi petroliferi non disprezzabili (e qualcosa si estrae anche dai Nafusa), e moltissimo gas. Mentre le prospezioni parlano della possibilità di ulteriori giacimenti nella Libia centro meridionale, in mezzo al nulla (ed in caso di spartizione sarebbero proprio sulla linea di divisione). Molti altri campi si trovano appena a sud ovest di Brega, e sono ancora nelle mani dei lealisti.
Anzi i lealisti tengono davvero duro, forse perché se si arrivasse all’ipotesi di una spartizione, a parole inaccettabile per Gheddafi, vogliono conservare il 40-50% delle riserve.
La penuria di carburante oggi in Libia è dovuta sopratutto alla perdita della capacità di trasformare petrolio in benzina, unita all’embargo (che però è molto lasco dal lato Algerino), mentre ho i miei dubbi che i ribelli marceranno rapidamente su Tripoli, hanno avuto qualche buona occasione il mese scorso, ma le hanno lasciate passare, per evidente impreparazione, riserve ridotte e scarsità di armi moderne.
Certo cadesse Gharyan il contraccolpo piscologico sarebbe davvero notevole.
Il bombardamento più “brutale” degli utlimi giorni è stato quello alla TV del 30 luglio, secondo il regime i morti sarebbero stati 3, i feriti 15, le antenne distrutte 3, senza aver interrotto nemmeno di un secondo le trasmissioni.
Per vedere la dislocazione dei pozzi petroliferi libici attualmente in uso vai qui:
http://en.wikipedia.org/wiki/File:Libya_location_map-oil_%26_gas_2011-en.svg
Utilissimo, grazie, il link. Mi fa pensare due cose: l’importanza del nuovo fronte di combattimenti, così leggo nelle notizie, in Sebha, e che le raffinerie dal lato algerino sono nella zona del paese dove scarso è il controllo del governo, per la presenza dei campi di Alqaeda (…?), degli interessi occidentali e delle organizzazioni del traffico di droga.
Ho letto che i combattenti nel Nafussa sono gruppi indipendenti dal CNT, credibile se non altro per la distanza e la scarsa organizzazione; pertanto dovesse cadere Gharyan e iniziasse a stringersi la tenaglia est ovest, Tripoli potrebbe diventare un terreno di scontro anche fra ribelli.
Ma è difficilissimo seguire una logica per immaginare le prospettive. Ieri nel mio post “Drammi umani, troppo umani per le cronache di guerra” ho ricevuto un commento da un cittadino libico in Italia che ha dato una descrizione idilliaca di Bengasi proprio mentre là infuriavano gli scontri.
Ho messo il tuo blog in evidenza nella barra dei Feed, insieme ad altri che danno notizie… non addomesticate.